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LEGGENDE
POPOLARI SICILIANE.
LEGGENDE
POPOLARI SICttlAIE
IN POESIA
RACCOLTE ED AMOTATE
DA
SALYATORB SALOMONE-JttARINO.
PALERMO.
LUIGI PEDONE LAURIEL, Editore.
1880.
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Tipografia di P. Montaina e G.
AD
ALESSANDRO D' ANCONA
CRITICO DOTTO E SAGACE
NEGLI STUDJ DELLA POESIA POPOLARE
MAESTRO ESPERTISSIMO
IN ATTESTATO
DI RICONOSCENTE E CORDIALE AMICIZIA
SALVATORE SALOMONE-MAEINO
NEL XIX DI MARZO MDCCCLXXX
INTITOLAVA.
PREFAZIONE.
Presento ai cultori delle tradizioni popolari una ricca
mèsse di leggende poetiche siciliane sconosciuta fin qui
ai più , massime fuori dell' Isola , e non sospettata o
niegata anche. Né, certamente , con le 26 (parlo delle
sole profane ed escludo pure i Contrast%)y che die fuori
il Pitrè, e con le 14, che si leggono nella Raccolta ampliS"
sima di canti popolari siciliani ^ che unite alle presenti
danno la non piccola cifra di 101, trovasi esaurita in
Sicilia questa abbondevole vena di poesia narrativa. Io
stesso ho lasciato inedite parecchie leggende; ed altre
non poche, ne* varj paesi nostri, senza dubbio ne esi-
stono; ma i tipi, i generi tutti, o quasi tutti, trovansi
* Non vi comprendo le quattro, che portano i num. 4727 ,
5025, 5050, 5070, perchè contraffazione letteraria recente.
vili PREFAZIONE.
rappresentati ormai in questa Raccolta, dal romanze-
sco leggendario propriamente detto, al cavalleresco,
al domestico, al sollazzevole e satirico, allo storico , al
politico, ed in fine al boschiero , se cosi è lecito appel-
lare, seguendo la voce popolana ^, quel genere; di leg-
gende che narrano la vita e le imprese dei banditi.
I canti narrativi, detti Leggende o Storie secondo la
espressione più antica e più comune del popolo e sem-
pre viva, formano nella poesia popolare una classe ben
distinta da' canti lirici, che abbracciano lo strambotto e
lo stornello. Fu scritto già, che i canti narrativi in Italia
costituiscono propriamente il patrimonio poetico della
regione superiore; che la Sicilia, come tutta la regione
inferiore, ne manca, e che quelle messe a stampa fin
qui non sono popolari nel senso rigoroso del vocabolo^
perchè lunghe, moderne, col nome dell' autore spesso e
di origine letteraria o semiletteraria *. W autorità incon-
testata e il valore, negli studj popolari, de* due illustri
che emisero questa sentenza, mi obbligano necessaria-
mente ad alcune rispettose osservazioni. E' parmi che,*
nello stato attuale, sia anticipato e precipitato il giù-
* Liggenna vuschittera»
' NiGBA, La poesia popolare italiana, pag. 21: — Rubiebi, Storia
della poesia popolare italiana, parte seconda, cap. V, pag. 301.
PREFAZIONE. IX
dizio complessivo e definitivo sulla poesia popolare ita-
liana, la cui storia si potrà solamente avere, quando
tutti gli elementi necessarj a comporta sono raccolti e
mostrati, e tutte le Provincie italiane vi hanno ugual-
mente e compiutamente contribuito.
Popolare, nel vero senso della parola, dobbiamo a buon
diritto chiamare una poesia , quando presso 1* ignaro
vulgo, e non di un solo comune e di una sola genera-
zione e di un solo sesso, la troviamo diffusa , e gradi-
tissima, e con tenace affetto ritenuta a memoria. Nobili
o plebei sieno i natali d' una poesia, il popolo, certo ,
non la tiene a battesimo e non V accoglie tra la sua
cara figliolanza se all'indole e al sentire proprj, e alle
forme schiettamente popolari non è consentanea. Quale
storia poetica più aristocraticamente nata della Baro-
«^«fl di Carini ? E pure essa è stata ed è, per ogni più
riposto angolo delia Sicilia, la figlia più prediletta e
più nota del vero popolo tra le molte poesie narrative.
Il popolo peraltro, è ben che si sappia, accettando tra
b propria e legittima una prole che viene da' trovatelli,
e forse dal sangue di magnanimi lombi, la raffazzona,
la riveste e riadorna a modo suo, giovandosi dell' abilità
che lungo uso gli ha dato e di quei tessuti casalinghi
^ colori vivaci e di quei fiori de' vergini campi di cui
X PREFAZIONE.
esso ha tanta dovizia. Come il fatto avvenga, con qual
processo la trasformazione , anzi il rinnovellamenta
d' una poesia si faccia, ho mostrato in altro luogo con
prove ^; le quali potrei qui moltiplicare, se occorresse,
perchè dal secolo decimosesto ai di nostri non mi fanno
difetto. Del resto, tale argomento ha discusso da, suo
pari il D'Ancona, ed io rimando il lettore al dotto ed
importante volume di lui '.
Se guardiamo ai frutti che la Musa popolare ha dato
in Sicilia, V elemento lirico è infinitamente più copioso
del narrativo e pari a lìume vasto e perenne per ogni
luogo si dilata, in ogni luogo accolto e festeggiato, com&
quello che meglio risponde a* bisogni ed ai sentimenti
cotidiani ed alla tradizionale natura. Ma le leggende
non godono simpatie minori degli strambotti ; se noa
che, non vengono come questi abitualmente adoprate
in tutti i momenti e gli usi della vita : esse rappre-
sentano, mi si conceda il paragone, l'abito di gala da
indossarsi nelle grandi occasioni, il piatto di lusso dai
imbandirsi nel simposio solenne. Ad accompagnare il
lavoro ordinario, a cacciar la mattana, a rallegrare una
* La Baronessa di Carini^ pag. 25 e segg.
' D^Ancona, La poesia popolare italiana^ studj.
PREFAZIONE. XI
brigata, a celebrare uno de' soliti notturni , lo stram-
botto provvede sempre e abbastanza, accompagnandosi
{sovente lo stornello o qualche arietta: ma una serenata
grandiosa, una celebrazione di nozze, una festa eccezio-
nale, non sono tali pel popolo nostro né compiute, se le
storie non tengono il campo a preferenza di ogni altro
genere di poesia.
Le leggende siciliane, s'è scritto, sono moderne. Certo,
tra le edite fin qui , le più hanno data recente : ma ,
pur tra quelle , si dirà moderna La Comare ? Sono di
ieri II Parricida , / due Banditi , Monsù Bonella , / Pi-
rod'. La Lisabetta? E guardando alla Raccolta presente,
l'elemento antico è egli in difetto ? È fuori dubbio (e
io 80 per esperienza di quindici anni, da quando, cioè,
tengo dietro con occhio assiduo e amoroso a quante
poesie il nostro popolo crea o adotta) , è fuori dubbio
che, cotidianamente e per ogni avvenimento che forte
impressiona gì' intelletti dei poeti del popolo, nascono
canti narrativi e lirici : ma non è forse stato cosi
anche nei secoli andati? Io ho in mano stampe e ma-
noscritti, i quali mi autorizzano ad affermare con sicu-
rezza, che poesie narrative e liriche del cinquecento (e
alcune rimontano certo ad epoca anteriore) son vive e
fresche tuttora, come vivo e sempre fresco è il costume
XII PREFAZIONE.
dei Cantastorie e de' Vendistorie, che anche in quei secoL
servivano come oggi a diffondere dapertutto nell' Isole
le nuove storie ed i nuovi strambotti ^
II retaggio poetico popolare, trasmesso oralmente di
padre in figlio, subisce delle lievi ma indubitate modifi-
cazioni, adattandosi a' luoghi, a' tempi, alle generazioni^
alle varietà dialettali ; onde la forma, che oggi ne fis-
siamo con la scrittura , mostra nel colorito primitivo
quelle tenui alterazioni che si riscontrano in una vesto
lungamente e costantemente indossata; ma la stoffa o
la essenza del canto è sempre quella, sempre inaltera-^
tamente T antica; e si può come giusta e vera accettare
la sentenza del D'Ancona che, in generale, la massa dello
poesie cantate dal popolo è un patrimonio avito, posse-
duto da cinque secoli almeno. Quello stesso che ai di
nostri di nuovo si produce, non è in sostanza che uà
rimaneggiamento e rimpastamento di elementi vecchi,
di materiali già da tempo e quasi inconsciamente con-
servati nella memoria e adattati alle nuove costruzioni;
* Vedi le mie Storie pop, in poesia sicil. riprodotte sulle stampa
dei see. ZF/, XVII e XVIII, e lo scrijito, che darò prossima-
mente in luce, intorno ad alcuni canti popolari siciliani trascritt'
nei secoli XVI XVII e XV III.
PREFAZIONE. XIII
perocché la facoltà poetica del popolo, nella forma epi-
co-narrativa sopratutto, si è venuta esaurendo ^
Or innanzi al fatto, accertato, costante, delia integra
conservazione , attraverso i secoli , dei canti popolari ,
cade da sé la osservazione sulla lunghezza delle sici-
Itane leggende, considerala come carattere che contra-
sta ali* indole genuina popolare. Tuttavia non è forse
fiutile richiamar qui ciò che altrove ho scritto % cioè,
die nel popolo è vergine e fresca sempre e tenacissima
la memoria, la quale inoltre grande soccorso riceve dalla
forma poetica della narrazione e più ancora dalla rima.
QfBerviamo , di fatti , le lunghe composizioni , e cono-
Moemo il mezzo, V artificio, che sussidia la ritenzione
di esse nella memoria. 11 poeta popolare nostro si serve,
i quasi sempre, della ottava endecasillaba detta siciliana
perchè propria dell' Isola , con sole due rime, che per
quattro volte si alternano, e spessissimo con parallelismo
fi consonanze afone nelle rime contro-alterne •. Ma ciò
non basta ; ei lega V ottava antecedente con la susse-
guente, mercè della rima intruccata (come in Sicilia è
* D'Ancona, op. cit., § V, pag. 111. E cfr. Niorà, opascolo
«t., pag. 16, 22 ecc.
' La Baronessa di Carini, pag. 33 e segg.
' Esemplo : dri-iri-dri-iri ecc. Vedi Nigra, loc. cit., pag. 15.
XIV PREFAZIONE.
detta) , che è la ripresa della rima dell' ultimo verso
della ottava antecedente nel primo della ottava seguente,
in fine o al mezzo ^ E una grande difficoltà metrica,
come si vede, egregiamente superata da' poeti del pò*
polo, la quale però giova assai per fermare in mentd
le leggende, venendosi per essa a comporre come una.
catena non interrotta di ottave.
Rappresentando le legge jnde, in Sicilia, la classe pri-
vilegiata e nobile dei canti popolari, è giustificata l'am-
bizione dei rustici poeti di legare il proprio nome alle
poesie narrative che compongono • : e questa ambizione
giùnge a volte a tal segno , che poeti viventi , o più
* Ecco un esempio di tuttiedue i casi, che può servire aneo
per esempio della consonanza atona nelle rime contro-alterne:
1. Ninu CQ Brasi scàppanu a buluni,
e appressu d'iddi li cani 'mmiatini. {versi 7-8)
Doppu di tantu curriri, a la fini
li dui frateddi si tròvanu sali, ecc. {versi 1-2)
2. Ninu cci fa li 'nsigni a la so amanti,
tràsiri spera e rìstarì euntenti, {versi 7-8)
Ma 'n tempu un nenti^ fora lu purtuni,
armati di fìleccì e di scarcini ecc. {versi 1-2)
* Vedi anche, in proposito, i versi che il poeta popolare Andre;
Albano ci lasciava nella sua storia satìrica : Li Zappunareddt
ziti, versi eh' io ho messi ad epigrafe di questa raccolta (pagi
na XXXI].
PREFAZIONE. XV
spesso semplici Cantastorie , danno come propria una
leggenda antica ed anonima, o una che veramente ap-
partiene ad un altro. Avviene altresì il fatto , che un
cantatore, per dar vanto al paese natio, recitando una
fiUDosa storia antica, od anche recente, V attribuisca al
tale tal altro suo concittadino; e se quella storia porta
per avventura il nome del poeta , il cantatore lo sop-
prime senza misericordia, o sostituendo uno o due versi
dal suo repertorio poetico tradizionale, o mozzando an-
che una stanza al componimento: fatti, questi, eh* io ho
più d' una volta osservati, e che comprovano e il con-
cetto in cui le storie sono tenute, e il desiderio, Tam-
biiione di potersi dire autore d'una poesia che gode il
fcore e la fama e gli applausi unanimi popolari. Si
esservi intanto, che a molte di queste leggende la tra-
dizione, e solo essa, accompagna il nome di Tizio o di
Caio, poeti; qui però non e' è da fidarsene a chius' occhi,
visto che il preteso autore da un luogo all' altro muta
di nome e di patria. In molte altre invece, e questo è
^ il caso più frequente, il poeta stesso, negli ultimi versi
I qualche volta nei primi della composizione, registra
il nome suo, e spesso ancora il mestiere, la patria e il
■J| tempo del suo poetare. In tal contingenza, trovando co-
stanti queste indicazioni in lezioni della poesia raccolte
'
XVI PREFAZIONK.
in luoghi diversi, e' parmi che non sia il caso di elevar
dnbbj e che sì possa veramente accettare il nome di un
poeta popolare, avvegnaché di lui nuli' altro ci è data
sapere al di là di quello eh' egli stesso ebbe cura dì
dirci. Or , dico io: nuoce questo , si oppone a che una
leggenda si debba appellar popolare nel vero senso del
vocabolo, e pubblicarla come tale ? A me sembra di no,
e credo che non si possa non concorrere meco nella
sentenza medesima.
Io non ho accettato né pubblico, come popolari, leg-
gende che non sieno tali veramente. Per quelle stesse di
data recentissima, che ho inserite in questa collezione,
eziandio di autori viventi, mi son prima accertato ch'e-
rano già fatte retaggio comune; le ho raccolte prima dalla
voce del popolo, e non d' un paesello o d' una città sol-
tanto, e poscia ho ricorso al poeta stesso. D' ogni storia,
che qui ho stampata, ho avuto per lo meno tre lezioni
popolari, tra le quali ho dato preferenza alla più com-
pleta e più bella, non senza giovarmi delle altre. H(
notato, tra le recenti di autori vivi, come la lezione rac-
colta dal popolo si adorni già di varianti che olFroii'
colorito più vivace, contorni più precisi e più artistici
ma nel tempo stesso un andamento più spontaneo e di
sinvolto: è il principio di quella lenta elaborazione, eh
PREFAZIONE. XVII
assimila e rende affatto tradizionale una poesia. Giove-
rebbe senza line uno studio minuto su questo insensi-
bile e prolìcuo lavorio del popolo artista su le produ-
lioni poetiche che fa proprie: e forse avrò agio di farlo
in appresso; per ora mi occorre solo di dire che, con
buona pace de* viventi bardi del popolo, io ho accolte le
▼arianti popolari e messa da parte la lezione originaria.
E qui una osservazione di complemento, non inutile,
che, se volete, considerate come una parentesi. Di que-
sti poeti viventi, e n'ho avvicinati parecchi, possiedo
molte altre composizioni, ricche di pregi del contenuto
e della forma; ma esse non hanno trovato fortuna appo
il popolo, restano da piìi anni patrimonio solo di cin-
que sei, congiunti o amici del poeta, e probabilmente
si spegneranno con essi. Queste poesìe, ch'io chiamo
tó popolo ma non popolarij non possono e non debbono
trovar posto in una collezione com' è la presente; e se
altri, per ingrossare il volume del libro ed elevare la
cifra della somma totale, ha creduto di doverle mesco-
lare tra le popolari vere, tal sia di lui; ma intanto le
cose restano mistilicate, gli studiosi vengon tratti in er-
rore ed inganno, onde falsi apprezzamenti, de' quali poi
a torto ci lagniamo.
De' caratteri estrinseci ed intrinseci delle storie sici-
Salomone-Mabino. — Leggende pop, sic, *
XTIII PREFAZIOKE.
liane ho iìn qui detto quel tanto che m'è caduto in
taglio nella dimostrazione, che ho fatto, della esistenza,
nel canzoniere popolare nostro, del genere narrativo.
Ma occorre che io completi le osservazioni mie perchè
più esattamente ed intimamente si conoscano le nostre
leggende, lasciando che altri poi, a tempo opportuno,
rilevi con più finezza le dissomiglianze che distinguono
esse da quelle proprie dell' Italia settentrionale.
E anzitutto, bisogna far distinzione tra le storie in-
digene e le importate. Di queste , alcune passarono in
Sicilia ne' secoli scorsi; altre non v' ottennero cittadi-
nanza che dopo il 1860, con la creazione del Regno di
Italia. E la importazione crescerà, come altresì la ne-
cessaria esportazione, per lo scambio che oggi si fa at-
tivissimo tra provincia e provincia di libretti popolari
che riproducono le antiche storie, e più ancora per
mezzo dello Esercito nazionale, che unisce e affratella
il giovane popolo delle diverse regioni e fa cantare a
Palermo e Siracusa le canzoni e le vilote del Piemonte
e del Veneto, e a Venezia e Torino li Uggenni e li can-
zuni della Sicilia. Intanto, guardando alle cinque leg-
gende, accolte in questo volume, provenienti con evi-
denza dalla Penisola *, appare chiaro il fatto, che le ul-
* Vedi ai numeri IX, XIV, XVII, XXVI e XXVII.
PREFAZIONE. XIX
time giunte hanno appena indossato una sicula veste,
male adattata e insufiBciente a coprire la originaria strut-
tura, e qua e là con istrappi , che lasciano vedere un
colorito di carni che non è il paesano; oltre di che, la
fonica e le espressioni peculiari di una favella mal si
possono modificare e mutare. Le importazioni più an-
tiche, invece, veggiamo naturalizzate di già. Non sono
traduzioni letterali e meschine, conìe quelle che il se-
dicente Foriano Pico fiorentino faceva nel sec. XVII delle
storie nostre isolane, per difì'onderle da Napoli a tutta
la Penisola *; ma sono libere versioni, con forma ori-
ginale e siciliana affatto , verseggiate e rimaneggiate
conforme all'indole e alla fantasia del popolo nostro, la
qaale le adorna di più vivi colori, di situazioni più e-
stetiche, di accessori nuovi, belli ed opportunissimi.
Forse, eziandio i canti di recente arrivo si naturalizze-
ranno; ma non è ancora venuto il tempo della assimi-
lazione completa e della nuova versificazione : o forse,
I qnesto fatto è una riconferma della indebolita facoltà
poetica del popolo odierno.
* Consalta: Pitbè, Bibliottca delle tradiz. pop, siciLy voi. Ili,
P*?* 252 e segg. : — Sa.lomomk-Marino, Storie popolari in poesia
****^»ona, riprodotte sulle stampe ecc. pag. 62 e seg.
XX PREFAZIONE.
Le leggendo proprie della Sicilia hanno iniportaiiL-
singolarissima. Più ancora delle poesie di genere lirico
esse rappresentano fedelmente e con arte spontanea «
mirabile gran parte dell' indole, de' costumi, delle Tde^
delle varie vicende del popolo siciliano; racchiudono uns
storia tradizionale di esso, la quale, in quadretti pieni
di vita e di colori vaghissimi, disegna con maestria- le
sue glorie e sventure, le gioje e i dolori, i magnanimi
e i riprovevoli atti, la vita casalinga, le virtù, le debo-
lezze, i travianaenti suoi.
Qui dovrei un pò* più a lungo fermarmi sulla origine,
antichità , diffusione , conservazione tradizionale delU
popolari leggende; ma altrove, pubblicando la Baronesu
di Carini, ho trattato quest' argomento; e del resto, quelle
che di sopra ho detto può al caso presente bastare. E m
passo ancora delle considerazioni su la non giusta mi-
sura de' versi, su le rime assonanti e su altre imper-
fezioni che le leggende hanno in comune coi canti po-
polari d' ogni genere e che sono abbastanza studiate i
conosciute: necessarie, invece, mi sembrano alcune os
servazioni, che brevemente soggiungo.
Due note predominano nelle siciliane leggende:!
sentimento religioso e morale estesissimo, ma spregiu-
dicato, perocché non impedisce le manifestazioni ostil
PREFAZIONP]. XXI
e punto rispettose ai ministri del culto, che del sacro
ministerio abusano empiamente ; e poi il sentimento
patriottico, che si esplica con amore intenso delle patrie
contrade, aborrimento di ogni tirannia, aspirazione con-
tinua a libera indipendenza, ma non ad anarchia o a
quel che oggi si dice radicalismo e socialismo, giacché e
per tradizione e per indole il popolo siciliano è monar-
chico. Questi sentimenti stessi che si inchinano rispet-
tosi alla Fede ed all' Autorità costituita, han creato e
conseiTato per anni ed anni quelle narrazioni poetiche
di fatti empj ed orribili, presentati come esempj da e-
4 vitarsi e detestarsi, e han creato e conservato le storie
bmhiere, che han per obietto principale il trionfo della
r Giustizia e la punizione de' ribelli ad essa. E qui si noti,
; che il brigantaggio non ha storia in Sicilia: è pollone
ì
calabrese, da Calabresi trapiantato fra noi al 1863 e pri-
mameate inaflìato. Il bandito siciliano, il tipo antico,
fuggito alla macchia il più spesso per falli d' amore o
I>er private inimicizie, non è un vigliacco e barbaro assas-
sino, avido solo di dar di piglio nel sangue e nell'avere
altrui: esso è, lino a certo punto e a modo suo , valo-
roso, audace, cavalleresco e generoso anche, religioso per-
,\ fino; e taglieggia i ricchi ed osteggia i potenti per soc-
\ correre i poveri e proleggere i deboli. È una virtù devia-
FIIEFAZiniIE
I-. Ci- meriL cor.::ii:ini ♦ tois'anoh^
aiLi.jrij:iO!. : :; i»fnifj!-i rrlif;: trinulL.-e.i
fct:-:i, .. li Oli.-' •• h injvr*^^' lìt ì trai i z Ulna] =:
L. -, 'j:;:*ì: . maÌLitLoi i. al : -aninnì i^asse e:
ce-- M.z a'jrrib • la udìì:-' dì.i oiRta lUifii.
fcciaui CI: lì iD" noni' •es^^rraiM si TìPrna flli. . J-
roc; -. -i maiiaieni-
-. .1 iTui^oiit •.i:'ii- sunri' ftoKràiWf . nottB. -300
latt , di' noi: porcari iìu.ì il noTn»' rtel WJeu
tjercii-:» t- cabL-i*:! . rriìanniriiTn" fssfi-' non -a^>Ì»anoj
iiiem Li: .. {^aIa5l^ol" fuimpiiiti*. *iftr». CU^^ tmci- ^
aiioiiiij.- y sLori" ih,lit.if!hi . aIi^ nnaij Tìè opnres
i^f C'j>: . , irr camene- Tw^sono ìmTVìdm^ xjhf »»
pro-iitTii: • r sicnramfjiìT- nr!- oiìì. uh*co si Tìn>wt
Ci:.* ani.- , a iìiBpeU' e. tulli 4i:ì nst^iroi. ?• nrii
iLi'^iv ^ì'T esi-, divenL i.i viL-onif;.'' Ja lor vita
- iii!:*n uiu comuni i.ì. anM/'i. . t*ìii wnofinc
Muj ■ t.Liuaii- •. . in ahÌHam . iri.- fWU.. I.' ^^^'*'^
ii»i- '-ttinu' » i. : cMii: .:. ■ . , . i«!j..-l'Hru; r-V
cui::. luru:... £:!ni.-. imi.. ..ii:»;t.-i.. . i^m-iiTi;.
PREFAZIONE. XXIII
doprata dal popolo, la ottava epica, con sei versi a rime
alterne e gli ultimi due a rime baciate : e nell' una e
nell'altra manca di rado il parallelismo di consonanze
atone nelle rime contro-alterne, e non mai la rima in-
truccata; la quale è cosi caratteristica delle produzioni
popolari, che ove in qualche ottava difetti, si può con
<»rtezza piena asserire, che o il testo è alterato o il
componimento ha perduto alcuna sua parte. Il rustico
poeta, però, se predilige la ottava siciliana , che ben a
ragione V illustre Nigra chiamò la più importante e, nel
«uo genere, modello de' più perfetti e forse il più per-
fetto; il rustico poeta, dico, non dispregia gli altri me-
tri, anzi di tutti indistintamente si giova, benché in
eversa misura: di fatto, dopo la ottava siciliana, in or-
<3ine di frequenza va collocato il settenario, poi V otto-
nario, la quartina endecasillaba, il quinario, solo o ap-
paiato; indi le stanze cpn quattro o sei od anche otto
^ersi a rime alterne, seguiti da uno o più distici a rime
baciate, a rao' degli strambotti toscani ; metro, che a-
<^orna la più squisita, la più artistica, la più perfetta e
celebre tra le siciliane leggende, la Baronessa di Carini,
^^ quale ho io illustrato con speciale lavoro. Viene poi
"^timo il polimetro, eh' ha indubbia origine letteraria,
"^i argomenti più nobili, più gravi , più importanti si
XXIV PREFAZIONE.
rivestono sempre della ottava ; i gaj e satirici preferi-
scono i metri corti, più svelti e più incisivi; e a questi
eziandio ricorre di frequente la leggenda boschier a , che
in tal caso è congiunta a una musica propria e speciale
qualificata dall' addiettivo medesimo : ma si noti , che
in questi metri corti non appare quasi mai la desinenza
tronca od ossilona, caratteristica dell' Italia superiore.
Le sessantuna leggende , che ora metto in luce , ha
raccolto io stesso dalla bocca di popolani dalF anno
1865 fino al presente *, seguendo con iscrupolo nella
trascrizione il dettato popolare, rispettando le iri-egola-
rità metriche (che del resto , si sa, vengono con la fi-
lalella rimosse nel canto), conservando la parlata e per
quant'era possibile la pronunzia proprie dei differenti
paesi ove esse leggende ho trovato. Da qui le differenze
ortografiche di trascrizione d' una parola stessa in com-
ponimenti diversi: differenze necessarissime , oggi che
i testi dialettali si richiedono genuini, perchè danno
argomento e fondamento a studj serj e fecondissimi per
la storia, la etnografia e la linguistica.
Le annotazioni, di cui parvemi utile corredare que-
^ Solo cÌDqne di esse leggende debbo ai miei carissimi e
valorosi amici G. Pitrè e U. A. Amico, ai quali mi è caro d»
attestare pobblicameote la mia riconoscenza.
PREFAZIONE. XXV
sia Raccolta, sono di due ordini. Col x)rimo, ho dichiarato
le voci e frasi di più difficile comprendimento e quelle
(chedànno il maggior contingente e però ho distinte con
asterisco (*) ), non registrate da' nostri Vocabolaristi, non
:: escluso il Traina, immensamente più completo e più e-
'" satto dei sudi predecessori: e qui debbo avvertire, che le
interpretazioni de' vocaboli non registrati nei lessici non
vengono dal mio capo/ma ho ritratte, con accurate ri-
cerche, dalla bocca stessa dei popolani. Neil* al tr' ordine
di note ho riunito tutte quelle notizie che ho stimato
ntiii e convenienti alla illustrazione di ciascuna leggen-
da, sia in rapporto ai fatti in essa narrati sia in rap-
porto al Poeta, quando m' è riuscito conoscerlo. A que-
sto second' ordine di note si collegano, poi, i riscon-
W,che ho stimato importantissimo di aggiungere,
^ le poesie narrative di Sicilia e quelle del resto d^ I-
talia; alla quale solamente mi sono limitato , per far
opera più completa e più esatta. Nella indicazione biblio-
S^dficay che viene dietro a queste pagine, troverà il let-
I tore segnate le fonti, alle quali per questi riscontri ho
direttamente attinto.
E ora , raccogliendo le sarte, io son lieto di consta-
'^re il notevole e operoso incremento che han preso in
^^sti ultimi anni, in Italia ed all' Estero, gli stndj dei
XXVI PREFAZIONE.
dialo t ti e dello tradizioni popolari, studj proficui e di-
letlosissimi, ai quali, nobili e lodati intelletti han dedi-
cato lo più sapienti e profonde e feconde premure.
Paleìnw, 18 Marzo 1880.
S. Salomone-Marino.
INDICAZIONE BIBLIOGRAFICA
DELLE RACCOLTE DI CANTI POPOLARI E DEGLI STUDJ IRTORNO AD ESSI,
CITATI IN QUESTO VOLUME.
Ar¥OlÌO (Corrado). Canti popolari di Noto: studii e raccolta. No-
to, Uff. tip. di Fr. Zammìt, 1875.
Rcraonl (Domenico Giuseppe). Csanti popolari veneziani, raccolti,
Venezia, Tipografia Fontana-Ottolini, 1872.
— Leggende fantastiche popolari veneziane, raccòlte. Venezia, Ti-
pografia Fontana-Ottolini, 1873.
Bolza (0. B.). Canzoni popolari comasche. Estratto dai Rendi-
conti dell' I. R. Accademia delle scienze, voi. LUI. Vien-
na, Gerold, 1867.
Casetti (Antonio) e Imbriani (Vittorio). Ganti popolari delle
Provincie meridionali^ r accolti. WoXwmi due. Roma-Torino-
Firenze, Ermanno Loescher, 1871-1872.
Corazzini (Francesco). / componimenti minori della letteratura
popolare italiana nei principali dialetti , o Saggio di let-
teratura dialettale comparata, Benevento , Stabil. tip. di
Francesco de Gennaro, 1877.
D' Ancona (Alessandro). La poesia popolare italiana , studj. In
Livorno, coi tipi di Frane. Vigo, editore, 1878.
XXVIII INDICAZIONE BIBLIOGRAFICA.
De Rada (Girolamo) e Jeno de' Corone! (Niccolò). Bapsodie
d! un poema albanese raccolte nelle colonie del Napoletano^
tradotte^ ordinale e messe in luce. Firenze , Tipografia di
Federigo Bencini, 1866.
Ferrare (Giuseppe). Canti popolari monferrini raccolti ed anno-
tati. Torino-Firenze, Ermanno Loescher, 1870.
— Canti popolari di Feii'ara, Cento e Pontelagoscuro, raecoUi, In
Ferrara, per Domenico Taddei e Figli, 1877,
Gianandrea (Antonio). Canti popolari marchigiani raccòlti e an-
notati. Roma-Torino-Firenze, Ermanno Loescher, 1875.
Guastella [Serafino Amabile). Canti popolari del circondario di
Modica, raccolti e illustrati. Modica, Tip. Latri e Secagno
figli, 1876.
Imbriani (Vittorio^ CLXXXVLll canti popolari [canzonette, scher-
zi infantili , ninne-nantée) di Avellino e Circostanze. Kel
** Propugnatore „ di Bologna, voi. VII, parte 1% pag. 13S^^
e segg. e pag. 371 e segg. e parte II", pag. 162 e segg.
Vedi ancora di sopra: Casetti (A.) e Imbriani (V.).
iTe (Antonio). Canti popolari istriani raccolti a Rovigno ed
notati. Roma-Torino -Firenze, Ermanno Loescher, 1877.
MarCOaldi (Oreste). CaìUi popolari inediti umbri, liguri, pieeni-g
piemontesi, latini, raccolti e illustrati. Genova, co' tipi dei
R. L de' Sordo-Muti, 1855.
Xigra (Costantino). La poesia popolare italiana. Articolo desti-
nato a servir d* introduzione ad una raccolta di canti po-
polari del Piemonte. Parigi, 1876.
Pitrè (Giuseppe). Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane. Vo-
lumi undici. Palermo, Luigi Pedone Lauriel editore, 1870-
1880. (Contiene: Voi. 1 e II, Canti popolari siciliani: III,
Studi di poesia popolare : IV-VII, Fiahe, Novelle e JBac-
conti popolari siciliani: Vili -XI, Proverbi siciliani).
INDICAZIONE BIBLIOGRAFICA. XXIX
Rlg^hi (Ettore Scipione). Saggio di canti popolari veroneni. Ve-
roua, Tipografia di Pier-Maria Zanchi, 1863.
Rnbieri (Ermolao). Storia della poesia popolare italiana. Firen-
ze, G. Barbèra, editore, 1877.
Sabatini (Francesco). Saggio di canti popolari romani colle mc-
lodie. Roma, Tipografia Tiberina, 1878.
Salomone-Marino (Salvatore). Canti popolari siciliani , in ag-
giunta a quelli del Vigo^ raccolti e annotati, Palermo, presso
Francesco Giliberti, editore, 18G7.
— La storia nei canti popolari siciliani: cap. I e li, nclP ** Ar-
chivio storico siciliano „ di Palermo, anno I e li (1875
e 1876) : e cap. V a parte , Palermo , F. Giliberti edit,
1870 (sec. ediz.).
— La Baronessa di Carini, leggenda stoi'ica popolare del sec. XVI
in poesia siciliana con discorso e note. Seconda edizione,
corretta ed arricchita di nuovi documenti. Palermo, Luigi
Pedone Lanrìel, editore, 1873.
— Storie popolari in poesia siciliana riprodotte sulle stampe de*
• secoli XVI, XVII e XVIII con note e raffronti. Bologna,
Tipografia Fava e Garagnani, 1875.
~ Tradizione e Storia, Palermo, P. Montaìna, 1876.
iMlinasèo (Niccolò). Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci^
raccolti e illustrati. Volumi quattro. Venezia, 1841-42, dallo
Stub. tip. enciclop. di Girolamo Tasso,
TijIO (Lionardo). Raccolta amplissima di canti popolari siciliani
{Opere, voi. II). Catania, Tipografia Galàtola, 1870-74.
Wldter (G.) e Wolf (Adolf). VolksUtder aus Venetien. Wien ,
Gerold. 1864.
LEGOENIDE
Lu Pueta nni nesci li Liggenni
prì ariri lo trionfa a tatti banni;
beni l'agasta cu' beni li 'n tenni
danni chi la Sicilia ai apanni.
Andrea Albano.
I.
Conti Ruggeri.
— Manca lu suli, ed affaccia la luna;
veni la stati, e stenni Tacquazzina ^;
Gran Conti, a mia mi manca la fortuna
e m'assùbita la lavanca e la mina *;
'mmenzu di lu disertu cu Tai^sura,
cu' m'arrifrisca a mia cu l'acqua viva ?
Tu teni la putenza e la curuna,
ou sulu stu figghiu ca mi teni viva.
— Capu-ribbeddu di cori 'nfìdili,
donna, ca mi tradiu li Cavaleri.
— tu Gran Conti, di sangu gintili,
ccà cc*è la testa mia si ti riqueri ®;
* Cioè la Provvidenza (sottintesa) prende tal cura degl'infe-
ci mortali, che fa spuntar la luna quando il sole tramonta e
>arge la rugiada sul creato per temperare gli ardori della state.
* Assubbita^ viene improvviso, sopraggiunge. Lavanca, preci-
izìo, dirupo.
^ Si ti riqueri, se ti bisogna.
Salomone-Marino. — Leggende pop, sic. 1
LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
si vói la vèngia, sùbita si vidi •
inatri cu lìgghiu morti a li to' pedi.
cruda fami, comu si' crudili,
nni jetti 'n campu e la vista nn'abbeli * !
— Tri Cavaleri acisi 'ntra la rua *,
donna, gridanu vèngia di la morti.
— Gran Conti, la nostra vita èni tua,
acidi matri e lìgghiu e ti cunorti *.
Oh, pri Tamuri di la matri tua,
oh, Tamuri di matri com'è forti I
l'ugnu 'un si sparti di la carni sua,
megghiu una: morti ca centu morti!
— Partiti, donna,* e cu tia lu fìgghiu,
oru e cunsolu ti duna Ruggeri;
ca chista è la vèngia che mi pigghiu,
lùcinu sempri li nostri banneri.
Unni cc'è mastru, 'un cci voli cunsigghiu;
(|uannu maggiuri cc'è, minuri cedi;
'mmenzu li spini fa pumpa lu gigghiu,
veni la lapa e cci suca lu meli *.
{Salemi).
* Abhilari, velare, qui metaf. accecare.
* Acisiy uccisi. Rua^ via (francesismo).
3 Ti cunorti, ti conforti, ti appaghi.
* Questi ultimi quattro versi, accozzo di tre proverbj , i
paiono una interpolazione, seppure non hanno relazione con qu
resto, che manca, della leggenda.
CONTI RUGGEKI. 3
Annotazioni e Riscontri.
A malgrado delle lacune e de' versi di non giusta misura,
questa leggenda ha singolare importanza. Essa ci mette innanzi
maestosa la figura del Gran Conte Ruggiero, il quale compie
tale atto di generosa magnanimità , da bastar solo ad assicu-
rargli presso il memore popolo la duratura fama di ottimo
ed amabile principe. È una madre che , piangendo, intercede
presso il Gran Conte onde campi da morte l'unico suo figlio,
destinato all'estremo supplizio per infedeltà e tradimento fatto
a tre Cavalieri normanni. Pare che al delitto Io abbia spinto
la fame, trista consigliera (versi 15-16). Alle lagrime ed alle
tenere espressioni della sconsolata donna, il generoso cuore del
guerriero non resiste, e con nobilissima vendetta restituisce li-
bero il figlio alla genitrice, cui rimanda consolata e con dona-
tivo in danaro.
Nessuno storico o cronista, che io sappia, fa menzione del
fatto a cui si rapporta questa poesia; la quale, vero o no che
sia quello, serve a far prova come tuttora grandeggi nella
mente del popolo la nobile immagine del vincitore de' Musul-
niani, di quel " fortissimo braccio, intrepido cuore, dritto e sa-
gacissimo ingegno, „ che fondava in Sicilia uno stato fermo e
rigoroso e una dinastia che seppe acquistarsi l'ammirazione e
l'amore de' contemporanei e de' posteri.
IL
Lu Conti di Burgettu.
— Signuri Conti, signuri Patruni....
— Parrà, scava fidili, e min trimari.
— Signuri Conti.... si forsi fu erruiù,
potti la mia menti sbariari....
Signuri Conti, di lu bastiuni
un giuvinottulu vitti calari:
sempri cci torna li nuttati scuri,
di la finestra vennu li signali. —
Avia, Tamaru ! li manu attaccati,
cu lu chiaccu a lu coddu si vidia ^•
li gammi moddi e Tocchi 'nvitriati,
gran piatati e gran pena facia.
— Ora affaccia la stidda, vera luci ',
^ I malfattori solean tradursi alia forca con la corda
Chiaccuy cappio scorsojo.
* È il malcapitato giovane clie parla , volgendosi a
t^^essina, stella e vera luce sua, la quale egli vede app?
LU CONTI DI BURGETTU. 5
uii pocu avanti cchiù scuru facia:
tu mi mittisti cu li vrazza in cruci *,
Gu 'un era omu ca ti lu dicia.
Ali vrócu e mi rivrócu senza cruci *,
vaju a la furca e va moru i)ri tia:
bedda, dùnala tu la nova vuci,
levami di la furca, armuzza mia! —
Juncìa la Cuntissina 'ntra lu 'stanti
a cursa a cursa, e la vuci trimava:
— Fermati boja, cchiù nun ghiri avanti,
lu chiaccu scinni e lu 'mpisu mi cala:
a morti 'un divi jiri lu me' amanti,
li lu òrdinu eu ca su suvrana.
Veni a lu brazzu min, fidili amanti,
la Cuntissina nun ti abbandunava.
Scava ti sugnu pri la vita intera,
s'idd'eu t'amu di cori tu lu sai;
tu sidutu a la me' stissa ciera *,
morti 'ntrammu, e nun ti lassù mai !
Lu Conti cu la figghia nun si nega,
ca Tarn uri di figghia è granni assai;
Tu mi costringesti, che io non t'avrei mai rivelato il mio
amore.
Vròcu e rivrócu, contrazione di vròdicu e rivròdicu, mi se-
penisco, vado in sepoltura. Senza croce perchè condannato e non
^solto pria di morire.
Ciera y seggiola. Cioè, o tu elevato alla stessa mia dignitìi
come mio sposo, o morti entrambi (^ntrammu).
6 LEGGENDE POPOLARI SIGILLANE
ma si pri forza la testa ti leva,
lu me' coddu a li sbirri, e tu ti paj K —
Di la Turca a Totani fu purtatu:
subitu lu visteru Cavaleri,
spiruna d'oru e sciàbula a lu latu,
si persi la mimòria di Scuteri :
Signuri di Burgettu titulatu,
avanza li cchiù nobili guirreri ;
la sorti e la so Dia Tha 'ncurunatu
e sutta lu duminiu un Statu teni *.
(Borgetto).
Annotazioni e Riscontri.
Da un diploma dì re Pietro II , dato da Catania a* 20
naro 1337, indiz. VI, rilevo che il Castello del Burgetto fa coi
preso nella Contea di Cai tabell otta , appositamente creata
premiare la fedeltà e il valore di Raimondo de Peralta, r
Ammirato e Camerario del regno di Aragona e di Sicilia. Ni
sana memoria si trova dell* avvenimento serbatoci nella 1^
genda , ne altri ricordi locali ho trovati de' Conti signori d
Castello e feudo del Burgetto, come i Peralta s'intitolavano
oltre al 1408, benché Borgetto fosse già passato cum juribr
suis ai padri Benedettini di San Martino delle Scale al 13
La leggenda, che non ho potuto completare a mal^a'ado
* Ti soddisfarò dando anch'io il collo al carnefice. Paj, pag
* Stato nel significato dì terra , territorio , com' è anche ad
prato in Toscana.
LU CONTI DI BURGETTU. 7
UngUe ricerche , narra i segreti amori della figlia del Conte
signor del Castello con un suo giovane scudiero, lo sdegno del
Conte, che manda alla forca il giovane, e indi la liberazione e il
perdono di costui per opera della innamorata figlia, che lo sposa
®lofa Signore della Terra. Nella Brunetta monferrina (v.Fer-
^^, n. 19) il Giovane ammazza il padre della sua amante, la
»>ell8 brunetta, perch'egli non volea sposargliela; onde è preso
® Condotto alla forca. Passando innanzi all'amata, il Giovane
'^ ^/ce:
— Bundì, bela brunetta,
Ve lo dig a vui:
Ina mort csì crudela
Mi la fass pir vui.
— Galant, andèe a ra furca,
Andèje vuluntier:
U'n passa nent mezz'ura
Mi sarò an fund ai voce pei.
Quand l'è sta a ra furca
A ra furca pir muri,
Bela clama ina grasia
E i r' han concedi.
— Galant, calèe dra furca
Galant, calèe, calèe:
Dèe ra man a ra brunetta
E andèvira a spusèe.
III.
La Rigina di U Fati.
Gc'era una Fata, rigina di Fati,
bella ca nun ci un' è sutta la luna,
'mmenzu du' muntagneddi sdirrupati
'ntra 'na Casina cu li bianchi mura :
fannu suspiri li gran Pu tintati,
cci vannu appressu Dòmini e Baruna ;
cci fu cu' persi la so libirtati,
cu' cci lassau la peddi a li vadduna ^
A nuddu cci rispunni la furtuna,
e la putenza nun havi valia,
cunta pri nenti 1' oru a munzidduna,
puru d' Amuri la gran signuria.
Lu Cuntinu galanti tuttu adduma:
— t'haju, lassirò la vita mia ! —
cavarca, e nesci armatu a la vintura
'mmenzu li voschi senza cumpagnia.
* Lassavi la peddi a li vadduna^ morire alla campagna,
lo più di mala morte, e rimanere insepolto.
LA RIGINA DI LI FATI. 9
San Giorgi ! la prisènzia chi tinia !
v^urria sapiri cu' nun si uni 'nciamma;
o puramenti cu' havi valia
di livàricci ad iddu la giurlanna.
IDi deci amanti nn'ha fattu tumia;
C3u' veni, è misa a puntu la cunnanna.
— 'Ncurùnami la frunti, o nata Dia,
si stu valuri lu tò cori 'nciamma. —
— Ad àutra banna su' li me' pinzeri,
(la Fata a lu Guntinu arrispunniu) ;
cjuantu nn'haju vidutu Cavaleri
tutti abbramanti di l' amuri miu!
Gei vonnu provi, cci vonnu maneri,
cci voli chi di si dicissi iu:
la pèrcianu a la petra li gutteri ^,
cà la custanza a lu spissu vinciu. —
E comu dissi chistu, cci spiriu,
spiriu la bella Dia e s' ammucciau:
ma lu Guntinu ddà sempri lu vju,
cu ddi palori cchiìi si 'nnamurau.
Comu lu parpagghiuni a lu firriu
attornu a la lumera chi truvau,
comu r apuzza china di disiu
ca di luntanu lu meli avvistau *.
Giria 'n tunnu lu jornu e la notti
e duci duci cci cogghi la mota %
£ il gtUta cavai lapidem latino.
Avvistau, avvistò, scorse.
Mota, nota; còfjghiri la mota, raccoglier le note musicali e
dÌ8porle in modo che ne risulti Tarmouiosa melodia.
10 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
e duci duci cantannu strammotti
comu lu risignolu di la rosa :
— « Amuri, ca furmau stu cori forti,
(( 'ntra stu curuzzu 1' Amuri arriposa ;
« amuri parrà e mi duna li botti,
« li canzuneddi soi 'n bucca mi posa *.
(( Tu si' la rosa, la rusidda lina,
(( lu pumu d'oru ch'annaca la rama *,
(( di li Fati e di V Àncili Rigina,
(( lu paradisu chi stu cori abbrama!
<( Ridi a livanti 'na luci divina
« e cunsola lu mlsaru chi ama,
(( mi dici ca la stidda matutina
(( lu suli cu li ràj doppu si chiama. » —
Cu' ama forti, custanti e fidili,
pigghia la paga di lu stissu amuri :
lu bon vascellu ha strazzati li vili,
ma trasi in por tu cu vittoria e onuri.
E lu Cuntinu cu modi gintili,
brazzu valenti e canzuni d' amuri
doppu jlnnaru cci vinni V aprili,
doppu li spini si cuggliiu lu ciuri.
* Non potea meglio esprimersi questo concetto, ch'è lo ^
di quello di Dante {Purg., XXIV, 52-54) :
. ..." I* mi son un che, quando
" Amore spira, noto, ed a quel modo
" Che detta dentro, vo significando „.
^ Annckca (da annacari) , culla. £ tutto il verso si mU<?
e la rama che culla il pomo d' oro la vedi e la senti.
LA RIGINA DI LI FATI. 11
L' Amuri e la Virtù su' triunfanti,
LIO lu dinaru, e mancu li putenti:
.a Fata di li setti cchiù galanti,
:ra porta 'na curuna risplinnenti
3hina di ciuri e di petri domanti,
" nnamurati la v^sanu li venti :
"aciti largu, ca junci l' Amanti ;
vannu a la chiesa cu cori cuntenti.
Tutti li genti cìirrinu a la via,
z^ùrrinu tutti cu leta primura :
— Guarda, ca passa la so Signuria
s di li Fati porta la Signural
^uantu ricchizzi ! quanta gintilia I
::;hi bedda perna a la bedda curuna ! —
lr*assa la cavarcata e si pumpia \
^ centu paggi cci fannu curuna.
Luci, addumata finn a li purtuna,
cii soni e canti la gran Turri è china ;
>^annu a la festa tricentu Baruna:
— Dicìtimi, pri cui tanti lìstina?
— Hannu purtatu la nova i)atrLma,
di li Fati purtaru la Rigina :
li stissi petri, lu suli e la luna
rìdinu allegramenti stamatina. —
Guditivi filici la curtina ',
Taneddu, chi vi uniu, nun lu rumpiti;
Si pumjna, si pompeggia.
Adesso è il poeta che apostrofa gli sposi.
12 LEGGExNDC POPOLARI SICILIANE
si r unna va e veni a la marina,
lu scògghiu sempri firmu lu viditi.
Ora prigamu la Matri divina
e laudamu a Dia tutti cuntriti,
'nta sta misira vita pilligrina
spàrgiri li so'gràzii infiniti.
E lu pueta sti rimi ha cumpiti
supra di la Rigina di li Fati
pri fari onuri a li Gustanti ziti,
pri nnorma a li picciotti 'nnamurati ;
cci vonnu arti valenti e puliti,
tempu e custanza e lìdilitati:
si a Micheli Abbatissa audiriti,
cuntenti di V amuri vi truvati.
(Partinico),
Annotazioni e Riscontri.
E questa una delle più graziose e gentili leggende sicil
dipingendo in versi di fattura mirabile la calda passione
more e alcune usanze nuziali: unica e poi nel suo genere
alcune reminiscenze cavalleresche che conserva, le quali ii
cilia sono a dir vero assai scarse. Lo scopo, che si prefigj
poeta (un ignoto Michele Abbatessa) nel cantare gli amori
sponsali della Regina delle Fate, e nettamente dichiarato
r ultima stanza. Non bisogna tacere intanto che la forma tr
elegante e talora ricercata della poesìa fa dubitare assai e
origine popolare di essa: ò certo però che oggidì corre nr
diffusa per le bocche de* popolani.
IV.
La Vèspirn Sicillanu.
La Sicilia è la terra di li rosi,
biuidittu lu Diu chi nni la liei !
nta lu 'nvernu pruduci tanti cosi,
lu beni surgi di ogni paisi:
Trapani viva ! lu sali arricosi *:
viva Missina, dda donna lìlici I
Palermu ha lìrmatu tutti cosi
pri dàricci Tassaltu a lu Francisi.
K lu Francisi cu la so putenza
11 Sicilia facia malacrianza;
lu pani nni livava di la meuza,
Francisi si vidianu ad ogni stanza:
iddi, fìdannu nni la so putenza,
e nu', mischini, sutta la so lanza;
'nta un'ura fu distrutta dda simenza,
fu pri tunnina salata la Franza '.
* Son celebri le saline di Trapani.
^ Salari pri tunnina unu, vale ammazzarlo tagliandolo a pezzi,
''ome appunto viene tagliuzzato il tonno che dee salarsi.
14 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
'Na vuoi pri li strati chi gridava:
— Nun lu sintiti a Vèspiru ca sona?
ed ognidunu rarmi si pigghiava
e centra lu Trancisi nesci fora.
Tuttu lu populu vinnitta gridava;
puru li donni vonnu fari prova;
lu sangu tradituri ognuna abbrama,
pirchl lu sangu l'onuri arrinova.
Lu spiritu di Diu 'n frunti Tavemu,
Tonuri di la donna strallucenti;
sta giurlanna cu' è chi uni la leva
cci veni a 'mpetta Pròcita valenti ^,
vennu li Saraflni di lu* celu,
sangu pri sangu cu li spati ardenti !
Sicilia, porti la cruna riali,
'nta ssa tò testa magna cci cunveni,
ca si' cchiù ricca di lu stissu mari
e li to' fìgghi su' tutti guirreri:
si qualchidunu cci havi a cumannari,
passassi sutta si curaggiu teni *:
Sicilia, Sicilia, 'un dubitari,
nuddu ti pistirà sutta li pedi I
^ 'Mpetta^ fa difesa col petto. Giovanni da Precida,
vendicatore dell' offeso onore delle donne , vive nel!' affet
memoria del popolo.
' Parlare alquanto furbesco, che vale: scenda alla pro\
me se ha coraggio.
LU VÈSPIRU SICILIANU. 15
Senti la Francia ca sona martoria;
no, ca la Francia 'un veni cchiù 'n Sicilia!
Viva Sicilia ca porta vittoria,
viva Palermu, liei mirabilia !
Sunati tutti li campani a glòria,
spinciti tutti l'armi tirribilia,
ca pr' in eterna ristirà a mimoria
ca li Francisi ristaru in Sicilia *.
Si sbència lu Francisi e nu' la 'nzerta ^,
ca r havi cu' na 'mmàgini di carta * ;
e Sicilia cci dici: — Statti all'erta,
ca ora li grapiu l'occhi la gatta:
salata nn' arristau la Francia sperta
e 'nta un varrili si vinni ed accatta.
(Borgetto).
Annotazioni e Riscontri.
Questi frammenti, che in taluni comuni dell'isola si cantano
nandio staccati, fecero probabilmente parte di qualche poe-
etto , ora perduto, che narrava la famosa strage del Vespro
nliano (31 marzo 1282) e la guerra che ne conseguì; onde mi
parso importante il darli qui uniti, abbenchè in altro mio
* Vi restaron per sempre, vi lasciar on le ossa.
' Si vendica, ma la sbaglia, la fa a vuoto.
^ Vedi qui sotto: Annotazioni e Riscontri,
Ih IXGGE2CDE PiVOLARI SICILIANE
lavoro li aTessì già messi in lace. commeatandoli. insieme ad
altri canti del popolo clie stanno a se e si riferiscono al me-
morando avvenimento (v. La «taria nei canti pop^ sicil^ cap. II,
néiV Archivio Miorico firUiano di Palermo , anno II , pag. 44 e
segg.', Del quale. C'.»me eostante e tenace si conservi presso gli
Isolani la ricordanza, si pnò vedere, oltre che da questo bran-
dello di poesia, dalle varie narrazioni in prosa che corrono tuttodì
presso il popolo e che dal Pitkè e da me furono pubblicate
(v. PiTBt, BMiot, ddU tradizioni pc^p. ««7.,vol. VII, pag. 41-54:
— e SxLO^osE-MAanro, Tradizione e Storia, pag. 10 e s^.). Esse
giovano a completare e commentare in alcuni punti i frammenti
IHKilci, massime pegli accenni dei versi 15, IG, 48, 51 e 52. Per
•questi, giova qui ricordar brevemente, come quella distruzione
dei Francesi in ungerà soltanto non è che una esagerazione che
si permette V infiammato poeta, e non altro devesi intendere
che il tempo relativamente brevissimo di un mese, nel quale
con attività costante e consiglio fu compiuta la liberazione del-
l*lsola. Kon vera e inverisìmile è la tradizione che 1 Siciliani,
dopo la strage degli Angioini, tolte a' cadaveri di questi le
pu'ieiiùe, le spcàisaci'o ia Franclu lu baiiìi Ui tonno salato :
come fola inverisìmile è pur l'altra, che i Francesi, bramosi di
vendicarsi maisempre de' Siciliani e non ne trovando il modo,
si contentano in ogni anniversario del 31 marzo di bruciare
pubblicamente la carta geografica della Sicilia. Noi abbando-
niamo volentieri al popolo ignorante i suoi postumi e ingene-
rosi rancori e le odiose tradizioni ; e terminiamo questi righi
notando come nei versi 31 e segg. della nostra leggenda, esul-
tandosi per la regia indipendente corona acquistata dalPlsolay
sentesi in certo modo l'impeto guerresco e il fuoco e la baldanz»
che seguono alle sudate ma chiare battaglie, che i Siciliani, tutti
mutati in militi della patria, guadagnavano sugli Angioini.
V.
Li dui Sbannutl di la Vosca di Partlnlca.
Prima chiamamu a Diu nostra Sìgnuri
ca Iddu sijlu a nui nni pò sarvari;
Diu si m'ajuta cu lu so favuri,
la storia di dui Sbannuti haju a cantari.
Ora vi cuntu tuttu lu tinuri
di Ninu comu s'happi a 'nnamurari;
senti a chi pòrta lu focu d'amari,
vita di 'nnamuratu è vita mali.
La quasanti iddu fu di lu so mali \
fu la mina di tutta la vita.
La Cuntissina la vitti passari
a cavaddu a 'na mula ben pulita:
— Celu I chi bella giuvina riali !
lilici sempri fora la me' vita * I
idda m'ama, o iu mi fazzu amari,
la Cuntissina sarà la me' zita.
La quasantiy la causa.
Tora, sarebbe. Sottintendi : se io la possedesiti,
•alosiose-Marino. — Leggende pop, sic, 2
18 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
— Chista partita e sparaggiata assai *,
(Brasi, lu so frateddu, cci dicia *),
li scogghi di stu mari* tu nun sai,
statti a lu tò caratu, ascuta a mia •. —
Ma Ninu era cicatu quantu mai
pirchì l'amuri tuttu l'abbincia;
nun vidennunè priculi né guaj,
li palori di Brasi 'un li sintia.
'Na pazzia d'amuri accussì forti
pr'ammuccialla cci voli senzu ed arti *,
cà si metti a pirìculu di morti,
'na morti chi l'arriva ad ogni parti.
Ninu, d'allura cci ridiu la sorti;
^ troppu si nni fldau di la so arti;
cà quannu truzza cu la petra forti,
la lancedda 'ntra un àtimu si soarti '.
Di tutti parti lu palazzu gira,
voli vidiri dd'ucchiuzzi addumanti;
* *8paraggiata^ disuguale, di condizione diversa.
' Fratedduy non .fratello, ma cuggino.
^ *8tatti a lu tò caratUj non ascire dalla tua condizione, dalla
taa classe.
* Ammueeialla, nasconderla. Senzu e sènziu, ingegno.
^ Quando la brocca urta nella pietra, si spezza sabito. Lan-
cedda è voce oggidì quasi affatto in disuso in Partinico, ove è
sostituita da quartara; è però comunissima nella più parte del*
risola. Atimo per momento usò T Ariosto, Ori, Fur, II, 37.
t
LI DUI SBANNUTI DI LU VOSCU DI PARTINICU. 19
inancu la stissa notti s'arritira
e fa la vita di l'àutri amanti.
La Guntissina paranchi suspira,
ma di lu patri so prova lu scantu;
currispunni cu Ninu e nun si lira \
ck sempri la sirvitù havi davanti.
Una nuttata a li ranti a li ranti ',
quannu chi tutti durmianu li genti,
Ninu cu Brasi, frateddu Gustanti,
a palazzu vinia sigretamenti:
^x)i trimava lu cori 'ntra ddu 'stanti,
ma Tamuri chi prova è cchiù. putenti;
Ninu cci fa li 'nsigni a la so amanti, .
tràsiri spera e ristari cuntenti.
Ma 'n tempu un nenti, fora lu purtuni
armati di fìlecci e di scarcinl •
spùntanu cchiù di trenta cu fururi
e cci dùnanu supra a ddi mischini;
cu' uni voli la peddi e cui lu cori,
inancu fussiru carni d'assassini!
Ninu cu Brasi scàppanu a buluni,
« appressa d'iddi li cani 'mmistini *.
Doppu di tantu curriri, a la fini
li dui frateddi si trovanu suli
Jhm 8Ì fira^ non si fida di nessuno, sta in sospetto.
^ li ranti, a li ranti, rasente rasente (delle case).
J'Hecci, frecce. Seareini, squarcine.
''Mmistini, mastini.
20 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
janti a lu Voscu, 'ntra macchi e 'ntra spini,
a ura appiintu chi nesci lu siili:
ddà fannu posa Tamari mischiai,
làciri, stanchi e chini d'attirruri • :
ora 'ncumenza lu veru patiri,
cà su' sbannuti comu dui latruni.
Lu Voscu di Partinicu fa tirruri,
li sbannuti cci stannu cu Tarmali;
havi d'arvuli tanti e di macchiuni
ca mancu si cci pò 'na via truvari.
Ninu cu Brasi cci stannu tutt'uri,
pri nenti si prisùminu affacciari,
cà cc'è lu Conti cu lu so squatruni,
sangu pri sangu li voli ammazzare
Chi malu statu, chi malu campani
agghiorna e scura, e nun cc'è diffirenza :
a la so Terra nun ponnu turnari,
chista d'amuri è la cunsiquenza.
— Brasi, frateddu, chi vulemu faiì ?
tu ti chianci pri mia la pinitenza:
st'amara vita è 'na vita murtali
si 'un cci truvamu nudda 'spirienza '. —
'Mmenzu lu celu nun luci ^na stidda
e 'ntra lu Voscu lu scuru si fedda;
* ^Attirruriy terrore.
' *^Spirie'ma, espediente, rimedio.
LI DUI SBANNUTI DI LU VOSCU DI PABTINICU. 21
Ninu CU Brasi stannu a 'n'agnunidda,
iiun dòrminu e lu sènziu coi smacedda * :
Ninu ha lu cori quantu 'na nucidda ',
voli chiudiri l'occhi e li spatedda •;
e si lu venta movi 'na cimidda,
pari ca dici: — Guardati, pateddal —
S'avianu appinnicatu allura altura *,
ca sàtanu a l'addritta spavintati :
— Sàrvatil sarval ca lu Voscu adduma ',
^ d'ogni latu semu circunnati I
Cìiusta la ripitau la me' vintura
lu cuccù cu li so' picchiuliati *:
mischineddu di mia, ch'è junta Tura,
la putènzia vinciu l'abilitati I
Semu circati comu li Francisi,
«omu ddu svinturatu di Purcasi,
51 sintenza di bannu semu misi,
lini paghirìanu a pisu d'oru, Brasi.
"Mmalidittu cu* nasci a sti paisi 1
trovi li Giuda pri li casi casi;
^Smaciddàrisi, v. rifl , corrodersi, logorarsi.
^a il cuore quanto una nocciola, cioè timidissimo.
^t spcUedcUky li spalanca.
S'erano appisolati appena.
■Adduma, è in fiamme.
Il canto della strige è ritenuto dì cattivo presagio.
22 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
(» si pigglii li vòscura e li ddisi \
miirirai disx)ii*atii e di miciaci *. —
Ninu cu Brasi si la scapularu,
supm Calataiimi si nni jeru;
comii a ddu locu subitu arrivaru,
di jiri fora iiciru pinzeri *.
— Lu statu di sbannutu ì» troppa amaru,
sempri la morti vicina ti veni :
hàmii a lassari stu paisi caru *,
la Guntissina chi mi voli beni.
Vidi ddà 'n facci vidi li Pileri ' i
vidi cchiù jusu unn'è Casteddanmiari ^
Prima chi l'umbra di la notti veni,
supra ssa praja nn' havemu a truvari •;
ddocu lu Conti putenza nuu teni,
chissu è lu locu chi nni pò sarvari.
Amuri, chi m'ha' data tanti peni,
chista è Tultima pena chi m'ha' dari' ! —
* Ddisa, ampelodesmo; qui sta per mo«^c, pigliando IjP' P
pel tutto, essendoché sui monti suole crescere questa pic*^**'^'
* Mìciaciy fame.
^ Jiri fora, andar fuori il Regno, esulare.
* Notisi come poco innanzi ha maledetto questo suo f'^^'** '
che ora, neiratto di lasciarlo, dice caro.
^ Pileri di Vàroarii chiama il popolo Tantico tempio dì S«^^'
sta, tuttora abbastanza ben conservato.
^ Praja, spiaggia.
' Qui manca un'ottava, che non ho potuto avere e ohe ricorda
LI DUI SBANNUTI DI LU VOSCU DI PARTINICU. 23
Nun cc'era cchiù la iiivi a li muntagni;
lu celu com'un specchili strallucia,
eranu tatti ciuri li campagni,
chistu guardava a chiddu e cci ridia....
E Niuu e Brasi, Tamari cumpagni,
vannu suli e scuntenti a la campia *,
ca di li peni hannu li testi bianchi,
Tarma accasciata di malancunia.
La via chi fannu li porta a lu mari,
ddà cc'è'na varca chi asi)etta li venti:
— Rima, cumpagnu, e nun ti custirnari,
chistu 'un è locu ca cci vennu aggenti. —
Lu ventu 'n puppa li porta 'n canali ;
viva San Petru, ca Tafilitti senti I
Su* fora Gulfu e la terra scumpari,
Ninu chiancennu fa chisti lamenti :
— Senti la vuci mia, stidda Diana,
Cuntissinedda graziusa e lina :
la sorti scilirata m'alluntana,
cui sapi a quali fini mi distina !
Capu San tu Vitu e Capu Rama *,
chi aviti abbrazzatedda sta marina,
vitadeMae Banditi nei pressi di Castellamare del Golfo dil-
ata la stagione d'inverno.
^ Campia^ campagna.
^1 Capi Santo Vito e Rama son quelli che limitano il Golfo
^^ Castellamare e, secondo la bella ed appropriata immagine del
[>oeta popolare, ne abbracciano le acque.
24 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
(liciti a la Guntissa guannu chiama:
Tumirà, turnirà gualchi matina....
(Partinko).
Annotazioni e Riscontri.
Il Bosco di Partinico, situato tra la città di tal nome e quella
d^Alcamo, ** acquistò trista rinomanza per tutta risola nell'evo
medio, a cagion del gran numero di banditi che, albergandovi
con tutta sicurezza, infestavano terribilmente i paesi circostan-^
ti. Conosciamo come circa il 1309 il capitano Sala pervenisse
quasi completamente a purgare di tanta peste la contrada, onde
in segno di benemerenza il nome suo fu congiunto a quello dì
Partinico, che d'allora in poi si nomò Sala di Partinico', ma la
mala pianta ripullulava in una località, che porgevasi tanto op-
portuna e propizia; onde alla metà del cinquecento il Fazzello
potea lasciare scritto, essere il bosco " per cagion de' grandi as-
sassinamenti notissimo „, e che però fu d'uopo al suo tempo di
tagliarlo e svellerlo, per tramutarlo in estesissimo vigneto. Fin
ad oggi quelle campagne son coperte da vigne e da ulivi, ma
tutta la contrada conserva inalterato il nome di Bosco „ (vedi
Salomone-Marino, Tradizione e Storia^ pag. 12).
La nostra leggenda, che ha principale azione appunto nel Bosco
(li Partinico, potè con probabilità avere sua origine nel secolo
XIV, quando, dopo i memorabili Vespri, la baronale potenza co-
minciò a sorger gigante e opprimere il prode e generoso po-
polo. Un accenno importante nella stanza tredicesima, rimaso
inalterato perchè nella rima, ci richiama appunto a cinque se-
coli addietro. Ben osservò in proposito il Pitrè che dal primo
verso di essa stanza "' appare che la memoria del Vespro era
tuttora viva nel popolo: oggi nessuno direbbesi perseguitato
LI DUI SBANNUTI DI LU VOSCU DI PARTINICU. 25
come un Francese^ (v. Biblioteca deJle tradiz. j)op. sicil.^ voi. 1,
pag. 105, nota 1). Dello sventurato Forcasi, nominato al verso
2", nulla sappiamo; certamente dovett 'essere, secondo opina il
dtato PiTHÈ (op. e loc. cit.). una vittima di persecuzioni baro-
nali poliziesche del tempo suo. Non è forse inopportuno il ri-
cordare che all'est di Partinico, poco pili in giù del Borgetto,
nna località porta ab antico il nome di Petra di Purcasi: il per-
chè di tal nome neppure la tradizione popolare ce lo ha con-
servato.
Di questa leggenda pubblicò sette stanze il Pitrè, nella cit.
Bmiofeca delle tradizioni pop, siciL, voi. II, pag. 120 e segg.
VI.
Gatarina.
Passa un jornu lu Baruni:
— Catarina, occhiu di Dia,
eu ti dugnu lu me' amuri
ai ti fai cumpagna a mia ;
si' palruna di lu Casteddu,
sunnu toi li me' Stati....
— Eu cci vegnu, Baruneddu,
ma suspettu 'un mi lassati ^
— Eu ti dugnu lu me' aneddu,
Barunissa di lu Casteddu.
— ET amanti eh' haju amatu ?
— Lu mittemu carzaratu.
— Ma si parrà la cuscenza
e lu cori mi turmenta?
— Cu' è ricca, sta sirena,
e pr'amuri nun si trema :
* Suspettu^ dubito.
CATARINA. -il
h tò amanti no t* ha pinzatu.
Qta qoattr anni *un fha spusaUi. —
Catarina e lu Baruni,
cimmati d'alligrizza,
iaimu festa tutti V uri
atra li sciali e la prannizza :
Catarina a tutti aranza,
ÓDCQ Stati sutta d' idda,
mmenzu Foru e Tabbunnanza
luci e rìdi cximu stidda.
E ramanti abbannunatu
In Baroni l' ha pigghiatu :
~-Tu si' foddi, lu si' pazzu,
lauda a Din ca nun t'ammazzu !
U vassaliu mala spina
^^ pritènnirì a Catarina ?
^'^ la robba di lu Siguurì,
*w Signnri un' è patnini.
^catinàtilu ben forti
** nchiuvàticci li porti. —
La sigreta di lu Casteddu
havi a Paulu mischinu ;
Qtra li peni e lu smaceddu ^
<^inu fa, eh' arresta a-ìvu f
Cchiù nun vidi suli e stiddi,
<Aiù nun vidi suli e luna,
^oredda. afflizione, tormeuto di spirito.
LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
sempri scuru attornu d'iddu,
scurii e barbara furtuna.
— Comu pazzu a la catina
in' hannu misu, o Catarina :
àutru t' havi 'ntra li manu,
pinna, mància e si pillicca ^ ;
eu nemmancu di tantanu;
cori miu, ca Tarma è sicca I
Gei durmii stracuratu ',
mi cridia eh' era sicura ;
e lu latru m'ha lassato
lanziatu, nudu e crudu.
Comu Santu eu t' adurai;
tu cuntavi ed eu cridia,
tantu critti ed ascutai
eh' annigau la varca mia ! —
Ccussi sparra, puvurazzu,
'ncatinatu com'un pazzu I
Catarina e lu Baruni
fannu festa allegramenti,
e l'amaru puviruni
chi si strazza cu li denti.
L'oru è primu putintatu,
chi mai perdi, chi mai cedi,
ca pri l'ora ammunziddatu
scinni Cristu di li celi.
* Si pillicca^ Sì lecca le dita o le lab'
' Stracuratu^ trascurato, ÌDCurante.
vu.
Donna Pina \
Mentri chi Donna Pina era di notti
sula suiidda 'ntra la gallarla,
l'ùmmira coi cumpai*si di la Morti
e cci dissi airata : — Figghia mia !
no, nun ti spavintari, statti forti,
iu Don Manfredo su, chi liei a tia •:
unni jeru li scavi e guardaporti,
ioni, Targentu e la tapizzaria?
Donna Pina, fa' li canti a mia :
pirchl si' misa pinzirusa e invasa?
sula di notti, sapiri vurria
chi va' facennu pri la casa casa ?
' £ altrimenti eonosciata col titolo Vòmmira di lupcUri (L^oui-
ttfa del padre) massime ia Palermo, dove io n^ho raccolte due
arìanti men complete e men belle del testo carinese, che ho
ero preferito. Pina è vezzeggiativo di Pellegrina,
* Var. di Palermo: * lu Don Ercnli sii « etc.
'K) LEfìCeNDE POPOLARI SICILIANE
Ora caiiiisciu la vrigogna mia!
ora vju pirchi è persa la me' casal
Tu sta' aspittannu la vili jiiiia *,
(Idu viddaneddu chi ti strinci e vasa '.
La casa mia è ghiunta a la ruina,
nobili era e addivintau viddana :
ti 'mmalidicu a tia, Donna Pina,
ti spugghiasti l'onuri e la cuddana '.
casa magna in bacca a la lavina,
ti tramutasti in casazza tirrana:
ti 'mmalidicu a tia, Donna Pina,
ch'a la mia nubiltà cassi la fama ! —
Scrama, attirruta, Donna Pina allura *
e cadi 'n terra priva di palora:
curri la cammarera cu primura,
era attassata, cu l'occhi di fora '.
* Jinia, genia, schiatta.
2 Variante di Palermo :
Ora m'addugnu di la sorti mia!
tu sta' aspittanaa Tamica cirasa,
chiddu chi cansumaa la casa mia,
ddu surdatedda chi ti striaci e vasa.
^ Cuddana^ collana: qui, per figara rettorica, le ricchezza
^ Scrama o sclama, grida, mette an grido. Dal lat. da
^ Attassata, fredda, morta, come i pesci avvelenati dal
[eujphorbia myrsinites L.).
DONNA PINA. :Ì1
Chista di Donna Pina la vintura:
iiiuriu 'ddannata e pri lu 'nfernu vola;
(li la so casa tradiu Tonuri,
t* 'jiinialiditta uni nisc'iu fora.
La palora, chi ad idda cci parrau,
chissà palora fu chi Taccidiu:
rùmmira di lu patri cci spuntau,
A'itti lu tuttu e la 'mmalidiciu.
li'onuri, cui lu guarda e cunsirvau,
rei luci 'n facci a l'omu e 'n facci a Diu :
Donna Pina pr'esempiu ristau,
Tonuri pei-su e 'ddannata miirin.
(Carini),
vili.
La Vinnitta.
Dàlinni fidi, onnipii tenti Diu,
lidi e pacènzia a tutti li pii'suiii,
r/d sema 'n bucca a lu nimicu riu,
scattivàtinni vui di stu tirruri ^ :
chiddu chi era miu, nun è cchiù miu;
lu munnu è chinu d'abbusu e fruduri • ;
la paci di li casi nni finiu,
li porti su' di niuru culuri *.
Una storia vi cuntu di duluri ,
la gran vinnitta d' un giuvini ardilu.
(ìc'era Maruzza, 'na scocca d'amuri,
(j Nardu cci mannau pri partitu * ;
eranu d'un caratu e d'un tinuri
e lu 'nguàggiu s'ha fattu ben pulitu ' :
* Scattivàtinni, toglieteci dalla cattività, liberateci.
* * Fruduri j inganno» frode.
-* Gru antico costume di tingere iu nero le porte esterne '
case ove c*era lutto.
^ Mandò a chiederla in isposa.
'"* 'Xguagffiu, sponsalizio.
LA VINNITTA. 33
itateddi di vintiquatfcr'uri,
i era la mogghi e lu mari tu.
lì marita la sira avia nisciutu.
torna e batti : — Grapi, cori amatu. —
Gamperi l'afferra e l'ha 'mpidutu ^ :
Ihi vai facennu, sènziu smannatu ?
uzza ad ora assa' s'ha divirtutu :
>onti, era la sua, si l'ha pigghiatu;
di chisti dui: o ti fa' mutu,
Lmi la tò peddi è a malu stat.u. —
rristau siccu com'un allampatu,
idi li gammi e l'occhiu parpagghia • :
ìd'omu feru si l'avia lìlatu
era scuru lu celu e la via.
i ca porta dd' àriu scunsulatu
i'uci di Maruzza, chi chiancia ;
<lu sx)ara 'na vuoi dispiratii :
u perdi la so vita e chidda mia ! —
li du' jorna un toccu si sintia ;
a, campana, lu martòriu sona I
uzza in sepurtura si nni jia,
•ra di li guaj dd'armuzza bona,
du ha spirutu, è persu a la campia;
aspittannu la sorti, si la trova :
ìjerij propriamente custode di campi e di feudi ; ma i
sono bravacci de' padroni, come nel caso presente.
pagghìa, trema, lappoleggia (Tommaseo).
)NE-Marino. — Leggende pop, 8Ìc, H
34 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
voli vinnitta, e vinnitta sia,
cà la vinnitta l'onuri arrinnova.
Una simana cuitì e 'n'àutra ancora^
lu Conti nun li lassa li so' mura:
a lu cori coi parrà 'na palora
chi veni di la frisca sepurtura :
attirruutu, voli jiri fora,
chiama li so' fidili cu primura:
— Prestu a la càccia ! — E la trummetta so:^'
lu Capurali di li cacciatura.
Parti la cavarcata di bon'ura,
passa la vaddi, lu munti e lu chianu;
'nfìla lu voscu di la Gran Signura *
e a Cacciari cci dùnanu manu:
li fracassi, li vuoi e li rimura
si sèntinu du' migghia di luntanu;
cà, quamiu lu distinu tocca Tura,
tutti curremu cechi a lu so chiamu •.
Cu lu so chiamu ha tiratu a lu Conti
unni lu ciumi è strittu e fa tammùsciu •:
ddà cc'era Nardu curaggiusu e pronti,
misu a la posta, attentu ad ogni scrùsciu * ;
* Il Bosco di Santa filaria di Calatamàaro ?
' Il popolo siciliano è fatalista oltre ogni credere.
^ *TammÙ8ciuj rimbombo.
* Scrùsciu^ rumore.
LA VINNITTA. 35
3t l)alistrata arrassu di lu ponti '
imeiizu la so campagna lu canusci • ;
Pxì l'arma di me' pa' ! 'nfami di Conti ! —
lu corpu, e sùbita s'accoscia.
E ddà s'accoscia, e nun curri e nun fuj •,
ritenta ca a la lini si sbinciau.
.di lu Conti, e nun cci vitti echini,
rxiancu dissi: Gèsuf e trapassau.
hisinnu pigghiatu li stafferi sui,
£>ra 'na mula a palazzu turnau;
^ supirchiarii nun nni fa echini,
^ lìlicciata allura raggiustau *.
lu palazzu a luttu si parau:
:> chi risbigghiu I oh, chi ciueiuliu ■ I
XJn burgiseddu a lu Conti ammazzau !
^u lu Diu giustu chi lu siccurriu • I —
• sintenza pri Nardu già sunau ;
^^cnani ee'è la furca pri castju.
^'X'du a la carzareri cci parrau :
"^ lu di sta morti mi nni jocu e rju '.
cMando questa poesia nacque', la balestra non era smessa
^rme comune. Arrassu, lontano.
Cumpagna per compagnia è in Dante, Inferno, XXVI, 101.
^ilieciata, frecciata.
^isbigghiuj agitazione, commozione: ciueitdiuj pispiglio.
Sliecurriu, soccorse. Una variante:
Forsi chi la sintènzia fu di Diu.
JRju, rido.
36 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
'N sonnu ha vinutu lu patruzzu miu:
FigghiUy ti binidicu aternamenti;
Vha' vinnicatu tu lu sangu miu,
l'onuri di la casa è arre' lucenti!
Patri, puzzati gòdiri cu Diu !
ora ca sàcciu ca siti cuntenti,
binchi sentu la vuci e nun vi vju,
sti catini e martirii nun su' nenti.
Patu, ridtmnu, tri mila turmenti,
basta ch'happi lu sangu di lu Conti:
vaju a la furca cu cori cuntenti
e pri lu 'nfernu puranchi sii pronti;
mi jettu 'ntra lu focu allegramenti
e pri la tigna appatànciu a lu Conti * ,
cci scippu lu curuzzu cu li denti,
lu strazzu, e cci lu sputu 'nta la frunti I —
Vinni lu puntu di jiri a la morti,
Nardu cci jiu cuntenti e ralligratu;
Nardu 'un la miritava chista sorti,
cà giustamenti s'avia vinnicatu.
Cunigghiuni lu chianci a vuci forti
a stu giuvini arditu e sbinturatu :
Tonuri di la casa è santu e forti,
sempri triunfa lu nnomu onuratu.
{San Giuseppe
* Appatànciu, afferro.
LA VINNITTA. 37
Annotazioni e Riscontri.
) memorando ed avvertimento solenne a chi, fidente
possanza, osa contaminare il sacro talamo conjugaley
ggenda è una delle più notevoli della presente rac-
solo pei ricordi della antica prepotenza baronale sui
\e\ costume loro di uscire a magnifiche cacce , della
le avevano di tener carceri ed eriger forche, godendo,
jvasi, il mero e misto imperio; ma è notevole eziandio
na, varia, splendida , drammatica. La scena ultima ,
gna del pennello di Dante.
^riante del 5° verso dell'ultima ottava porterebbe la
Corleone a Btisacchino^ un'altra a Castronovo,
IX.
OiciUa.
Cicilia, Cicilia
chi chianci notti e di
cà so marita è in càrciaru,
lu vonnu fa' miu*i'.
— Cicilia, Cicilia,
si tu vo' beni a mia,
va' nni lu Capitàniu
si mi fa grazia a mia.
— cani Cai)itàniu,
fammi chistu piaciri,
cc'è me' maritu in càrciaru,
facitilu nisciri.
— cara mia Cicilia,
dormi cu mia 'na notti,
e po' dumani a ghiornu
iu cci grapu li porti.
gigìlia. B9
— cani Capitàniu,
a iddu lu dirrò,
e si di si mi dici,
iu mi cci curchirò. —
Ha ghiutu nni Pippinu:
— Marilù miu, eh' he fari ?
— Si, si, bella Cicilia,
'na vota cci pò' annari :
vacci 'na vota sula
e sarvami la vita,
sinnò lu Capitàniu
pri certu a mia mi 'mpica * .
— caru Capitàniu,
Pippinu ha dittu si ;
andamunni a curcari
ch'è ura di durmì'. —
Vicinu a menza notti
Cicilia suspira,
si vota, si rivóta,
si torci e s'arritira.
— Chi hai, bella Cicilia,
chi abbaschi d'accussi * ?
— Haju 'na dogghia 'n cori
ca mi sentu muri'.
tpica, mi impicca.
cari, sospirare.
LEGGENDE POPOLARI SiaLIANE
Chi nn'è di me' maritu ?
lu sùspicu m'affanna *;
haju lu cori niuru,
a mia mi trema l'arma.
— Zittu, bella Cicilia,
leva st'adea scura •,
ca tò maritu è libiru,
ò libiru a chist'ura. —
Cicilia affaccia fora
all'arba a lu barcuni,
vidi a Pippinu 'mpisu,
li pedi a pinmiluni.
— cani Capitàniu,
m' aviti ben tradito !
l'onuri a mia livastivu,
la vita a me' maritu !
— Zittu, bella Cicilia,
min fari d'accussi;
cc'è Conti e Cavaleri,
cci sugnu iu pri ti'.
— Iu nun vogghiu Conti
ne mancu Cavaleri,
vogghiu a Pippinu mìsaru
binchi surdatu era.
* Stispicu, sospetto, timore.
* ^Adea, idea, pensiero.
CICILIA. 41
Mi vestu di trucchettu *
vaju in facci a lu Re,
cci CLintu lu suggettu
chi aviti fattu a me. —
'N facci a lu Re ha ghiutu :
— Grazia, o Mais tati !
— Chi grazia voi, Cicilia,
cu st'abiti alluttati?
— Lu cani Capitàniu
a mia m'ha ben traditu,
l'onuri m'ha livatu,
la vita a me' maritu.
— Zittu, bella Cicilia,
nun chiànciri accussì ;
giustizia ti fazzu
a tò maritu e a ti':
àutru nun pozzu fari,
iu ti lu spusirò;
doppu tri ghiorna spusu
iu ti l'occidirò.
— Doppu tri ghiorna spusu
a mia pena mi fa :
chissà nun è giustizia
ne mancu carità.
^^ ^^eheltu, e pili comunemente Riicchettu , roccetto , sorta
ai amica armatura.
42 LEGGENDE POPOLAEI SICILIANE
Oh Diu I chi fussi morta I
e poi mi sippilliti
tri migghia arrassu Roma
'nsèmmula a me' marita. «—
(Palermo).
Annotazioni e Riscontri.
La Cecilia non è indigena dell'isola, ma è una evidentissima
importazione dell'alta Italia, dove è assai comune. Quando non
altro, la rivelerebbero per non siciliana le parole italiane ma-
lamente sicilianizzate e tutti quei tronchi, a' meridionali non
proprj. La forma stessa, con cui tutto il componimento procede,
la distacca dalle leggende peculiari a* Siciliani. (Vedi a pag.
32 e 33 della mia Baronessa di Carini, 2.* ediz.]. Kè diversa-
mente da me ebbe a considerarla il Pitrè, che ne disse alcuna
cosa nei suoi Studi di poesia popolare (pag. 294-295).
Le varie lezioni della Cecilia, finora stampate in Italia, ap-
partengono: una al Monferrato (Ferbaro, n. 21 p. 28), una a Como
(BoLZA., pag. 671), due a Venezia (Wolf, pag. 64: BEBNoari, pun-
tata V, n. 7), una a Pontelagoscuro (Febra.ro, n. 22), una alle
Marche (Giannandrea , pag. 265), una a Roma (Sabatiiti, n. 9),
una a Napoli (Imbriani, nel Propugnatore di Bologna anno VII,
parte 1*, pag. 394 e segg., ove è pure riportato uà cunto di
Montella suiristesso argomento), ed una all'Istria (Ive, XXIV,
5, pag. 326). La leggenda è pur diffusa nella Spagna: ma Po-
rigine sua è proprio delP alta Italia e della prima metà d^
sec. XVI, come con erudite e sagaci ricerche ha provato il D'Ah-
coNA a pag. 121-123 de^ suoi importantissimi studj su £a poesia
popolare italiana.
X.
Giccina.
L'haimu purtatu supra 'na vara,
parma e curuna, ciuri a migghiara ^ ;
parrini e mònaci cu nìuni man tu,
la cruci avanti, Tamaru cantu;
chini di populu strati e barcuna:
— Chi bedda virgini va 'n sepultura !
— Genti, dicìtimi: comu muriu?
— So patri nÌLiru la iiccidiu !
Di quinnici anni era Ciccina,
parma d' amuri galanti e lina :
lu friscu e V ùmmira di li so* rami
Turiddu bellu vinni a circari ;
* Un* antica gentil costumanza orna di fiori, di corona e di
palma la bara fnnebre della vergine; probabile avanzo delle
corone di fiori , che la pagana Roma concedeva al capo delle
defunte Vestali.
44 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
ed idda amabuli, cu curtisia,
ciammi d'amuri currispunnia ;
spirannii aspetta, lìrma e fidili,
lu spunsaliziu ch'havi a viniri.
So patri un jornu la chiama e dici:
— Penzu di fàriti, lìgghia, filici :
ce' ò un riccu giuvini, lu sàcciu iu,
ca quatra beni a lu sènziu miu :
eu pri maritu ti rhaju purtatu;
Paulu è riccu, riccu sfunnatu :
farai filici tu li to' jorna ;
lu tempu bonu pri mia agghioma. —
So Patri a Ciccia 'ccussì dicia ;
l'affli t la giuvina 'n terra cadia....
— Prestu, lu medicu!... midicamenti !...
Dici lu medicu : — Chistu 'un è nenti. —
Vinni lu zitu cu lu nutaru ;
l'attu lu fìciru, l'attu fìrmaru :
la dota portanu a casa nova \;
lu patri niuru letu si trova.
t
Già si priparanu festi e cummiti
pri onuri e spassu di li dui ziti :
* li corredo della sposa {dota) vien condotto, dopo
solennemente vagliato, a casa dello sposo con pompa, s
nn^antica usanza, che tuttora vive nell' interno SelT Iso
casa maritale è sempre detta nuova, o perchè di nuovo co
(come il più spesso avviene) o perchè si rimette a nuo>
subentra un'amministrazione nuova.
* Cummiti, conviti, pranzi.
CICCINA. 45
aspetta, tuttu cuntenti ,
in chiesa li Sagramenli.
la sira, poi la matina:
lu.... chiamanu.... Morta è diecina !
,tri niuru ! oh chi sbinfcura I
ia virgini va 'n sepultural
(Partinico),
Annotazioni e Riscontri.
per forza del Monferrato (Feeeako, n. 35, pag. A6)
àca situazione; ma la sposa muore la sera delle
dello sposo, ed ella stessa annunzia ai fratelli la
3nte morte e la pompa funebre che raccompagnerà
Nò diverso è II matrimonio per forza di Oleggio
lìiti piemontesi e liguri, num. 11, pag. 164); se non
a giovane, menata in casa dello sposo, gli dichiara
e (the non può amarlo, ond'eg-Ii le trafigge il cuore
XI.
Rusina.
Lu ròggiu di la tnrri
batti la menza notti,
ce' è 'na scuria orribuli *,
chiusi fìnestri e porti;
nun passa mancu un'arma,
lu munnu è attrummintatu •
Rusina a lu barcuni
'spetta l'amanti amatu.
Cu un cavadduzzu arriva
Pippinu 'ntra la via:
— È r ura giustu appuntu,
scinni, Rusina mia. —
* Seurìa, scnro, oscarità.
* *AUrummirUatu, addormentato.
RUSINA. 47
asina sàta 'n grappa * ;
lavadduzzu vola,
campagna nèscinu,
campagna fora.
rida Tamara matri
-flàccia menza nuda:
asina scilirata !
u mi lassi sala?
amuri a tia t'annorva ^,
sa' chiddu chi fai,
m zirbinottu stràniu
ngrata, ti nni vai.
Lgghia, tuttu lu beni
ni lu renni a mali;
lun m'ascuti e fuj,
i resta lu mali ! —
cussi scrama la matri
anu chiantu amaru :
dnu cu Rusina
iuntanu, luntanu ;
matri nuii la sentinu
1 vuci di morti,
uci di r amuri
hiù vicina e forti.
salta.
norvaj V accìeca.
48 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Pippinu cu Rusina
su' filici e biati;
ora, cu' li pò spartiri
dui cori 'nnamurati^
vui patri e matri,
nutati sti palori :
è tuttu tempu 'nùtuli
dari un frenu a li cori:
la bedda a quinnici anni
min voli cchiù a vuàtri ^ :
voli 'ncuntrari e godiri
du' beddi òcchi latri :
Tamuri vi Tarrobba,
Tamuri si li porta ;
quannu Tamuri abbrazzanu,
di Tàutri chi cci 'mxìorta"?
(Montelepri
Aiiiiotazioiil e Riscontri.
Le fughe degli amanti, anche quando sono ufficialmei
messi sposi ma vogliono affrettare il giorno nuziale, son<
cilia frequentissime: di che vedi in Pitrè, Usi natalizi ,
e funebìn del popolo siciliano (Palermo 1879), pag. 135,
Nella leggenda intitolata La fuga amorosa (Pitrè, Bibì, à
^ Vuótrij voialtri, voi.
nusiNA. 49
dizioni ]jop. sicil., voi. II, pag. 104), Titidda fugge col suo Nino
A mezza notte, ia barca, e la madre impazza per il dolore. La
fuga abbiamo eziandìo nella storia di Llsabetta^ che segue la
presente. Nel Matrimonio à\ Ovada (Marcoaldi, num. 3, pag. 153),
i genitori vogliono obbligar la figlia a farsi monaca, e l'amante
va a rapirla col cavallo e le dona tosto l'anello di sposa. La
maledizione materna di Alessandria (Marcoaldi, num. 15 , pag.
170) e Lu fuga monferrina (Ferraro, num. 53, pag. 73) e vene-
ziana (WoLF, pag. 23) hanno maggior relazione colla nostra Bo-
bina: vi è la fuga a cavallo, a mezza notte, e la maledizione
della madre alla figlia; onde questa incoglie male, annegandosi
in mare col cavallo. Anche nelle Rapsodie d* un poema albanese
"(De Rada e Jeno, lib. II, canto Vili, pag. 46) abbiamo l'amante
che ya a pigliarsi l'amata in groppa al cavallo e fugge da' ge-
nitori e fratelli di lei, che l'inseguono per vendicarsi. 11 rapi-
Dìento in groppa al cavallo ricorre eziandio nella Laura di Pon-
telagoscuro (Ferraro, n. 3, pag. 86), nella Monferrina ineonta-
ininata (Idem, n. 2, pag. 3), nella Maledetta del Monferrato (Idem,
n. 27, pag. 35). ed altrove.
Salomone-Mariììo. — Leggende pop. sic.
xu.
Llsabetta.
Lu mi] li cincucentu cu deci auni
'ntra la cita di Trapani, o signuri,
cc'era un palazzu suntuusu e granni
e fu chinu di sangu e di terruri:
fattu nun Tavirianu li tiranni;
vidi a chi puntu strascina Tamuri !
'na picciuttedda'di quattordici anni
patri e niatri ammazzau, persi Tonuri.
Cc'era un Baruni di tanta grannizza,
prigava a Cristu ca ligghi 'un avia;
cunsidirava la so gran ricchizza,
limosina a li poviri facia.
E Diu cci vosi dari cuntintizza,
so mogghi 'na fantella parturia *;
*Fafiteìfa, bambina, faneinìlina.
LISABETTA. 51
vattiata cu pompa e alligrizza,
iJ3etta di nomu cci mittia.
•^a biddizza cchiìi bedda 'un si vidia,
di celu un'àncila calata
3mu un veru suli risblinnia,
tutta la Sicilia annuminata.
iornu in jornu cchiù bedda criscia,
lina, dilicatedda e aggraziata;
Baruni so patri nni gudia,
m e di perni la tinia parata.
k^ccostu d'iddu ce' era 'na casata
n raircanti chiamatu Vinirannu
era di figghioli affamigghiata;
3chiù granni avia nomu Firdinannu :
irdinannu avia 'na vuci grata,
'a soni e canti criscia listiggiannu,
lu spassu di tutta la strata,
ipri cu tutti scialannu e jucannu.
ucannu a suvaleri e a la fussetta,
i pìsuli e airorvu ciminneddu ^ ,
scianu Firdinannu e Lisabetta
èmmula e cu lu cori amuruseddu :
aìtri^ fussetta^ piauli^ orvu ciminnfiddu, gìaochi infantili
ì, che possono riscontrarsi descritti nel Saggio di giochi
.schi aiciliani di Giuseppe Pitrè (Palermo, 1877), ai nu-
, IX, Xll, XV.
52 LEGGENDE POPOI.Ani SICILIANE
spicamiu sempri, causi e fadetla ^
si cugghieru l'amuri becldu beddu,
si 'nnamuraru, e s'idda focu jetta,
iddu havi vampi cchiù di Muncibeddu.
Lu picciutteddu, ch'era cchiù capaci,
sempri chi cci dicia a Lisabetta:
— Si un jornu la furtuna si cumpiaci,
gran riditati la me' casa asfietta;
ed iu ti spusu allura in santa paci,
diventi la mugghieri mia diletta. —
Ad idda stu discursu assa' cci piaci
e 'ntra lu sènziu so cci duna retta.
Lisabetta cu so matri parrannu:
— Mi vogghiu mari tari, — cci dicia.
— Comu ti piaci (chidda ripricannu),
pigghia un Baruni cchiù megghiu di tia.
— Iu vogghiu pri mari tu a Firdinannu. —
La so matri di no cci arrispunnia.
Lisabetta a la matri amminazzannu,
la matri a lu maritu arricurria -.
Sin ti' sta lìgghia ria chi cosa uprau
pri fari modu di putillu aviri *:
* Spicannuj crescendo. Causi e fadetta^ pantaloni e gonnell
cioè il giovanetto e la giovanotta.
* Arricurria, ricorreva (per castigar la figlia).
^ Sottintendi lo sposo.
LISABETTA. 53
'ila vecchia 'a cuntìdenza si chiamali
pri scusa di limosina faciri;
'na Ultra chiusa po' cci cunsiguau :
— Daccilla a Fkdinannu e nenti diri. —
I^ vecchia 'ntra lu pettu Tammucciau,
a Firdinannu la liei liggiri.
Dicia la littra: «Veni a la marina
« dumani sira a la cunlìdata ;
«pripara rohba comu a 'na rigina,
«pripara 'na liluca beni armata,
«ma, di quantu cci na' è, la vulantina ^;
«nun curari la spisa sparaggiata,
«ch'haju haulli di perni e rubbina
<( e di munita d'oru 'na varcata ».
Kldu a sta iiata si anetti in pinzeri,
dici: — Furtuna, eh' he nasciutu a fari?
So patri ò gran pussenti Cavaleri,
iu senza nudda robba nò dinari :
iddu ni' è amicu, e a mia nmi mi cunveni *;
Lisabetta chi penza ora di fari?
idda lu voli ; ma 'un finisci beni;
ogni cosa si veni a scuvirtari \ —
I/anmri è forti e lu cori cci sbatti
coni* è sòlitu a tutti li picciotti,
' *Vulantinay snella, agile al corso.
- Non rn'è onorevole, da amico, fargli questa ingiuria.
^' Scuvii'tari^ scoprire.
54 LKGGKNDi: POPOLARI SICILIANK
iddu cu lu s6 stiiziu cumuiatti,
voli e nun voli 'nta cuntrarii botti;
amuri vinci e la so menti abbatti,
e scrivi a Lisabetla a quattru botti •:
« È tuttu prontu a la signata parti,
(( sii smaniusu chi veni la notti. »
Frinari 'un potti la gran cuntintizza
dda 'ngrata fìgghia, ca era cicata,
ed a la vecchia cu tanta grannizza
di munita cci proj 'na manata *.
Po' 'ntra li càsci tutti cosi 'ngiizza *,
li tisori ci metti a la cilata.
Patri e ma tri, ca stanuu 'n sicurizza,
nun sannu chi tragèdia è priparata.
Ce' era un jardinu di la so casata *,
ch'avia la porta atfacciu a la marina,
d' unni scapimri urdiu la scilirata,
d' unni la cuncirtau la gran ruina.
Lisabetta s'armau di 'na spata
ed a lu patri so cassa la schina ^ ;
ddu cori nìuru, dda fìgghia spiatala
tagghiau la testa a so matri mischina.
* A quattru botti, sull' istante.
* Proj, porge.
^ 'Ngrizza, apparecchia, dispone.
* Cioè, della casa di Lisabetta.
■' Cassa ìa schina, trapassa, trafigge !a schiena.
LISAB£TTA. 55
China di saagu la lìgghia assassina
ce' impuniu a li vastasi li dinari ',
d'oru e d'argentu 'na gran càscia china,
gioj e dumanti quanta nni pò asciari.
Doppu curri vi loci a la marina,
tutta la beni s' ha purtatu a mari ;
e cci pari, fujennu pri la rina,
ca la va patri e matri a 'ssicutari.
Lu so arrivari fu a li tri uri,
eranu a li quattr'uri saprà mari:
va la liluca cu venta 'n favuri,
vòcanu ottu valenti marinari :
cci dava lena spaventu ed amuri,
Tammuttavanu l'unni di lu mari;
e Firdinannu, chinu d'attirruri,
nun guarda ad idda e manca a li dinari.
'Na Guardiola si misi a guardari *,
ca vitti sta liluca com' un ventu ;
una paranza vòsiru varari
cu dudici surdati a cumpimentu :
di supra V unni 'un si vitti vulari,
agghiunciu la liluca 'ntra un mumentu,
a Lisabetta si jeru a pigghiari
e a Firdinannu cu granni spaventu.
Vaitasi, facchini.
*(htardioìa, Torre di Guardia: qui intendi i soldati in essa
aliati.
56 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
La toriianu a palazzu sbaguttuta
unni liei dd 'eccessi! spiatata;
di lu patri e la matri a la viduta
mancu si tramutau la scilirata.
Cu Firdinannu e cu la vecchia astuta
la purtaru li sbirri carzarata :
ce' era lu ccippu e la mannara unuta,
happi la vecchia la manu tagghiata.
La Curti a Lisabetta eci dicia :
— Di tia s' ha a fari la tinagghiata. —
A li judici idda arrispunnia:
— lu sula he statu la gran scilirata :
no, nun faciti ad iddu scurtisia \
nun sa chiddu chi uprài sta nuttata;
Firdinannu lu tuttu scanuscia,
sulu ha fujutu cu la 'nnamurata. —
La Curti Tha mannatu a la galera :
a idda 'mpisa e la testa scippata ;
happi un cliiaccu a lu coddu pri gulera,
po' si vitti di sangu allavinata ';
la gula di 'na rosa in primavera,
la so biddizza megghiu di 'na Fata,
ed ora addivintau laida e sfera,
cchiù brutta assai d'un' arma addannata!
'Mparati, donni ed omini cu' ha ligghi,
cu' 'un ha 'mparatu, 'mparassi cu mia ;
* Ad iddu, a Ferdinando.
* Aììavinata^ allagata (da ìavina^ rivo).
LISABETTA. 57
l)opulu, ca (li tautu maravigghi,
Ijenza ca presta Gristu uni castja.
Portanu a tali eccessii li 'mminzigglii ',
Ibiatu cu' li ligglii li castja I
Cu' nun sa bonu educari li lìgglii,
perdi Tarma e lu corpu, amaru mia !
(Castellamare del Golfo).
Annotazioni e Riscontri.
Ila RcLCcóUa amplissima di canti popolari sieiliani del signor
icap. LV, pag. 670) trovasi una lezione acitana di questa
enda, ma assai scorretta e monca. Ivi la scena del delitto
arsiglia, Tanno il 1 788, mentre che la lezione presente ci
iiuauere in Sicilia {Trapani) e ci dà il 1510. Forse è pili
io al vero (se vero fu mai Tavvenimento) quest'ultimo anno,
he tutta la leggenda offre un'aria di vetustà nelT insieme,
ravvicina più al sec. XVI che al XVIII. Comunque siasi
, si contVouti la Lisabetta con 11 Parricidio di Ovada (Mar-
di, num. 14, pag. 168), con La Parricida di Venezia (Wolp,
66), con Giuseppina la Parricida del Monferrato (Fkrraro
.11, pag. 14), con La Parricida di Cento (Idem, num. 5, pa-
'A) e con la Beppina di Pontelagoscuro (Idem, num. 20,
106). Si confronti eziandio in De IUda. e Jeno il canto X,
HI, pag. 78, delle Rapsodie d\m poema albanese^ ove però
sorella che, per suggestione dell'amante, avvelena il fra-
^Iminzigghi, carezze soverchie.
XIII .
Anna la tradata.
Pri cantari vurria la lingua sciota,
fari 'na bella storia cumpita;
stu casu, cu' lu senti e cu' lu nota,
gran 'spirienza pigghia a la so vita;
chist'arma mia a lu Celu si vota
e prega a Maria Virgini cun trita:
gira e fìrria, lu munnu è 'na rota
ca spargi 'nganni e amarizza 'nflnita.
'Na giuvina pulita e galantina
era 'n'amuri ed Anna si chiamava,
l'ucchiuzzu garzu, la vuccuzza lina ^ ,
bedda ca di biddizzi nn'avanzava.
A la finestra affaccia 'na matina,
li ciuri a lu mignanu abbivirava ' ,
* Garzu o meglio gazzu^ detto dell' occhio vale di tot-
lestre, gazzerino.
* Micfnanv, testo di fiori.
ANNA LA TRADUTA. 59
e ddocu accumiiizaii la so ruina
ca di la strata un giuvini passava.
Firraiitinu di nnomu si chiamava,
di bella misa e galanti maneri,
ed ogni vota chi di ddà passava
rucchiuzzi cci lucianu du* lumeri.
Anna, lu cori tuttu ci addumava,
d'amuri adduma pri stu Gavaleri;
e Firrantinu cchiìi la taliava * ,
ci addimustrava di vulilla beni.
— cara beni (iddu cci dicia),
sacciati ca pri vui spàsimu e raoru,
sugnu pigghiatu di malancunia,
sempri chi penzu a vui, riccu tisoru;
lu me' cori pri spusa vi vurria,
bedda di quantur cci nni sunnu e foni;
si voli Diu e la furtuna mia,
The pussidiri ssa tisluzza d'oru.
— Caru tisoru, giuvini galanti,
la tò i)risènzia tutta m'innamura,
vu' siti lu me' duci e caru amanti,
patruni siti di la me' pirsuna.
Ora comu facemu, caru amanti,
ca me' patruzzu a mia mi teni accura?
— Anna, bedd'Anna, si mi si' custanti,
finisci prestu la nostra mal'ura.
T'oliava, jjiuirdava.
k'A) LEGGEMÌE POPOLARI SICILIA.NK
Anna, bcdd'Aiina, 'un aviri paura,
111 iiusslr' amari avoniu a sudisfari;
si tu pati'iizzu a tia ti toni accura,
111 nieuzu e la nianera hàmii a truTari:
Ui cogitili li dinari cu primura,
Toru, l'argenta e li domanti rari,
i[uanna chi veni la nuttata scura
la varca e pronta, uni jamu a 'mbarcari *
(>amiuanu, caniinanu di notti,
din tra d'un voscu già sannu arrivati:
— Firrantinu, a mia misapi forti
sta mala via, sti mali cuntrati.
— Anna, bedd'Anna, sta sicura e forti,
picca cci manca (i nu' scmu arrivati.
— Firrantinu, eu sentu la morti,
chisti su' lochi di sassini e latri *.
(j cara patri ! sala lu lassai,
lassai la casa mia, ch'era un casteddu ^ ;
pri Firrantinu lu tattu canciai
e sugnu *ntra stu voscu a lu smaceddu.
Firrantinu, pire hi mutu stai ?
chi cosa ponzi, Firrantinu heddu ?
* Qui mancano quattro o cinque ottave, nelle quali era d
come Ferrantino conducesse Anna in un'isola deserta, ov
dava a intendere essere il proprio palazzo e i genitori, aìli
presenza l'avrebbe sposala.
*^ * Saasiiitj assassini.
^ KSicnra, per me, quanto un castello.
ANNA LA TRADUTA. Hi
fiu di Tarnuri miu ti cuntintai,
lavami di lu cori stu marfceddu. —
Anna parrava e dici : — Amuri beddu,
pirchi nenti, ccliiìi nenti mi diciti ? —
^ii^iantiau cci tira c'un cuceddu,
<^i grapi 'ntra lu cori dui filiti;
cci riia tìrutu ddu jiittuzzu beddu,
spsirgiu lu sangu e lìniu la liti:
cJ>.istu è lu spunsaliziu e Taaeddu,
^^^isti d'amuri li spassi infiniti.
^ Jra sintiti, ddu tirannu cori,
^^^ sintiti chi penza di fari;
^^ Anna cci ha livatu li so' gioj,
^^:>rta ddà 'n terra la vosi lassari:
_ risula ha pinzatu jiri fori,
ciu, adàciu si nni scinni a mari,
lu pilo tu dici du' palori * :
Voca di forza a li X3arti luntani -. —
•
Lu catalettu a la praja di mari,
^^^eraiiu attornu 'na fudda d'aggenti,
* PilotUf non pilota, ma barcaiolo, rematore.
^ Qui è un'altra lacana di parecchie ottave, che non erano
i-icordate da chi dettava la leggenda. Descrivono il dolore del
padre di Anna dopo la fuga di lei e la nuova della sua morte.
ferrantino, arrestato in mare da una galera regia, confessa il
gao delitto e il luogo ove giace scannata la povera Anna. Que-
ita <* portata al paese natio e deposta in riva al mare.
62 Leik;e.\De popolabi sicilia.\e
tri donni si vidiann ripitari
cu vnci afllitta piatusamenti '.
La musica s'ha vistu poi calari
'nsèmmula cu l'amici e li parenti,
cu li torci addumati 'nta li mani
vinianu a l'offiziu dulenti.
E subitu ca junceru li strumenti,
rèpricanu li tri donni a ripitari,
ca era *na pie tati veramenti
ca cu' passava vulia lagrimari:
— bellu ciuri tènniru e galanti !
passau la fàuci e lu vinni a sminnari ' !
Finiu Foduri, finiu la luci ardenti,
pri gròlia cc'è sta pompa funerali ! —
Cu chianti amari e gran cumpassioni
a la chiesa la jeru a 'ccumpagnari;
»• d'imni passa, l'aggintuzzi boni
sta gran disgrazia vonnu iagrimai'i.
Va' dati fidi a li duci palori,
a juramenti e prumissi d'amari !
* (Queste tre donne sono tre Prefiche , e parte del loi
mento è il secondo tetrastico della ottava seguente. Le
che in Sicilia son dette ReptUatrici, e durano tuttavia in
che cornane: intorno ad esse vedi il nostro lavoretto: Le
tairiei in Sicilia, inserito nelle " Nuove Eflfemeridi Sicilian
Palermo, seconda serie, voi. I, 1874.
' Passò la falce e lo recise immataro.
ANNA LA TRADUTA. 63
quannu s'astuta la gran passioni
vennu li crudi tradimenti amari.
Nun ti Mari tu, amara donna,
di Pomu 'ngannaturi chi ti 'nganna,
tutti li cosi soi li fa pri 'nnorma *,
e 111 tò cori nn' havi la cunnanna ;
itt dannu siipra tia sempri ritorna,
sempri si stocca la dèbbuli canna;
guarda la lini di sta gintildonna,
di la traduta disgraziata Anna ^
La so cunnanna, chi si miritava,
la- Giustizia cci ha datu a Firraotinu;
si^pra di li tri Ugna lu 'mpicava •
pri tradituri, lalru ed assassinu:
6 tri ghiorna a la furca cci ristava
^?Uartariatu d'aceddi rapini:
tuttu chissu e cchiù ancora cci tuccava
^ ssu Giuda sangunariu e marranchinu.
Lu Diu divinu cu la so putenza
giusta lu suspinciu la so valanza:
cu' fa lu mali e a l'abbiniri 'un penza,
perdi lu lumi e lu 'nfernu s'accanza;
quannu veni Torribuli sintenza,
dda gi*an sintenza cu' è chi la scanza?
* * 'Nnorma^ apparenza, inganno.
^ * Disgraziata, ammazzata, morta dì morte violenta.
^ Li tri Ugna, la forca.
64 LfcGCENDE POPOLARI MCIUANF.
Ed ora a mia mi Jali cumpatenxa *,
ca T>uela nun è Gilormn Lanza.
Gilormu Lauza cu so bàscia menti
ha furmalu sti rimi- cr.nsunaiiti *,
Irentalrì mi' ha fmrmatu veramenti,
cu Tajutu di Diu e di li Santi:
runca e zappuni li me' firramenti
e la me' scola lu i>agghiaru e Tantu:
cu Diu vi lassù, populu ed aggenti
irl scissati si f»arni di 'gnuranti.
(Partinico).
Annotazioni e Riscontri.
La tra<lizioiie [K>rta. che* il villesc Girolamo Lanza, i
della leggenda, sia stato nativo di Partinico, ove 11 eoe
Lanza esiste anche oggidì: ma è a notare che in tutta
sono state e ^ono intiuite famiglie de* Lanza. Si metta ii
zione. questa leggenda, con le due antecedenti, ma special
poi con la Storia di Marietta cortegiana, la quale da un fit
mante fu tè-adita, derubata e uccisa (In Bologna, 1805) ; i
che anche al presente si ristampa in Firenze ed altrove,
lino de' tanti libretti tradizionalmente graditi al popolo ita
* Ctimpafenza, compatimento.
' Rimi cunsunanti, ottave rimate. Dal verso che segae s
che tntto il componimento costava di 33 ottave.
XIV.
Don Fidiricu.
Sia binidittu Cristu Ridinturi,
patruni di la terra e di li celi,
chi nni priserva di lu Tentaturi
e grazia e pirdunu nni cuncedi.
Ora sintiti Timpii frudiiri,
li 'nfamitati e li dilitti sferi *
quali fici un Cainu tradituri,
ca 'un cci sarannu mai bastanti peni '.
Di casa mmaliditta è la so reri *,
Don Fidiricu di nnomu chiamatu;
era 'n figura un beddu cavaleri,
longu, biunnu e di vucca aggraziatu:
* *8feru, fiero, atroce, brutto. Il Traina registra afìriu.
^ Pel quale nessun castigo sarà mai sufficiente.
' *Beri {rera, re(2a),. reda, discendenza.
Salomohe-Mabino. — Leggende pop, aie. 5
66 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
ma 'nta lu cori cc'è vilenu e feli,
lu so cori è trimennu sciliratu *,
lu pattu cci havia fattu a TAvirseri,
TAvirseri Tliavia patruniatu *.
Spiatatu e birbanti cci nasciu,
li minni, chi sucava, muzzicau;
ed a la mairi sua, quannu crisciu,
lu sangu e la saluti abbilinau '.
La matri pri stu iigghiu nni muriu;
Don Fidiricu si nni cunsulau,
nni liei festa, si nni cumpiaciu,
pirchi lu senzu so malu pinzau.
Malu pinzau chidd'arma addannata,
eh' a lu Serpi Stenti era vinnuta *:
avia 'na som bella e dilicata,
graziusa, grata e tutta cumputa:
^ *Trimennu, avv. tremendamente, terribilmente.
' *P€Uruniari^ v. a. dominare, soggiogare.
' Ne La sciagurata vita e morte di Arrigo GaòertingOj cua
(Bologna, tipi della Colomba), alla stanza 4* si legge:
Fin da fanciallo maligno e crudele
fa questo ribaldacelo sciagurato,
che rendeva alla madre amaro fiele
incontro al latte, che ne avea succhiato;
lo qual, mentre tirava il dolce mele,
spesso alle zinne crudel morsi à dato.
^ Serpiy il Diavolo: così, biblicamente, lo chiama il pi
DON FIDIRICU. 67
si vitti sulu, fa mala pinzata,
(guarda la menti comu si tramuta !)
cci va a lu lettu 'na scura nuttata
mentri ch'era sicura addurmisciuta.
Cu forza astuta e cu palori duci
fa tantu, ca idda pecca e lu cumpiaci:
persu l'onuri e la superna luci,
persa l'unistità, persa la paci ^
Guardati un cori a chi mai s'arriducii
oh chi piccatu impiu e fìraci ' !
Diu 'nta lu libru so singa 'na cruci;
TAvirsèriu attizza la fumaci.
E gius tu si cumpiaci, e cu ragiuni
l'Avirsèriu attizza lu so focu.
Codi Don Fidiricu, ch'è patruni
di scialari e gudiri in ogni locu
dda gran billizza ca 'un cc'è paraguni;
di jornu in jornu cchiù crisci lu focu:
ma già trabbucca chiddu valanzuni *,
sti scunsagrati cci stagghiau lu jocu.
— Ahimè, chi focu granni chi m'abbinni I
(dissi a Don Fidiricu Margarita):
fratuzzu miu, la sintènzia vinni,
sunau l'ultima ura di sta vita!
* *Uhi»tiià, onestà.
**Firacij feroce, esecrabile.
'La gran bilancia della giustizia di Dio.
68 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Gravita sugnu, e li duci disinni \
ahimè, comu fineru a sta partita!
Facemunni la trùscia e jamùninni ^,
si no lu patri nni leva la vita.
— Margarita, chi trùscia hàmu a tavìT
Cu nostru patri nun si pò nisciri.
— Dunca lu patri bisogna livari;
chistu è lu menzu ca putemu jiri. —
Don Fidiricu Tha jiutu a truvari:
— Patri, stu pumu vi vogghiu offiriri;
la cosa rara si divi purtari
a cui nni detti la vita e Taviri. —
Lu patri detti fidi (cà 'un sapia),
fidi a la vucca di stu tradituri:
subitamenti mortu ddà cadia,
attussicatu cu finta d'amuri.
Don Fidiricu lu tuttu cugghia,
gioj, dinari e cosi di valuri,
e cu la som e amanti po' fujia
a cursa a cursa pri li voschi scuri.
Nisceru di palazzu a li tri uri,
chi siritina ! 'na vucca di lupu * I
cumenza un ventu e un'acqua di tirruri,
lu fùrmini tagghiava 'n susu e 'n gnusu.
* 2>»>iram, disegni) proponimenti.
' Facciam fagotto {tritscia) e scappiamo.
^ Terribile e paurosa come bocca di lupo vien detta una
scura e tempestosa.
DON FIDIRICU. 69
A tuttidiii cci pigghia un trimuri,
si strinceru cu cori attirruutu :
st'awii'timentu di lu Diu Signuri
chidd' armi persi nun l' hannu sintutu.
S'hannu mittutu di novu 'n caminu
quannu chi V àriu turnau sirenu ;
ma lu spaventu li punci cuntinu *,
cci trabballa di sutta lu tirrenu.
Arrivannu ad un voscu sularinu,
dissi lu frati: — Ccà nni fìrmiremu;
ccà la Giustizia nun cci havi caminu,
assicurati di la vita semu.
E mentri semu 'nta sta grutta suli,
suruzza, nu' putemu in paci stari ;
a sta vuscagghia nun vennu pirsuni,
ccà la gran ciamma putemu sfugari. —
Ma li disinni di li tradituri
lu Diu supernu li veni a sfasciali :
doppu passati li vintiquattr' uri,
acqua e pani si vìttiru mancari.
— Don Fidiricu, com'havemu a fari?
a chi nni giuva l'aviri tisori ?
senza di l'acqua e senza di lu pani,
Don Fidiricu, pri certu si mori.
— Zittu, la som, nun ti dubitari,
l'acqua e lu pani ti trovu di fori :
* *CurUinu e cuntinuu, avv., continuamente.
70 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
lu primu canceddu chi vjiu passari ^
cci levu tuttu e cci cassu lu cori. —
Chisti palori e fera 'ntinzioni
lu Serpi fu chi ad iddu cci adduttau *,
cà lu Serpi cci stava 'ntra lu cori
di quannu 'nsemi a so soru piccau.
Ddocu si detti a la pirdizioni •,
gran latru ed assassinu addivintau;
spugghiannu a tutti senza cumpassioni,
cchiù di triccentu pirsuni scannau.
Margarita 'ntrattantu si truvau
junta a li novi misi e parturiu ;
liei dui picciriddi ; li guardau :
— Nun haju chi vi dari, o sangu miu !
La sorti a chistu ccà vi distinau,
mmaliditti di Tomini e di Din 1 —
E comu dici chistu, li scannau,
cu li so' manu, ohimè ! li sippilliu.
Don Fidiricu la sira junciu,
pàllita a Margarita la truvau :
— Pirchi siti curcata, amuri miu?
— Mali mi sentu, un mali mi pigghiau. —
* Cancedduy vetturale, cavallaro, e intcndcsi piU special
di quelli che sommeggìano vino.
* * Adduttau, dettò, insinuò.
^ Ddocuj qui, a questo punto.
DON FIDIRICU. 71
Don Fidiricu lu tuttu capiu,
vitti la terra smossa e aggiarniau *:
— Persu cci sii, persu l'onuri miu,
persa Tarma, la vita e zoccu haju ! —
Cci assartau e' un cuteddu prestamenti
e cci nni misi a dari tanti e tanti,
la liei un crivu d'occhiu veramenti •,
cci cassau lu cori 'nta un fallanti * :
— Mori (cci dissi), fìmmina fìtenti,
tuttu stu mali tu si' la quasanti;
mortu lu patri, morti tanti aggenti,
morta puranchi tu, donna birbanti. —
Penza a lu 'stanti lassari la grutta
ca di jiri luntanu assa' cci 'mporta ;
curri, ritorna, la girla tutta,
ma nun la trova echini la so porta:
tutti li mura li batti ed ammutta,
nun ce' è chi fari, è 'na càmmara morta * :
'nehiusu in eternu ristau ddà sutta
cu lu catàuru di la soru morta ' !
* Vide la terra smossa di fresco (pel sepellimeato de^ figli)
e impallidi.
' Un crivu (Toechiuj tutta sforacchiata.
^ *Nla un fallanti^ in un fiat, d* un subito.
^ *Chmmara morta, dicesi quella stanza terrena, che non ha
iscita esterna : nel caso nostro vale una stanza priva affatto di
)gni uscita.
^ * Catàuru, *Catàviru e *Catàfaru, cadavere.
72 LEGGENDE POPOLARI SiaLIANE
Sta pena porta, st' amara cuunanna,
vivu ddà cu la morta sippillutu,
vivu pri sempri, cà accussi cumanna
Tonniputenti Diu chi Tha punutu.
A la franti havi sempri 'na giurlanna *
d'etemu focu sta Gainu brutu *,
e ce' è un Dimoniu chi sempri l'assanna^
lu squarcia centu voti pri minutu.
Stu casu ha succidutu a Barcilloni,
a Barcilloni a li pai*ti di Spagna :
oh chi tirruri pri l'aggenti boni,
ca lu sulu pinzàricci m'appagna!
Vidi a chi porta mala passioni I
cui va 'n picca tu, vidi chi guadagna !
va pr' in eternu a la dannazioni,
cà la liggi di Diu nun è cuccagna.
A Poppi D'Anna ascutati e sintiti,
di stu casu tirribuli 'mparati;
li cumanni di Diu si li siguiti,
certu ca 'n paradisu vi sarvati.
Don Fidiricu prisenti l'aviti,
l'onuri e V unistà sempri guardati ,
e quannu 'n pressu lu prìculu aviti,
a Cristu e a Maria Virgini chiamati.
(Borgetto)
* Oiurlanna^ ghirlanda, corona.
* *Brutu, add., bruto, brutale; e ^Atsannari, v. att.,
nare (del verso seguente) non sono registrati ne' nostri
bolarj.
DON FIDIRICU. 73
Annotazioni e Riscontri.
Evidentemente, il poeta popolare siciliano Giuseppe D'Anna
nel rimare la presente storia tenne innanzi agli occhi la Istoria
di Federico e Margherita ; Ove 8Ì intendono i grandi eccessi com-
fMtii per cagion d* amore : Specchio a chi non osserva il quinto
Comandamento di Dio; istoria, che si è stampata da tanti anni
e tuttodì si ristampa in Milano, Bologna, Firenze, etc. Il D'Anna
ha soppresso T episodio del rapimento di Margherita bambina
per opera de' pirati turchi, come la circostanza de' demonj, che
sotto forma di scimmie vanno a far compagnia ai due incestuosi.
Più terribile e meglio trovato è il modo della pena di Federico
nella leggenda siciliana, che in questa parte si vantaggia sulla
italiana. Altre lievi dissomiglianze potrà il lettore vedere da si,
confrontando le due leggende; le quali giova poi non discostare
dall'altra pur divulgatissima e stampata e ristampata in pa-
recchie città d'Italia, voglio dire la Istoria, quale tratta della
^atcita, Vita e Morte di Marziale, un incestuoso al par di Fe-
taco, parricida, uxoricida, assassino di strada e peggio, che
indi muore pentito e confesso.
XV.
Ln narlnaru di Oapa Feto.
chi tirruri 1 oh chi spaventu granni I
spaventu a cu' lu vitti e a cu' lu ^ntisi;
la 'lluminata curri a tutti banni *,
pri tutti li citati e li paisi.
Nui nni li pricuramu li malanni:
cu San Giuanni 'un cci cugghiti 'mprisi,
rispettu cci purtati a San Giuanni
cà la putenzia sua sempri è palisi.
E Diu lu misi a la so spadda gritta,
di cumannu cci ha datu la bacchetta
pri fari pronti e orribuli minnitta *
di chiddu chi l'offenni e chi l'appretta •.
* * ^Lluminatay dolla pronunzia , invece di ^nnuminata^ i
fianza, fama.
* Minnitta, vendetta.
^ Appretta, provoca.
LU MARINARU DI CAPU FETU. 75
Li cumpari hannu a jiri a la via gritta,
a la tantazioni 'un dari retta;
cu.* fa vita prufana e mmaliditta,
ahtiinè, chi fini mìsaru l'aspetta I
Gc'era 'na certa donna di massaru,
etti stava sempri 'ntra la massaria,
bedda ca di biddizzi 'un cc^è lu paru,
tutta muderà e tutta gintilia *:
cbista era amica a certu marinaru,
clx*era di Patti, e 'na tunnara avia:
^c>xxiu fu, comu jiu, si 'nnamuraru,
^^J^i cu cori si currispunnia.
I-tU maritu era 'gnaru e nun sapia •,
^^n si cridennu mai 'na cosa tali:
^ mogghi un picciriddu parturia,
^^ marinaru iddu vosi 'n vi tari:
""^ Ràisi Ninu, (iddu cci dicia),
"^^ju piaciri mi siti cumpari;
^\ì' siti tantu 'ntrinsicu di mia,
^tu picciriddu m'hàti a vattiari. —
Ninu siccau: ma nun happi chi fari *,
cà a la so amanti nun vosi tradiri,
e lu fìgghiozzu a ghiutu a vattiari
facennu fìnta avìricci piaciri;
' Muderà, garbata, vezzosa. Gintilia, gentilezza.
• *'G^/iarM, ignaro.
^ Siecauj seccò, restò come tocco dal fulmine.
7G LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
ina *ntra lu cori so turmenti amari,
java pinzannii e uun sapia chi diri:
— Guarda chi 'inbrògghiu mi vinili a 'mbruggl
ca m* è cummari l'amanti fidili !
Chista ò crudili, chista sorti d'ora,
e certa a mia mi porta a la carnata *,
cu San Giuanui 'un arrinesci bona,
haju di supra 'na timpesta mala. —
Iddu ha pinzatu jirisinni fora
e lassari Tamuri e la via mala:
so cummari cci dissi 'na palora
e cci canciau di subitu la gana.
Dissi: — Cumpari, chi pinzeri aviti ?
sulidda e dispirata mi lassati ?
e cu' mi resta a mia si vu' partiti?
vui sulu a Rosa la patruniati. —
Iddu arrispusi: — Chiddu chi vuliti;
stu cori sempri voslru lu truvati;
si dumani a la praja vu' scinniti,
(li mia comu criditi cumannati. —
Oh scilirati, oh chi dilittu fannu 1
di la lussuria assa' cicati sunnu:
nun guardanu di Diu lu cumannu,
a San Giuanni scurdaru di tunnu.
San Giuanni, ca 'un soffri tali dannu,
penza di dari 'n' esempiu summu:
^ Carnalaj sepoltura, carnajo.
LU MARINABU DI CAPU FETU. 77
àncilu si pigghia a so cumannu
•estamenti cala 'ntra lu munnu.
mnu a lu munnu, si tracància tuttu,
orma di vecchia si metti 'n caminu;
incilu cci veni a latu 'ncuttu,
ammu vistuti di pilligrinu.
1 'ntratantu scinnia di lu curtu *,
. a la praja matinu, matinu;
Ltamenti si trova a lu bruttu ',
Giuanni cci stàgghia lu caminu.
- Cussi matinu e senza cumpagnia,
3lla donna, chi vai facennu ?
;i cunsigghiu di mutari via,
ma all'omu tò, ca sta durmennu. —
a attirrisci; doppu rispunnia:
Chi va' tintannu tu, vecchiu di 'nfernu?
sami andari pri li fatti mia,
nun ti 'mporta a tia di lu me' 'nternu.
- Lu tò 'nternu mi 'mporla e cu ragiuni,
i lu vecchiu). Muta 'ntinzioni;
liccatu ti porta a valancuni,
a t'accali a la tantazioni •.
San Giuanni nun ti fa timuri * ?
li a stu vecchiu chi beni ti voli;
u curtu^ da una scorciatoja.
( briUtUj al triste punto, al triste incontro.
'«oZt, ti sottometti.
San Giuanni, il comparatico.
78 LEGGENDE POPOLARI SiaLIANB
iu ti sii nunnu e t'hé purtatu amuri,
vogghiu livarti a la dannazioni. —
A sii palori la donna marvasa ^
dissi: — Vicchiazzu, 'un cci pigghiari 'mprisa:
mi vói tintari; ma curili a la casa
e mala ti Taggiustu la cammisa ^
— Curri (arrispusi) a l'amicu cirasa,
dicci ca la sintenza ora è dicisa:
miatu cu' si godi la so casa
e a San Giuanni nun cci porta offisa. —
Di la so 'mprisa la donna cuntenti
nni lu cumpari so curri a lu 'stanti;
nenti nni pigghia di l'awirtimenti,
dici: — Era mau ssu vecchiu birbanti •. —
Comu junci a la praja, risulenti
abbrazza e vasa lu so caru amanti,
cci dici: — Amuri, fìneru li stenti,
staju sempri cu tia d'ora in avanti. —
Eranu li du' amanti 'ntra la rina,
stritti abbrazzati pri lu 'stremu amuri,
eranu 'ntra 'na parti sularina
senza nisciunu dùbbìu e timuri:
ma San Giuanni li pigghia di mira,
ddu sarilègiu cci fa tantu orruri,
* *Marv<ua o MaLvaaa, malvagia.
'£ ti concio pel dì delle feste,
^ifati, mago, impostore.
LU MARINARU DI CAPU FETU. 79
i 'na scossa a la rocca vicina
Tibuli, ohimè, cadi un pitruni.
dui bircuni ddà li 'nciaxjpulau *.
I supra di Fàutru Tagghiunciu,
II 'na fìcu sfatta li furmau
L 'n eternu ddà li sippilliu:
itti canti lu sangu spuntau,
ianca rina di russu tinciu;
i gran botta la terra trimau,
opulu a buluni cci curriu.
lannu si sappi l'orribuli riu *
L la genti si misi a trimari,
mnu a Gesù Gristu veru Diu
lan Giuanni, avissi a pirdunari.
etu di la petra chi nisciu
empiu corpu di li dui cumpari,
ra tantu pistiferu e riu,
3nti allura vòsiru scappar!.
1 mari a lu cuntornu fu 'nlìttatu,
3rra sin' a un migghiu manna fetu,
trbuli macari hannu siccatu;
tissu ventu, cci passa scuetu.
pri la petra a so locu ha ristatu;
la vidi, si scanta e torna arretu *;
'nciappulauy li intrappolò.
, delitto, avvenimento delittuoso.
tt, indietro.
80 LEGGENDE POPOLARI SICILUNE
a chiddu Capu cchiù nuddu ha 'acugnatu>
la geuti lu chiamaru Capu Fetu,
Chistu dicretu di lu Celu yinni
pri sèrviri di specchiu a li birbanti,
chiddi chi fannu li mali disinni
centra Tonuri e li pricetti santi.
Rispetta a li cummari, trematinni,
cà San Giuanni ti junci a lu 'stanti:
Rosa cu Ninu vidi chi cci abbinni,
^Mpu Fetu lu grida a tutti quanti.
Lu rimjanti pri la pisca passa *,
a Capu Fetu metti a sinniari \
cà la varchitta sulidda s'arrassa
e pri sùspicu s* àudi cricchJCari •.
Lu pisciteddu ccà nun havi passa,
mori 'ntra st'acqui vilinusi e amari,
sùlitu lu jacobbu cci fa stassa *
cu lu luttusu cùculu fatali '.
Vidi lu mali, cunsidira e penza,
penza a la vita tò, penza pri Tarma:
lu mali è duci allura chi cumenza,
lu marusu, d'arrassu, pari carma:
* Eimjantif rematore, qui pescatore.
* Sinniari, far senno, assennare.
' Cricchiar i, croccare.
^ * Shlitu, solamente, Jacobbu, gufo. Stassa, fermata,
^ Cùculu, il canto del gufo. Questo verso è impareg
LU MARINARU DI CAPU FKTU. 81
n la guardi tu la cunsiguenza f
diri: « Cu' t'avvisa t'arma »:
Giuanni la so gran putenza
l'ha' aviri 'ntra lu cori e l'arma.
San Giuanni all'arma assai fa beni
u chi s'ama cu lu rettu fini,
la e pruvidenza Diu cuncedi
idda vita li gròlii divini,
utu di Diu summu beni
m Giuanni, cà sunnu cucini,
•ria cumpii comu cunveni,
1 v'addimannu e fazzu fini.
(Castellamare del Golfo).
Annotazioni e Riscontri.
atico è tra noi un legame sacro più che la paren-
rotettore e vindice San Giovanni Battista, cui il
ra con terrore. La leggenda del Marinaro di Capo
ertamente piìi in là del sec. XVII, perocché al 1 652
i e correva come antica. Di fatti il celebre Vihoshzo
cune sue note di viaggio da Palermo a Messina,
o, lasciava scritto: ** Passato il Capo di Caracca,
va per la città di Patti) vi è un altro Capo, detto
ed infatti, passandovi da vicino, vi s'intende un
ì. I marinai dicono haver inteso da persone antiche,
1 luogo vi è sepolta una Commare con un Compare,
llARiiro. — Leggende pop, aie. 6
82 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
** ambidae oppressi miracolosamente nelFatto veaereo da
* gran pietra, la qnale si vede ancor hoggi distaccata da
** gran sasso vicino « (vedi Ms. della Bibl. Comanale di Palermo^j
segnato Qq, A, 3. a pag. 45).
Una canzona popolare, inedita, raccolta iu Porticello di So-;
lanto, ricorda il Capo Feto',
Sorti curnata, ca contra mi veni,
ca l'arma a Tavirsèrin mi fa' dari !
ora ca 'n porta ammugghiava li veli
ora la varca mi veni a sfasciari.
Gc'era li riti cunzateddi beni,
ma cchiÌL lu pisci nun voli 'ncagnari;
cc'è Capu Fei» chi mi lu.tratteni,
l'amanti ch'amu, mi vosi a compari!
Si vede ch'è un marinaro, il quale, amando la donua altrui, le'
ha teso tutte le reti e l'ha quasi giunta; se non che ella, a di-j
fesa dell'onestà sua oppone un ostacolo insormontabile, il com-
paratico, con cui tarpa le ali all'ardente e inonesto desideri»
dell'amico.
I Compari del Comiso, (a^^^? Raccolta ampliss, cit., cap. LV,
pag. 647) e La Comare (Pitrè , Bibl. cit., voi. II, pag. 114) sono
due leggende siciliane popolari che trattano consimile argo-
mento del nostro Marinaro, narrando terribili avvenimenti ac-
caduti (sempre secondo la tradizione) in Còmiso ed in Gastro-
novo. Altri parecchi racconti simiglianti conserva la tradizione
prosaica, non meno paurosi e fieri dei sopranotati. Intorno a
San Giovanni Battista, vedi Pitrè, Usi popolari siciliani neOs
festa di San Giovanni Battista (Palermo, 1871), e Antichi uste
tradizioni popolari siciliani nella festa di S, Giovanni Battista
(Palermo, 1873).
Kella triste e difficile condizione del Marinaro di Capo Ikto
dovette trovarsi l'ignoto autore di questa canzona di Fiearaszi
LO BfARINARU DI CAPU FETU. 83
k edita nella raceolta mìa (vedi Salomone-Marino, Canti pop,
»2., nnm. 535, pag. 219):
O Celu, o terra, dùnami cunsigghiu,
dimmi lu modn tu com'haju a fari;
aria 'n'amanti e coi haju fatta uil fìgghiu,
chiamatu fui a lu fonti a vattiari:
qual'è lu patri chi vattia lu figghiu ?
e l'amanti chìamàrila cummari ?
Quannu passa di ddà e vjiu a me' fìgghiu:
— Addìu, fìgghiozzu; bongiornif, cummari! —
11 comparatico tradito riscontrasi eziandìo ne La Moglie tn-
iele del Monferrato (Ferraro, num. 5, pag. 6).
XVL
La mònaca allaggiato.
— Cc'è lu Mònacu spirdutu,
mi f aciti carità?
senza pani, senz'ajutu,
cu stu friddu coma fa?
— Benvinutu, patri santu,
la me' casa pri vui sta:
eu mi curcu 'n terra a un cantu,
lu me' lettu ecculu ccà.
— Deogràzia, Deogràzia
di la vostra carità.
Sta minestra, ca mi sàzia,
vi Taccettu comu sta. —
LU MONACU ALLUOaiATU. 85
^ddubbau lu vintrigghiuni *
atruzzu a nun pò cchiù *,
'mparissi, addinucchiuni •
a diri: — miu Gesù I... —
i bon omu assai cuntenti
ìurmisci a sonnu 'n chinu,
un sapi ch'è sirpenti
atruzzu Cappuccinu:
bon omu chi durmia
a diibbiu e suspettu,
lìgghia chi fujia
il Mònacu a brazzettu.
lannu a ghiornu s'arrisbigghia:
iu Signuri I chi cos'è ?
:isoru di me' fìggi ila,
hineddu! a jiri unn'è *?
lu Mònacu spirdntu
vulia la carità?
iesuzzul m'ha tradutu
a nudda piata.
i me' casa ora fe deserta,
ci luci cchiù l'onuri:
l'ie la veutraja.
Il pò cchin^ a più non posso.
rÌ8ii^ per apparenza.
i unn*hf dov'è?
86 LEGGENDE POPOLABI SICILIANE
vera dunca cci la 'nzerta
cui nun crìdi a st'imposturL
Fidi e creditu nim dari
a li Mònaci e Parrini,
boni a missa e cunfissari,
ma po' stòccacci li rini.
(Carini)
Annotasioni e Riscontri.
lielìgioso fino alla superstizione, il popolo siciliano non
sparmia però mai ne* suoi canti e proverbj i preti e i
de* quali scopre le maccatelle, le nefandezze e i delitti, cai
teme di infamare perpetuamente. Si consaltino in proposito
varie raccolte di Canti popolari siciliani, e le Fiabe e noveUt
i Proverbj siciliani del Pitrè, oltre alle leggende che vengoMJ
qui appresso. Il nostro Monaco ospitato richiama II Pellegrino di|
Venezia (Wolf, pag. 75), di Como (Bolza, pag. 677), del M(m-j
ferrato (Fbrrìlro, num. 76, pag. 100) e di Cento (Idem, num. 6,
pag. 56), ed anche La Monachella di Venezia (Bernovi, pont. XIJ
num. 6), del Monferrato (Fsrraro, n. 65, pag. 87), e di Veroa»
(Righi, num. 99, pag. 36). Confronta ancora in Casetti e Imbbiìbi
(voi. II, pag. 253 e seg.) il canto dell'amante che si fìnge mo-
naco, che trova riscontro in altro siciliano.
XVII.
Patri Furmicula.
— Patri Furmicula, Patri Furmicula I
— Cosa vuliti di Patri Furmicula ?
— Cc'è 'na povira vicchiaredda,
chi si voli cunfìssari.
— Vicchiaredda ? Sforasia * I
dannazioni di Tarma mia !
— Patri Furmicula, Patri Furmicula I
— Cosa vuliti di Patri Furmicula ?
— Cc'è na povira cattivedda ',
chi si voli cunfìssari.
— E dicitimi, quant'anni havi?
* Sforcuia! Dio ne scampi! Esclamazione comunissima.
* *Cattivedda, vedovella.
88 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
— Idda teni cinquantanni.
— E purtàtila fora via,
dannazioni di l'arma miai
— Patri Furmicula, Patri Furmicula I
— Cosa vuliti di Patri Furmicula ?
— Cc'è 'na povira maritatedda,
chi si voli cunfìssari.
— Mi diciti quant*anni havi?
— Ora ha fattu trentun' annu.
— Vaja fora I 'un è pri mia,
dannazioni di l'arma miai
— Patri Furmicula, Patri Furmicula I
— Cosa vuliti di Patri Furmicula ?
— Cc'è 'na povira picciuttedda
chi si voli cunfìssari.
— Picciuttedda? E quant'anni havi?
— Fici appena quinnici anni.
— Quinnici anni ? Bell'appuntu I
chista è bona di cunlissari:
e purtàtila in sagristia,
cunsulazioni di Tarma mia I —
— Figghia mia, chi tempu ha' statu
chi nun t'hai cunfìssatu ?
— Patri miu, li tri simani,
si cumpiscinu dumani.
— Chi piccati, figghia, ha' fattu ?
PATRI FURMIGULA. 89
— Patri miu, detti a lu gattu,
ca mi ruppi lu rinali '.
— Figghia, è piccatu murtali I
e pr*aviri lu pirdunu
ha' vasari stu curduni:
si tu vasi stu curduni,
ti darrò rassurvizioni.
— Patri miu, lu vasiria,
ma mi scantu di mamma mia.
— Duncavegnu a la tò casa:
a quar ura vegnu e trasu ?
— Si viniti a menza notti
eu vi grapu li me' porti.
— Va, chi Diu ti binidica!
— Binidittu Patri Furmiculal
(Borgetto).
Annotazioni e Riscontri.
n Padre Formicola è importazione del Ooatinente come la
^tWo, e Pho sentito spfecialmente in bocca de* giovanotti che
tornano dal servizio militare. Fra Fornica è detto in una le-
gione ch'ho udito da un operaio toscano, e mi sembra il titolo
primitivo; nel Veneto è Fanf arnica, secondo il testo che ne pub-
blicò il Bernoni (puntata XI, num. 7). La leggenda, per quanto
^ ^ mìa cognizione, è diffusa per tutta Italia.
Una confessione, indecorosa quanto e più di quella che fa
* Ruppi per rumpiuj ruppe, non è comune.
90
LEGGENDE POPOLABI SICILIANE
Padrt Formìcolcky è argomeato della leggenda La Monacc
Cappuecinu, che lascio inedita, e della Confettione di A.ci, p
il Visoo (Race. amplUt, di Canti pop. #ict7., cap. LI, pag.
Simili non edificanti confessioni ci danno poi VAwumU e
9ore di Palermo (Pitbì, BibU cit, voi. II, pag. 100], di (
(M^bcoàldi, nnm. 7, pag. 158] e deiristria (A. Ite, XXIV,
322), e II padre Cappuccino di Venezia (Bervoni, punt. VII,
83, pag, 16, e punt. XI, num. 9, pag. 11), H finto Frate di
telagoscnro (Fkbbabo, nnm. 12, pag. 9d) e II Frate Omf
del Monferrato (Idem, nnm. 15, pag. 98).
xvin.
La Honacu a la cerca.
Ajutàtimi, Cristu Redenturi,
onnipii tenti lìgghiu di Maria,
la terra è china di 'mbrógghi e dui uri,
miatu cu' cci va pri gritta via.
Un munacheddu di paci e d'amuri
ca cuniìssarisicci si putia,
sintiti zoccu ha upratu stu bircuni,
ca di lu Cifaru la liggi facia ^
Stu munacheddu si truvannu in via,
facennu cerca pri lu so cummentu,
sennu arrivatu 'nti 'na massaria:
— Sia lodatu lu santu Saramentu ! —
* Cìfaruy lu Clfaruy lu Capu Cifaru, Lucifero.
U2 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Arrispunneru: — E laudata sia!
La vostra cerca è ricca di furmentu ? —
Fra Vitu cchiù piatusu si facia * :
— Ringraziamu lu santu Saramentu I —
Gifaru lu stizzau 'nti stu mumentu,
cà vitti ca junciu 'n'àutru Rimitu;
la 'mmiria cci vinni pri triccentu *: ^
— Sta 'nfami ! mi scurzau lu me' cummitu I
Mi rha' pagari lu centu pri centu,
o si perdi lu nnomu di fra Vitu I —
Sin ti ti, pri du' còccia di furmentu,
chi cosa ha fattu a ddu honu Rimitu.
Tuttu cuntritu lu veni a 'hbrazzari,
lu vasa e si lu strinci a lu so cori:
— Caru fratellu, s'hàmu a *ntruppiddari •,
ti vogghiu in cumpagnia pri sti violi. —
Sennu arrassati luntani, luntani,
mentri liani facianu palori *,
quannu a fra Vitu lu puntu cci pari,
'na cutiddata cci cassa lu cori.
E lu Rimitu 'nti un subita mori.
Fra Vitu lu spincj' pri lu curduni
* Piatusu^ meschino, umile.
* ^Mmìria^ della parlata, lo stesso che 'nvidia, invidia.
' ^ Ntruppiddari, avviarsi, andar via.
^ *Lianu e *litnu add., indifferente, distratto, è lo st(
che allianatu: si adopra anche in forza di avverbio.
LU MONAGU A LA GBRCA. 93
ca vurvicari ddà stissu lu voli
prima ch'assubbitàssiru pirsuni.
Ddà. cc'era un gùrju, ca l'acqua cci mori S
e ddocu lu jittau test' appuzzuni:
'Na requia ti fazzu, cà ti coli,
e a mia cti-saluH a munzidduni '.
E scassatuni, cu cori cuntenti *
eli ddu lucali s'arrassa a lu 'stanti,
© cu la cerca di chiddu 'nnuzzenti
ponza di fari di scializzi tanti:
3- "na curamari sua ferma la menti,
*X>paricchia li smorfìi spasimanti:
'"^si lu Diu granni, lu sulu putenti,
^*^**xna la so sintenza fulminanti.
E mi lu paga di prontu cuntanti
^^^pra lu stissu locu sciliratu:
^^^mpari 'na culòvria spavintanti,
^^ vucca aperta e Tocchiu abbrac'iatu *;
^ fra Vitu si metti pri davanti,
^ttirruisci, cci leva lu ciatu,
^ pri la facci, lu pettu e li cianchi
^ strazza cu lu denti abbilinatu.
•
*^costu lu gùrju iu strazzu ha lassatu
^^* èmpiu Cainu, reri di lu 'nfernu,
'^**ju, lo stesso che gurgu, gorgo,
^^•a?u/t. felicità, sanità.
^**»<a^Mni, con tentone, soddisfatto.
-^^^hraeicUu, rosso come brace.
94 LEGGENDE POPOLARI SIGIUANB
ed a lu 'nfemu Tarma ha riturnatu
a piniari 'nti ddii focu atemu:
lu corpu a li nigghiazzi fu iassatu,
la terra arribbuttau ssu mostru orrenuu.
A lu Rimitu Diu l'ha primiatu
'nti lu filici so regna superno.
A lu gran Diu laudamulu 'u aternu,
o cari cristiani di sta terra^
laudannu sempri ddu Nnomu supernu
chi nni siccurri 'nti l'amara guerra.
Sti versi li faciu Ninu Salernu,
Ninu Salernu chi zappa la terra,
pri Diu laudari, judici trimennu,
chi all' empii piccaturi tutti atterra.
(Campar
XIX.
La nugghleri amibbata.
Cc'è un bannu 'ntra la chiazza
cu busi e tammurina *;
l'aggeliti, chi s'affuddanu,
sunnu cchiù di la rina.
— Figghioli I bannu pubblicu I
Cu' è ch'avissi asciatu,
cà persi a me mugghieri
mentri l'avia a lu latu?
Lucia 'na bedda luna,
idd'era a lu me' ciancu:
certu mi l'ha rubbatu
un latru o pocu mancu.
ìy asato al piar., fiaccole.
96 LEGGENDE POPOLARI SICILIInE
Figghioli, di me' mogghi
a vui chi vi nni 'mporta?
Havi lu viviraggiu
cu* è chi mi la porta. —
L'aggenti fa la baja;
batti hi tammurinu:
— Largu, largu, figghioli ! —
Junci un patri Parrinu.
Un Parrineddu amabuli
cu allegra curtisia:
— Dammi lu viviraggiu,
Pidduzza è a casa mia. —
— Patri Parrinu beddu,
chi viviraggiu he dari?
Gei dassi 'na vasata,
po' mi la fa turnari.
E viva lu Parrinu
armuzza ginirusa,
ca senza viviraggiu
mi torna a mia la spusal
Spjassi a li Parrini
cu' ha persi! la mugghieri:
'na vasatedda sula,
cci la tòrnanu arreri.
{Partinico)
LA MUGGHIERI ARRUBBATA. 97
Annotazioni e Riscontri.
Le prime quattro strofette di questa leggenda satirica trovo
riportate in un ms. del 1735, che è detto essere copia di altro
•dei 1596, (V. le mie Storie popolari in poesia siciliana riprodotte
sìdle stampe de' secoli XVI, XVII e XVIII qg. Bolpgna, 1875-77,
pag. 77). Al n. 726 de* miei Canti pop, sicil, (pag. 282) leggesi
il segaente, che in fondo non è che La Mugghieri arrtìbbata ri-
dotta in 10 endecasìllabi:
Era 'na sira a lu Instru di luna,
era assittatu uni la me* vicina,
lassavi a me' mugghieri dintra sula,
cu* fu lu bonu uni fici rapina.
Eu 'nta la chiazza misi a 'bbanniari:
«— Cu* havi a me* mugghieri, dassimilla. —
D*un parrineddu mi 'ntisi chiamari:
— Dammi lu viviraggiu, e pigghiatilla.
— Pri viviraggiu *nii haju chi ti dari,
dacci 'na vasatedda e dunamilla. —
Sài«omohi-Màbiho. — Leggende pop, sic.
XX.
La Bedda di lu ScògghiiL
La bedda supra un scògghiu,
sett'anni ddà cci ha stata,
aspetta, ancora aspetta
lu so amanti amatu.
— Valenti marinara
chi curri la marina,
scuntrasti 'na varcuzza
galanti, galantina?
— A nuddu haju scuntratu,
sulu chi celu e mari;
cu ventu e cu timpesti,
bedda, chi vói spirari ? —
La bedda fa un lamenta
e guarda celu e mari,
LA BEODA DI LV SGÒGGHIU. 99
pènza 'ntra lu so 'nternu,
manna làrimi amari ^
— Valenti marinara
chi curri la marina,
scontrasti un Cavaleri
'ntra 'na varcuzza fina?
— A nuddu haju scuntratu,
sulu 'na dragunara ',
varchi e galeri agghiutti,
anchi a li marinara. —
La bedda fa un lamentu,
Tocchi punta a lu mari,
pari 'na vera statua,
'na statua di sali.
— Valenti marinara
chi curri la marina,
vidisti 'na varcuzza
sfasciata 'ntra la rina?
— Un Cavaleri he vistu
biunnu e dilicatu,
supra 'n' amaru scògghiu
lu pettu sfracillatu. —
* *Làrima, làrma^ làgrima, lagrima.
* *Dragunaray detta anche Cuda di DragUy dragone, tromba
marina.
100 LIG6BNDB POPOLAU 8ICILUNB
La bedda fa un lamento,
abbucca 'ntra lu mari,
e Tunna fici un mùimuru
si vosi lamintari.
L'unna s'ha làmintatu
ca pena nni sintiu;
sutta 'ntra li pirfunni *
la bedda scumpariu.
Sett'anui supra un scògghiu,
Udili ddà cci ha statu;
iinuta la so sprànza,
la vita cci ha lassatu.
{Terrmm
* *Pirfunni, profondità, abissi.
XXI.
Lu Spunsaliiiu di la Ountlssa.
Tennu li baggi cu li torci a ventu *,
fiaccali vennu di tutti li canti,
^^ notti si fa jornu 'ntra un mumentu,
JUxici la cavarcata fistiggianti.
Lia. zita è 'na rigina veramenti,
^*oru strali uci e di petri domanti,
^^ mula cci tinianu veramenti
^o.' Cavaleri puliti e galanti.
Scinni listanti tu zi tu li scali,
^^inni cu patri e matri a lu purtuni,
* lu purtuni la veni a 'ncnnttttri
^tturniatu di Conti e Baruni.
^ la Cuntissa lu vosi 'nchinari
^Utta pulita e binigna d'amuri ;
* *^àggiu^ lo 8t€990 che PhggiUy paggio.
102 LEGC.ENOC POPOLARI SICILIANE
la fudda allura s*ha misii a gridari:
— E cu-saluti a li ziti d'amuri! —
Lu forti amuri chi s'hanim purtatu
la vittoria ha purtatu pri seti* anni;
distanti sempri fu lu 'nnamuratu,
quantu patiu di crepacori e affanni!
La Guntissa idda puru 'un ha mancatu,
sempri 'ntra lu so cori cc'è Giuvanni •;
mài nun manca lu filici statu
quannu du' cori s'amanu tant'anni.
La gioja granni, la gioja 'nllnita,
li paramenti pri tutta la strata,
tutta la casa si vidi cumpita,
iinu a la porta di rami adurnata;
pri fari onuri a lu zitu e a la zita
sta gran casa riali è priparata;
li sònui*a, Tabballi e li cummita,
oh chi pompa mai vista e sparaggiata •!
'Nta la nuttata sempri festa fannu
e dura lu fìstinu fin' a ghiornu:
li scavi e li cria ti vennu e vannu,
la genti chi s'affùddanu ddà 'ntornu:
— Veru filici nn' accumenza Tannu,
frivaru 'un è frivaru a stu cuntomu;
* Giovanni è il nome del Conte, lo sposo novello. La s\
cliiamavasi Teresina , come rilevo da un verso di un' oti
monca e guasta: ** O cara 8ptua^ o cara Tirisina „.
^ Sparaggiata, senza pari.
LU SPUNSALIEIU DI LA GUNTISSA. 103
lì- grazii di lu CJonti già si sannu,
pinzati a chiddi di ddu visii adorna * I -^
£ quannu di la eresia turnaru *,
tuttu lu Barunatu 'n cumpagnla^
'mmenzu li sònura a palazzu arrivaru,
di rosi e ciuri spumpata la via*.
Dici lu Conti: — Tisoru me' caru,
di pussidirti nun mi lu cridia;
èravu tantu luntanu, luntanu,
stu fini addisiatu mai vinia ! —
E la Cuntissa a lu Conti dicia:
— Di Tura chi vi vitti iu v'amai,
èratu sempri la spiranza mia *,
tu mi dicisti: Aspetta; ed iu 'spittai:
ed ora, ca ti sugna 'n cumpagnia,
tutta quantu he patutu mi scurdai. —
Lu Conti tutta letu rispunnia:
— Si t'amu e ti vo' beni, tu lu sai. —
E doppu tanti patimenti e peni
vinni la paci cu granni flstini.
1
Visa adornuy cioè della sposa novella.
* Creila e eìètia^ chiesa.
^ Spumpata^ ornata pomposamente.
* Èratu, tu eri.
104 LEGGENDE POPOLAI! SiCIUAllB
cà doppu di lu mali veni bem,
doppu marusu, canna a li marini
'Ntra la paci vi lassù e 'ntra lu beai,
guditivillu tutti li matini:
mi dati scusa, omini dabbeni,
ca di la storia mia fazzu lu fini.
Annotailoni t RIteontri.
Benché frammentaria, non ho voluto lasciar da parte C-
genda presente per l'importanza eh* essa offre , riportane
quelle sontuose feste nuziali tanto in uso presso i nostri a. '
nobili e ch*io ho tentato ritrarre nel mio lavoretto : Lt ^
nuziali e il corredo delle donne èiciliant nei $eeoli XI V^ XV tf
(Palermo , 1876, 2' ediz.). Vedi in proposito anche 1* opis
da me dato fuori per le nozze Pitrè-Vitrano: Una futa »-«
celebrata nel 1574 in Palermo e deteriUa da un contemif4frM»A
iermo, 1877).
XXIL
La Casa 'ncantata.
Lcciu 'ua casa, vi nni scanzi Diu I
tu, supra 'na rocca la furmau;
►cchiu, di luntanu, duna sbju *,
ru chiddu chi cci capitau I
lenza notti, 'nti la sonnu min,
scrùsciu di catini mi sbigghiau,
-àsimi cu torci attornu vjiu *,
iatu di li denti mi mancau.
a Donzella spuntau cu ottu soru
iingau tri circuii putenti;
X vjiu grapirisi lu solu,
a.talettu surgi 'n tempu un nenti ;
Svago, allettamento.
c^tma, usato frequentemente per Fantà$imay ombra.
106 . LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
e ddà intra curcatu un Nanu moru,
russi di focu li so' vistimenti,
'ntoruu a lu catalettu un gran trisoru,
tri cani, tri liuna e tri sirpenti.
Oh chi massenti d'oru e di munita ^,
com' un suli a li formi spicchiava !
Granni lu stentu meu di la me' vita,
'na junta sula a mia m'arricriava • I
La disgrazia mia Thè sempri unita;
pri pigghiari, la forza mi mancava:
e mai lu scurdiroggiu a la me' vita,
s' 'un avia scantu, riccu addivintava.
Chidda putenti chi li cumannava ' :
— E una, e dui, e tri I — gira e fìrria ;
ed ogniduna di 'ntunnu addanzava,
comu fa chidda, ogniduna facia.
Eu 'nti 'n'agnuni chi tuttu trimava,
ca mi stava spirannu l'arma mia ;
la scalinata a la testa mi dava *,
né Dunzelli, né grana cchiù vidia.
Nenti cchiù vjiu l'amaru di mia ;
e li tri cani ch'abbajanu forti,
* '*Mas8enti^ massa, mucchio.
* Due manate {^na junta) di quel danaro sarebbero stat
steroli a ricrearmi.
^ Cioè, comandava le otto donne.
^ *Scatinatay rumore di catene, scatenaccio.
LA CASA 'nCANTATA. 107
una e li serpi in cumpagnia,
1 ca veniiu pri dàrimi morti ;
lu me' cori, scaijpari vurria ^,
su' murati, ohimè, tutti li porti I
juannu menu mi lu suppunia
ittau 'nti stu ìifernu la me' sorti.
i sorti sfera sta casa di 'ncanti!
i dichiaru, nun sugnu cridutu :
5ru li Dunzelli e tutti quanti
lumera puranchi ha spirutu ' :
lu a lu scuru Diàvuli tanti,
i catini si nn'hannu vinutu,
e' poviri carni spasimanti
mnu chi sarciziu hann'avutu M
ttutu comu gatta 'ntra lu saccu,
biatu Cora' aceddu 'nti lu giuccu,
me' carni nn'hannu fattu maccu,
avia mancu l'armu a fari ruccu.
s'ha cuntatu mai simuli attaccu
Rocca d'Antedda e di He Cuccù,
ancu di Disisa e di lu Giaccu
-osi duci e sèrvinu pri truccu *.
«' corij in cuor mio, per mìo desiderio,
ro, gran quantità di lumi, luminara.
^iu, bastonatura.
:m, gioco, spasso. Vedi Annotazioni e Ritcontri per la
Entella e pei Banchi di Re Cuccù , Disisa e Giaccu.
108 LEGGENDE POPOLABl SIGIUAlfE
Un CUCCÙ vinai cu Tocchi di ramu,
Cur-Cu ! fici tri voti, e ancora trema ;
grapi la terra e dintra subbissamn,
nun sàcciu diri a quali 'nfernu semu ;
'ntra la pici e lu sùrfaru addumamu ;
jettu 'na vuci di duluri 'stremu,
Gesù Cristu e Maria fidili chiamu
e l'Ancilu Custòddiu supremu.
Semu a lu munnu, e comu 'un sàcciu diri,
nun sàcciu cu' mi vinni a scattivari;
li vastunati mi fannu muriri,
lu spaventu mi porta a suttirrari.
Eu Thè vidutu e vi lu pozzu diri,
a la casa 'ncantata 'un cci passari ;
eu l'hé pruvatu tutti li martiri,
a li grana 'mmasati *un cci spirari ^
Gridi a Frisella di Gasteddammari,
Vitu Frisella no, nun ti fa 'nganni,
cà iddu vosi vidiri e tuccari,
e quantu cci nni vinniru malanni I
A li Dunzelli nun li scuitari,
mali pri tia, ti scùrzanu l'anni :
si a Vitu Frisella vó' ascutari,
riccumànnati a Diu eh' è santu granni.
(Camporeale).
4 f
Mmcuati, invasi dai diavoli, ii](!untati.
LA CASA 'NCANTATA. 109
Annotazioni e Riscontri.
lesta Ca9a incantata^ come altresì Lu Bancu di DUièa e Lu
iriddaruy che le vengono dopo, raccolgono buona parte delle
irstiziose credenze del popolo intorno a' tesori incantati ,
Donne-di-fuora, alle streghe, a' diavoli, a' fantasmi, ai pro^
della magia. Per la intelligenza di queste leggende basterà
oscere che in Sicilia la truvaiura, cioè il tesoro incantato) è
ipre sottoterra, o in grotte o in boschi o in antichi palazzi
meno solitarj, ed è sotto la custodia di un Nano moro
taluni paesi detto Mercante) , con berretto o intero vestito
80 scarlatto, accompagnato per solito da bestie pih o meno
)€i, da spiriti e da diavoli d*ogni forma e colore, che fanno
ipre un grandissimo scatenaccio: qualche volta è guardiano uno
iavo d*alta e forte e nera figura, con verga in mano, acco-
dato sul tesoro medesimo. — La truvatura può essere ihan-
% spignata la mercè di combinazioni e parole e pratiche
3^che, in date ore e circostanze, che riesce sommamente dif>
le, per non dire impossibile, dì attuare. Chi si accinge al-
ipresa di vincer l'incanto dee aver coraggio e valore a tutta
▼a: se anche piccolissima parte di queste virtù, gli fa dìiet-
egli allora non solo non riesce nell* intento , ma pella sua
ta pretensione guadagna inenarrabili busse , storpiature e
flebili segni sulla persona. A volte , per benevolenza delle
•ne-di-fuora, a qualcuno capitato per sorte in un locale di
aturOf è permesso di pigliar tenue parte di questa e arric^
si ; purché, anche in tal caso , ei non si mostri dappoco e
iacco.
e Donne-di-fuora, o Donne-di-loco o Belle Signore o Sem pi i-
ente Donzelle , sono esseri soprannaturali che hanno della
^ e della Strega, dotate di grande virtù, cui possono tras-
tere altrui; che amano od odiano, proteggono e beneficano
Ilo
LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
o perseguono o danneggiano per ogni verso; stanno nelle abif
tazioni, sottoterra, in mi bosco^ in una oaacchia, oppnr vagaao
malcficlie qua e Ik, Tanno ai congressi notturni sulla scopa, à
trasformano a volte in uccellacci o in serpi, in gatti neri il pik
!<pesso. Consulta in proposito: Avolio, Canti pop. di Noto, pi^
.'331 e scgg.: — Guastblla, Canti pop. del eirc, di Modica, pa^
OIX e segg.: — Raff. Castblu, Ct'edenze td un popolari gieiUni
(Palermo, 1878), cap. I : — Piraft, Fiabe, novelle e racconti ptf.
HÌeiLj nei voli. IV. VII della Bibl. cit e specialmente ai nnmari
XIX . LIV, CLXXXIIl-CLXXXV. CCXIX , e CCXXIV-CCXLT.
Tra questi ultimi numeri, e propriamente al GOXXX e GCXXXli
si registrano le tradizioni che riguardano Rocca di EnUUà t;
Banco di Ditisa^ e v'è menzione della Grotta di Re Cucco, li
quale è in contrada Sìrignano, poco lungi da Partinico. Ita Tuni
di lu Oiaccft, o piti correttamente di lu CKiaccu (cappio,
scorsoio), è meglio conosciuta col nome di Turri di lu '«j
(Torre dell'impiccato), e trovasi nei monti di Gastellamare dlll
Golfo. Ne fa menzione un componimento poetico del valenti
poeta ()opolare di Borgetto Salvatore d'Arrigo inteso CaràSEU,
quegli stesso di cui scrisse il Pirids nel voi. III , pag. 95-96,
della cit. Bihl. delle tradii, pop, sicil. In questi locali, secondo
la tradizione, si accolgono le trovature più famose e più ricche
dell'Isola.
XXIII.
Lu Bancu di Dislsa.
Cc'era fora li regni
un Grecu di Livanti ',
sfuggh'i'a ]u so libru,
lu libru leramanti ':
« A li parti di Cicilia
« lu Bancu annuminatii,
« lu cchiù forti massenti
« a Disisa 'mmasatu )>.
^ Greci di levante eoa detti in Sicilia i Greci, per distiaguerli
\ft* Greci-albanesi che stanno fra noi. I Greci di levante son ri-
canti dal popolo nostro tutti maghi, onde, volendo nominar
D0 mago, basta dire: Un Greco di levante. Che questa fama sia
fìmadta a' Greci dalle famose maghe tessale antiche?
" *Ltt'amanti^ add., negromantico, di negromanzia.
112 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Lu Greca di Livanti
iu cavaddu pigghiau,
camina e po' camina,
'n Cicilia arrivau.
Ed a Disisa ha ghiutu
sulu senza cumpagni,
cerca ddu gran tisoru
'mmenzu ciiiddi muntagni.
Sfugghia lu so libru,
lu libru laramanti:
« La yucca di la grutta
« cc'è 'na fìcu davanti ';
« un currituri funnu,
« tri càmmari sultani *,
(( 'na porta a manu manca,
« la càmmara riali * ».
Scinni la grutta scura,
fa caminu suttanu,
avia 'na tòrcia a ventu
accisa 'nta li manu.
Quann'agghica a la càmmara *,
la càmmara riali,
* 'Nafieuj un albero di fico.
* *Suttani^ sotterranee.
^ Riali, regìa, così detta pel tesoro che accoglie.
* Agghica^ giunge.
LU BANCU DI DISISA. 113
pa 'na gran chiaria
. fici alluciari ^
iti munzedda lùcinu
'u ammani tatù ',
i lu cchiù timpusQ •
a un Scavu assittatu.
L Grecu di Livanti
sta s'arricri'a,
Qchi la buggiacca,
i si la jinchia.
lannu chi nùn pò cchiui *,
lestu lu pedi:
aju a sdivacu chisti
30* tornu arreri. —
ca, lima e gira,
)rta 'un la truvava;
irta avia spirutu,
.dda parti stava.
. Grecu di Livanti
za e gastimia ':
ari, abbarbagliare.
lunittUu, monetato.
0U8U, alto, eminente: da timpa, poggetto.
di caricarsi di danaro.
zza, y. intr., arriccia. Gastimia, maledica
te-Màbino. — Leggende pop. eie, 8
114 LEGGENDE POPOLARI SiaUANS
lu Scavu, 'mpustimusu *,
la lingua cci niscia *.
'N terra s'assetta allura
lu Grecu di Livanti,
sfugghì'a lu so libru,
lu libru leramanti:
« Lu massenti di Tom
(( si vidi e si manìa;
(c cui nni voli purtari
« nun ràscia cchiù la via »•
Liggennu sti palori
lu Grecu aggiarniau,
guarda lu Scavu ninni,
la tòrcia cci accascau.
Po' li dinari jetta,
li jetta a pocu a pocu;
quanna 'un avia cchiù nenti
truvau la porta a locu.
Nasci fora la grutta
scuntenti e scunsulatu:
— Certu ca l'hé pigghiari
«tu tisoru 'mmasatu. —
* * ^MpustimuaUy dispettoso.
* Quest'urite beffardo e volgare richiama a
Dcmonj a Dàktk (/«/., XXI, 137-138).
LU BANGU DI DISISA. 115
Sfugghia lu so libru,
lu libru leramanti:
« Gei voli assa' curaggiu,
« cci voli arinu Gustanti:
« e tri Santi Turrisi
« di tri capi di Regnu \
« din tra la propria grutta
« facissiru cummegnu:
« e 'na jimenta bianca,
a bianca comu la nivi,
« tirata pri la cuda
« pura cci havi a scinniri.
« Lu Scavu voli sangu,
« sangu si cci havi a dari;
« 'ntra un bottu la jimenta
« tutta s'havi a sbinari :
« lu còiru arsu a li mura,
« li zòcculi a la via;
« lu campanaru frittu *
^«si mància in cumpagnia.
* Tre di nome Sante Torrisi, nati in tre città capitali del
'^o. Una variante porta:
** setti Carri Turrisi
" di lu cajtu (2* 'u Regnti, „
^^put Begni, come si sa, è la città di Palermo.
' Campanaru^ tutte le interiora delia cavità del torace e del
^«mre degli animali.
116 LEGGENDE POPOLARI SiaUANS
« Trema tutta la gratta,
« scrùscinu li catini
« e li russi Diàvuli
« spùntanu senza fini.
ce Lu Scavu voli sangu,
«sangu si cci havi a dari,
« li tri Santi Turrisi
« 'ntra un bottu hannu a casoari.
« Lu Scavu fa un salutu
« e sutta s'allavanca ^,
« spriscinu li Diàvuli,
<( lu gran Bancu si sbanca ».
Lu Gi*ecu di Livanti
a circari si misi
pri tri capi di Regnu
li tri Santi Turrisi:
Lu Green di Livanti
'un turnau cchiù a Disisa;
mentri java circannu,
la Morti liei prisa.
Lu Bancu annuminatu
è ddà sempri com'era,
cà nuddu di pigghiallu,
cci havi forma e manera;
* StUta 9'€dlavanca, si sprofonda sottoterra.
LU BANGU DI DISISA. 117
si vidi lu gran massenti,
si vidi e si manìa,
cu' pigghia 'na munita
nun trova cchiù la via:
cci voli assa' curaggiu,
cci voli armu Gustanti,
cci voli zoccu ha dittu
lu libru leramanti.
(Borgetto).
AnnotaKioni e Biscontri.
Vedi ArmotazimU « IÌi§eontri della leggenda antecedente. La
adizione prosaica reca altri racconti sul Banco di Diaisa, ol-
e a quelli che si l^^ono in Pitrè e che ho già citati. Un canto
^polare di Partinico, inedito, fa menzione del tesoro di Disisa:
Arsirà cci passai di la casa,
ch'era bedda parata la me' Lisa!
Vi miritati 'na vesta di rasa,
tutta di sita la bianca cammisa,
un palazzu di màrmura pri casa
e dintra lu tisoru di Disisa;
po' veni la Sìgnura di la casa,
spunta lu sali quannu spunta Lisa !
XXIV.
La Zagariddani <.
Signurì, vi lu vuogliu arriccuntari
ca sutta di li nuci 'un coi ddurmeri;
mala nu itala chi cci happi di fari,
quantu pativu 'un vi lu pozzu dderi:
^ Zagariddaru è il Nastrajo ambulante, che, recando in is
una cassetta con nastri, ra girando i paesi dell'interno dellli
La parlata di Villalba, in cui si offre questa leggenda, è il
alcune parole alquanto dirersa dalla comune deirisola. A scarni
di molte note, ecco qui queste parole, con l'ordine in cui ri-
corrono ne' versi, messe in comparazione alle comuni che chiodi
entro parentesi: Vuogliu (vogghiu), ddurmeri (durmiri), potò*
(patii), dderi (diri], ia (iu, eu], md (mia), reni (rinì), vuteaglit
(vuscagghia], pariva (paria), seceu (siccu), faeivm (facia), aurgiti
(surgia), g astemi (gastimi), /re<£(Zn (friddu), vidiva (vidia), afrét
(afflitta), schenu (schinu), sdetta (sditta), minnetta (minnitta),/f(^
(focu), luocu (locn), muortu (mortu), crestiani (cristiani), pua [pOÌ)|
ddessi (dissi), «cajpiiZof^u (scapulkstivu), (2(2eci« (dicu), nnemee» (lù> f ;
micu), amecu (amicu).
LU ZAGARIDDARU. 119
ia mi nni jivu pri vuscari pani,
la cascittina ma supra li reni,
^nta 'na vuscaglia guarda ca mi scura,
e ia mi cci arrista' tuttu 'n paura. \
'Na nuci, ca pariva 'na signura
tutta frunnusa cu li vrazza aperti,
mi ce' he curcatu sutta a la bon'ura
ca ia m' havi' cridutt di li sperti:
ia era stancu e m'addrummivi allura
senza cercari linzola e cuperti;
a menza notti mi sviglia' un fracassu,
signuri, ia mi vitti a malu passu.
Un pocu arrassu minava un gran ventu,
un ventu seccu e faciva agghilari;
di sutta terra surgiva un lamentu,
mi pariva unu ch'era a lu spirari;
e di supra la nuci a centu a centu
scàccaui crudi e gastemi murtali *;
ia, signuri, lu cuntu e tuttu tremu,
pri nenti li spinci' Tocchi a lu celu.
la trimava e sudava freddu un ghielu,
nenti nni vitti zoccu succidia;
vi lu juru pri lu santu Vancelu,
ce' era a la nuci la diavularia ':
* Seàccani, sghignazzi, cachinni.
^ *Diaviilariay gran quantità di Diavoli, raccolta di tutti i
DiaToli.
120 LEGGENDE POPOLARI SIGILIAlfB
ia cu la facci supra lu tirrenu
nenti vidiva e lu tuttu sintia;
ce* eranu vuci di granni e di nichi,
gultia saugu a accàscanu muddichi *.
Avia 'ni dichi, pòuru cristiana *1
la dissi: — Ora cumpi' sta vita affretta 1 —
'Nta lu schenu di bottu mi scupparu
du' nluri gatti pri magglhri sdetta;
ficiru miau^ e nenti addivintaru,
li carni mi lassaru 'na minnetta * I
avianu Tocchi du' scardi di fuocu,
ia ristavi pri muortu a cheddu luocu.
Stu granni fuocu, e cu' si l'aspittava ?
Donni-di-luocu 'un ce' he fattu munestu *:
a li nuci 'un ddunueri; 'un cci pinzava
e ora lu vju cu prova mani!estu;
la cascittina nun cci l'appizzava *
e mancu a ma mi davanu lu restu;
menzu muortu m'asciaru a lu 'ndumani^
sii vivu pri du' boni crestiani.
Sti crestiani 'n coddu mi pigliaru,
'nta 'na casa mi ddèsiru ristoru:
* Outtìa, gócciola. *Aeeà8eanu, cadono.
* Che tormenti avea io, pover' omo !
' Cioè, tutte lacere.
* Io non ho molestato mai le Dtmne-di-loeo, *MuneHu, 8. n
molestia.
^ AppizzavOf perderà.
LU ZAGARIDDARU. 121
jua lu cchiù granili mi ddessi: — Vi 'mparu,
<a pri 'gnuranza vi manca lu modu:
lassatili li nuci a li magari,
mun cci fati rizettu ne violu;
3a scapulastu, a Din nni laudati;
^uantu nni sàcciu morti e struppiati ! —
Sta viritati ia mi la 'mparai
^ tuttu jornu la penzu e la ddecu,
ia ddecu sempri e n un la scordu mai,
<3ormiri a nuci nni sagnu nnemecu:
^d ia sta sorti ma vi la cuntai
I>r' awirtimentu comu bonu amecu:
^ignuri, lu vuccuni è troppu amaru,
pinza' la storia d' 'u Zagariddaru.
(VUlalba).
Annotazioni e Riscontri.
U dormir sotto un noce è ritenuto pericoloso anche in Sici-
Jia, perchè il noce è Talbero prediletto delle Streghe, che vi
^>ooo a conciliabolo co' Diavoli. Il N'oce di Benevento è abba-
'tania famoso perchè io mi fermi a ricordarlo: chi ama di sa-
pone minuti particolari, consulti specialmente Diego Zunica, Il
fonato noce di Benevento^ ricreazione de' curiosi eàprtssa nelVistoria
^MlUpliee, descritta e ponderata (In Napoli, MDCCXIX). Di alberi
ove si riuniscono streglie, fate, gcnj, diavoli, si incontrano molti
&elle Fiabe, novelle e racconti del Pitrè, ne* volumi IV-VII della
BiUiiteea citata.
XXV.
La Donna di OalatafimL
Ce' era 'na donna di Calatafimi,
nuddu jornu la missa la lassava,
si cuniissava tutti li inatini
ed a tutti li Santi li prjava:
sta donna era divota senza fini,
chiesi e cummenti sempri firriava,
nuddu a lu munnu mai nn' happi chi diri
'na donna accussi bona 'un si truvava.
Lu Dimòniu sempri la tantava
pri falla jiri a lu mala caminu
e sempri lu so cori cci stizzava
cu maligni cunsigghi di cuntinu :
la bona donna a Maria si vùtava:
— Alluminatimi cu lumi divinu I —
LA DONNA DT GALATAFIMI. 133
lu Dimòniu, chi mài stancava,
jornu la vinciu pri so distinu.
Fomu di festa si susiu matinu,
pastau lu pani e lu misi a lu lettu ;
;'ghia lu man tu e si metti 'n caminu,
: i a lu picciriddu cchiù grannettu :
Ti raccumannu 'un chianci lu bamminu,
isalu aggucciateddu a lu so lettu. —
.'•nu di festa è di lu Diu divinu,
"i^n' travàgghia nni vidi Teffettu.
Chiddu, senza giudiziu e 'ntillettu *,
rghia un cuteddu e jucannu lu tira,
^rta la gula e la tàgghia di nettu •
^u Tavissi pigghiatu di mira ;
^u di sangu allagatu lu petlu,
it amen ti dda criatura spira,
^ranu chi vitti ddu trimennu efTettu,
b^icciutteddu sbaguttutu mira.
ira lu sangù e forti si scantau
c3i so matri si nn'abbarruiu •,
L lu furnu apertu e si 'nfìlau
c3à s'ammùccia e ddà s'addurmisciu.
in la missa e la matri turnau,
Shiau li ligna e li mazza sciugghiu
^<Jn, il fanciullo più grandetto.
-"»-^a, colpisce.
^ >**Marrutu, si atterrì.
124 LEGGENDE POPOLARI SiaLIANE
c subita lu fumu cami£au *:
po' 'nla la naca pri lu nicu jiu.
Jiu prl pi^hiallUy e si metti a pilari,
mischina ! lu truvau scannata e morta 1
a vuoi forti si 'ntisi gridari:
— Amara mia I cu* mi liei sta torta ?
E lu grannettu, dunni Thè circari?
Unu lu persi vivu e V àutru morta ! —
A li gran vuoi, parenti e cummari
cùrrinu allura a dàricci cunforta.
Hannu sintutu ciàuru di cottu,
di lu fumu vinia 'nfallantamenti,
ed a lu fumu curreru di bottu,
la bràcia la tiraru prestamenti:
— Oh Diu I lu picciriddu arsu e cotta !
oh comu s' arrustiu stu 'nnuzzenti I —
La matri cadi *n terra cu gran bottu,
jetta 'na vuci spavintusa, ardenti.
E lu maritu, ch'arrivau prisenti:
— Tu m'ammazzasti li me' dui iigghioli I
Matri tiranna, crudili sirpenti,
ca li làrimi tei su' finzioni ! —
E comu dici sti palori ardenti,
senza guardari a la so passioni,
si lassa jiri furiusamenti,
tira la spata e càssacci lu cori.
* Cam'iau, riscaldò, vi accese il fuoco.
LA DONNA DI CALATAFIMI. 125
Lu primu corpu la donna cadiu,
Tappressu corpu la donna muriu.
Quannu vinni lu misi di gìugnettu,
fu misa 'nta 'na càscia di rispettu ;
quannu vinni lu misi d' 'u Signuri,
fu vista 'nta 'n* artaru addinucchiuni.
(Par Unico).
Annotazioni e Biscontri.
Presso il PiTRÈ {Bihl, cit, voi. II, pag. 217) è pubblicata una
lione, raccolta ia Palermo^ della Donna di Calatafimi ; ma è
scompleta, alquanto guasta, e poi non vi appare chiaro l'in-
sodimento del poeta nel narrare un fatto cosi triste. Il quale
stendimento, per dirlo con le parole di Fra Filippo da Sisva
ittetnpriy cap. 50), è questo: che " de* Santi devi guardare le
•8te, acciò che V ira di Dio non venga sopra di te „. Il nostro
3polo, come il ricordato Fra Filippo, ha in proposito numerose
orielle di gente, a cui è venuto gran danno per aver lavorato
1 giorno di domenica o di festa : nella Donna di Calatafimi
mostra che malanni gravissimi incolgono, infrangendo il pre-
itto, anco alle persóne buone, anzi ottime, e religiosissime:
irò ivi stesso fa vedere che la disgraziata donna, dopo il do-
)re atrocissimo pe' figli e la morte, dovuti al fallo di aver fatto
pane la domenica, è stata assunta alla gloria de' beati come
2 premio della sua santa vita.
È a notare, in questa leggenda , il fatto non comune di un
sastieo a rima baciata appiccicato alla sola ultima ottava, di
lodo che questa piglia la forma di un rispetto deiritalia cen-
*&le. Notevole è altresì, che i primi due versi deiresastico in
arola, come il 5** e l'8® della citata stanza ultima , apparten-
OQO alla famosa leggenda La Baronessa di Carini (versi 131-
32, 135-136, a pag. 129-130).
XXVI.
Liònzia.
Stativi attenti, populu, a 'mparari
cgmu si campa di vera cristiana;
tatti fratuzzi Din nn'happi a criari
e tutti semu figghioli d'Adamu:
nudda pirsuna mai l'ha* 'ncuitari,
'un essiri cu li morti sdisumanu;
e si lu celu ti vó' cunquistari,
sii cu qualunqui binignu ed umanu.
Ce' era un Signuri di nobili ramu
nasciutu a 'Nninghilterra riccu assai,
chi cu li puvireddi cc'era avaru,
vidiri 'un li vuleva affattu mai:
era nimicu a Teternu Suvranu,
dicia cu sfrazzu: — Mai eu l'adurail —
LIÒNZIU. 137
i
afernu e paraddisn, stu scaranu
1 cci crideva né picca né assai.
ja santa missa mai si la sintia;
annu a lu zimmitèriu passava *
icuntrava li morti pri la via,
dicia 'mpropèrii e li sputava,
lia divirtimenti ed alligna,
Dami e Cavaleri si spassava,
ta la notti jomu la facia,
nari e d'unistà nun si curava.
jiònziu di nomu si chiamava,
' era un bellu giuviui galanti;
ia: — La furtuna V haju scava,
an mi la godu, è *na donna vulanti *. —
;ti li suuatura si circava,
ìavaleri e li Dami Astanti,
ini e tavulati cilibrava,
a la vita di lu spasimanti ^
fna jurnata a li ranti a li ranti
m certu zimmitèriu happi a passari,
i crozza cci vinni pri davanti *,
lu la vitti la misi a burrari • ;
raniA, in orìgine teherano', oggi si adopra nel senso di
mascalzone, miscredente.
mitèriu e *Zimmiteri^ cimitero.
anti, che va via presto, volubile.
imantiy forte innamorato, spasimato.
;a, teschio.
rariy burlare, irrìdere.
128 LEGGENDE POPOURI SICILUNB
cci dissi : — Crozza munnata e vacanfcii
bonu facisti a feriti scuntrari ;
ora ti fazzu cu crozza-vulanti,
cu 'na pidata ti fazzu abballarL —
E ddocu, 'na pidata cci appi a darii
la crozza arruzzulau senza risettu ;
iddu cci risi, poi metti a parrari :
— crozza, mi 'ngastau lu tò balletta ^y
a lu palazzu ti vogghiu 'nvitarì,
stasira ce* è iistinu, ddà t'aspettu;
crozza, t'ai-vertu beni a nun mancar!,
sinnò dumani ti scàcciu di netlu *. —
Liònziu, cuntentiy un gran banchettu
subitamenti a palazzu ha urdinata
ca voli fari un fistinu pirfettu
cu canti e soni e tutta sparaggiatu:
chiama l'amici cu summu dilettu,
'na quantità di Dami ha cummitatu ;
lu palazzu facia lu granni eletta
tuttu cu gran lumeri alluminata.
Cine' uri lu fistinu avia durata:
— Viva Liònziu I — ognidunu dicia,
a tavula ognidunu era assittatu,
ddi belli manciarizzi si gudia ' ;
* * * Ngastau, piacque a maraviglia. BaUettu, salto,
* Ti schiaccerò del tutto.
' Manciarizzi^ manicaretti.
Liòxziu. 129
€C*era lu calavrisi e lu muscatu,
e cc'era, cchiii di cchiù, la marvacia ' :
la musica suna\'a a tuttu ciatu
pri rallìgrari chidda cumpagnia.
Liònziu dicia: — Cavaleri,
^ cuQtu un passaggeddu di piaciri *:
oggi, passaiinu di lu zìmmiteriy
<%'era *na crozza (statimi a sintiri)
e la 'nvitavi cu boni maneri
si a *ddaazari cu uui vulia ^inirì;
^ì Tassicuru, la tuccai e* un pedi
6 addanzau sula ca era un piaciri! —
'Xtra cliistu diri se' uri battia,
^ battiri si 'utisi a lu purtuni
<^ tanta furia e tanta vigoria
ca uni trimau tuttu lu cammarunL
^gui Signuri a Liònziu talia;
dici Liònziu: — Su' genti 'mpurtunù
ora cci 'mparu eu la pulizia,
<^ina cci spetta, a sonu di vastunL
Guarda, criatu, cui su' ssi pirsuni;
si Cavaleri, pòrtali 'nvitati;
si poi cci trovi qualchi i^uvii-uni,
'osignacci la crianza a vastunatL
Calabrese, moscato, malvagia, tìdì celebri e ricercati.
* Poitaggeddu, aTTenimentuccio, fattarello.
SAUwon-HABivo. — Leggende pop. sic 9
/
130 LEGGENDE POPOLABl SICILIANE
Paci nun cci nn'è mai cu sti pirsunil
vi vennu di tutt'uri allafannati *
e vurrlanu sulu 'ntra un vuccuni
mangiami la robba cu li stati I —
Va lu criatu e grapi li vitrati
e affaccia a lu barcuni pri vidiri;
arristau spaatu cu Tocchi scasati *,
li gammi moddi a puntu di cadiri,
cà 'na Malumbra, cu maneri airati *,
facia ressa a la porta pri traslri *:
lu servu torna nni li cummitati
ca maucu avia àlica di diri '.
— Signuri illustri, (iddu si misi a diri),,
grapivi lu barcuni pri guardari,
cc'è 'na Malumbra ca fa attirruiri,
longa ca va la casa a 'nnavanzari;
onninamenti ca voli trasiri
e lu purtuni lu sta pri scippari. —
Mentri, cchiù forti s'ha fattu sintiri
'na tuppiata ca facia trimari ®.
* *AllafanncUi, affamati, morti di fame.
* SpantUj spaventato. *Scasati (detto di occhi), uscit' ^
dell'orbita, spalancati.
^ Malumbra^ spettro, larva. Airati^ adirate.
* *Ressa, instanza importuna, ressa.
^ Allea, possa, spinto, vigoria.
® *Tuppiata, picchiata, bussata.
LIÒNZIU. 131
)nziu tultu si 'ntisi arrizzari;
— Servi fidili, eu vi cumannu
la Malumbra aviti a riturnari
diciti: Ccà chi va^ circannu?
stassi hi lìstinu a disturbari,
obili e Signuri ccà cci stannu. —
srvu la 'mbasciata ha ghiutu a fari,
ilumbra rispùai amminazzannu:
Eli ti cumannu a lu patruni vai,
ici ca eu sugnu chidda testa
u burraia e calpistata assai
'nvitata d'iddu a chista festa :
li porti mi li grapirai,
ì rispettu la genti furesta *,
inuta, a lu 'nvitu nun mancai,
ìdu vo' parrari e fari festa. —
i servu tutti cosi manifesta
patruni, ca nn' è spavintatu :
^rvi, cci dissi, diciti a la testa
in vogghiu morti e ca rhaju burratu:
►ri li vivi r he fattu la festa,
. lu mortu a lu so malu statu.
tra di tantu, cu primura lesta
urtuni sia chiusu e ben stangatu. —
-u servu la risposta cci ha piirtatu:
talumbra, pò' sfrattari pri tò via,
toj add., forestiera.
132 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
cà lu patruni a tia nun t ha 'nvitatu
e pri burra e disprezzu lu dicia. —
Ccà la Mal umbra un ammultuni ha dalu
e lu pùrtuni subitu cadia;
'nta lu cummitu si cci ha prisintatu,
tutta dda Nubiltà s'attirruia.
La Malumbra dicia : — Nun Y*appagnati,
Signuri, ca 'un vi vogghiu mulistari,
tutti li sensi vostri vi spassati,
eu sulu cu Liònziu he parrari :
si fìci viulenza, mi scusati,
mancu viddanaria nni sàcciu fari;
eu Tavia passatu li 'mbasciati,
Liònziu mi vosi a mia sfurzari. —
Liònziu si Susi pri scai)pari:
la Malumbra stinnicchia li so' vrazza,
pri li capiddi lu viiini a pigghiari
ed a lu friddu pettu si Tabbrazza:
— Liònziu, 'un è tempu di scappari,
la Morti t' ha cugghiutu a li so' lazza;
lu 'nfernu ora pò' vidiii e pruvari,
lu Cifaru t'aspetta a la so mazza.
La mala razza a lu 'nfernu addannata,
li boni 'n celu godinu la paci ;
l'arma tua, eh' è impia e rinjata *,
ora cci tocca l'eterna fumaci. —
* Binjatay rinnegata.
LIÒNZIU. 183
1 dici chistu, arrabbiata,
japiddi lu spinci tinaci,
a tri voti a 'na fiata
ia pri Tàriu vuraci.
ona 'ntra l' àriu fin gridu firaci,
imbra spirisci com' un lampu.
rinesci a cu' campa 'stinaci *
LI piccatu e nun cci cerca scampu.
a Diu, eh' è signuri viraci ;
)viri dùnacci lu campu ';
li morti ripusari in paci
u 'nfernu vó' truvari scampu.
ita è un lampu, e sta 'mpressu la morti ;
a Diu di cori, eh' è bedd' arti,
la fidi sta' costanti e forti
ni è scrittu a li sagrati carti.
iziu nn' ha' 'ntisu vita e morti,
inni 'mpara sintennu sti parti ';
ti li nisciu Nardu Lu Forti
«
cunzariotu è la so arti.
(Monreale).
ostinato.
8. m., quel che è necessario per campare, ritto,
dice anche ^Camjpa^ s. f., nel significato istesso.
i o ^Impara y s. f . , apprendimento, insegnamento.
)erato sempre al plur. , le stanze che compongono
poetica. '^'Xeseiri li parti, comporre una storia in
134
LEGGENDE POPOLARI SiaLIANK
Annotosioni e RUcobM.
La Storia etemjylare la qnale tratta d* un uomo per nome Luih
zioy che ètava sempre in allegria» stampata in Bologna [Tip. Co-
lomba) nel principio del secol nostro, ma eh' è certamente pftj
antica, è nota e riprodotta in varie città d'Italia con lied diti
ferenze. Due stampe recenti danno un pò* mutato il titolo: 1)^
Ittoria di Leonzio; etortazione al popolo erietiano. Non ditpr^\
zar i morti dalVuempio che qui «t racconta.. Opera nuova
potta da un divoto delVanime del purgatorio (Tip. TamlKirild,
8. 1. e a., ma Milano, 1871); 2) Leonzio, ovvero la terribile
detta di vn niorto (Firenze, tip. A. Salani, 1878). Una li
istriana se ne legge presso Iys (XXV, 16, pag. 371}, ed una
sione prosaica in Bernoni, Leggende fantastiche popolari venezit
(num. VII, pag. 19). 11 testo siciliano, che qui stampo* noe
allontana gran fatto dagli altri del Continente; ma oflFresi t(
scggiskto in ottave ticiliane e non epiche e con tal freschezza di |
immagini, varietà di eloquio, spontaneità di rime, da far di-|
bitare che la leggenda possa essere sorta primitivamente in ^
cilia. Ma il dubbio non è prova: e deirignoto conciapelle Leo-
nardo Lo Forte, che se ne dichiara autore e che ci si mostn
non ignobile poeta, nulla io so dire, come nulla ne riferisce li
tradizione, alTinfuori di additarcelo come nativo di Monreale.
XXVII.
San Oristòfalu.
'Spettu l'Eternu Patri chi m'ajuta
quantu si spéa sta lingua siguita *
d* 'un ce' essiri palora pruibuta,
tutta la vii*ità purtari unita :
doppu di chista storia finuta,
cuntàrisi pri tutta la partita,
accussi cridirò ch'ognunu ascuta
di Cristòfalu santu, sennu in vita.
Sennu in vita Cristòfalu, ascutati,
intisi un Re putenti annintuvari,
natu 'ntra tanta summa putistati,
tutti suggetti ad iddu avennu a stari:
^ Si Mpèa, si dispieghi, si snodi. *Siguita^ spedita, libera.
136 LEGGENDE POPOLARI SICIUANE
Cristòfalu cu granni vullntati
già si riduci di jillu a truvari ;
si uni jiu, lu truvau 'nta li so' Stati
unni è so li tu so chi sulia stari.
Arrivannu, Cristòfalu happi a spjari
a la guardia suggetta di ddà jusu:
— Cchiù putenti di stu Re si pò truvari T
— No, nun si pò truvari, (coi ha rispusu)-^
Ti pregu, amicu, chi cosa nn' ha' fari ?
Cavaleri mi pari curiusu.
— Dicci chi servu so vogghiu arristari,
va pòrtacci la nova a lu Re susu. —
Lu servu si partiu cunformi è l'usu
a purtari a lu Re li so* 'mmasciati:
— Ccà cc'è stu Omu tantu putirusu \
voli parrari cu so Majstati. —
Lu Re rispusi cu armu aliigrusu •:
— Facitilu acchianari e cchiù 'un tardati.
Ha acchianatu c'un armu ginirusu
'nauti dd'omu di tanta putistati.
Cu so umilittati coi ha parratu,
facennu rivirenzia e salutu:
— Truvai a cu' tanti tempi haju circatu,
(Cristòfalu a lu Re cci ha rispunnutu):
* *Putiru8Uj di gran possanza, poderoso.
* *AUigrùtUf allegro, lieto.
SAN CRISTÒFALU. 137
vostri putenzii haju spjatu,
tti bona nova nn'haju avutu;
iu stari vui, omu bennatu,
tali vuliri arrisurvutu. —
He nn' arristau tantu stiiputu
u a Cristòfalu a lu latu:
n haju simuli omu canusciutu:
aieri, di unni si' natu?
nenzu li Macabei natu e nutrutu.
eu sii cristianu battizzatu:
L pri me' amuri si' vinutu ?
servu cu mia, ca si' acclamatu. —
Re, comu Thappi cummitatu,
li principati si cliiamau \
i tinutu un cummitu sparaggiatu
ristòfalu a latu s'assittau:
irvu chi lu Serpi ha mintuvatu,
lu 'ntisi e lu servu affruntau *.
)tòfalu a lu Re cci dumannau:
' è chiss'omu, (cci dissi), Re miu?
ipatij principi, magnali del regno.
au, riprese, rimproverò. Noto come, in questa storia,
;tanze sieno di sei o di quattro versi, una di dieci.
)io , sono alterazioni del testo e lacune : ma io non
che quel che ho raccolto. Il senso, per altro, non ha
sUe ottave smozzicate.
138 LEGfiEiNDli: POPOLARI SICILIANE
— Chissu, chi pi l*infernl miritau,
è nimicu di tutti gerbu e riu. —
Cristòfalu di novu cci spjau:
— Cu' è cchiù putenti di vu' dui, Re miu
Lu Re chistu cci dissi e cchiù 'un parrau:
— La p utenza ch'hav'iddu nun 1' haju iu—
Cristòfalu a stu fattu si nni jiu
a ghiri lu Diàvulu a circari:
'nta la prima vanedda chi junciu *,
quantu accussi davanti cci cumpari:
— Omu, a cu' va' circannu? Ccà su iu;
sii vinutu pri tia, eh' ha' cumannari?
Hai dittu chi vó' stari servu miu;
robba 'un ti manchirà, mancu dinari.
— Dimmi la virità, nun mi gabbari,
si' suprajuri di tutti li genti ?
Lu Re 'un ti petti sentiri min tu vari,
minazza lu so servu malamenti:
vogghiu li to' putènzii pruvari
si vói chi cu tia staju cuntenti. —
Senza cchiù di tardanza, lu Sirpenti
misi li spiriènzii a mustrari,
liei cadiri du' munti 'ntra un nenti
e tutt' a un nenti a so locu turnari;
I
* Vanedda, vicolo.
SAN CRISTÒFALU. 139
fìci milli visti diffirenti *
a Gristòfaiu fallu accridUari:
lE chisti eh' haju fattu nun su' nenti,
stòfalu, chistu ed àutru pozzu fari.
Dra, Gristòfaiu, ti vogghiu purtari
u vidiri meu bellu palazzu •;
m coi su' tutti li me' frati cari,
su lu tuttu ch'arrèggiu e minazzu *;
^i rispettu ti farò purtari
Ida nni stamu cuntenti e 'u sullazzu:
L, Gristòfaiu, si cu mia vó' stari,
limi appressu chi la via la fazzu. —
^'un gran sfrazzu lu Serpi si nn'andau;
avennu a Gristòfaiu a lu latu,
mu pri strata, 'na cruci 'ncuntrau
Jii Crucilìssu di supra 'nchiagatu.
lira chi lu Serpi s'addunau
dissi: — Aggira, la via haju sgarratu *. —
stòfalu a lu Serpi dumannau:
Ch'ha fattu ss'omu a ssu lignu 'nchiuvatut
^X'istòfalu, 'un sa' tuttu lu trattatu ',
l'omu, chi criau, cci l'ha mittutu:
) spettacoli, finzioni.
cugion d'armonia, invece di cantare ** a vidiri lu meu
cepole fa lu traaposizione deirarticolo innanzi al verbo
a lu vidiri meu ec. „.
'^gin, reggo, governo.
^a, torna, volta indietro.
Ti-Uatu^ successo, avvenimento.
140 LEGGENDE POPOLARI SiaLlANB
s' un muria 'n cruci, a mia fora datu,
morsi 'n cruci, sarvau l'omu pirdutu.
— Mentri ce e ajutu cci jemu a passarla
dimannamu pirdunu cu duluri,
davanti nni cci jemu a 'ddinucchiari,
forsi pirdunirà li nostri erruri.
Di li putenti nun t' ammintuvari
mentri sai chi di tia cc*è cchiù maggiuri:
pri quali cosa 'un cci veni a passari,
trimanti e tramutatu di culuri?
— Ora, Cristòfalu, si cu mia vó' stari,
li mei cumannamenti V ha' ubbiditi;
dunni cc'è cruci 'un mi stari a pur tari,
chi mi fa la stiss' ùmmira fujiri.
— Di li putenti nun t'ammintuvari,
ti muti di culuri e t'arritiri 1
'Nca mentri è chissu, lu vogghiu sapiri *,
Diàvulu, pirchi 'iin vó' jiri avanti:
ti muti di culuri e t'arritiri,
com' ha' tanta putenzia, e ti scanti ?
Mi pòi supra stu fattu favuriri
cuntàrimi lu tuttu lu ristanti?
— Cuntari ti lu vos^rhiu lu ristanti
OO'
mentri chi mi purtasti a tali bruttu:
* ^Nca {dunea), dunque.
SAN CRISTÒFALU. 141
chissu è lu veru Diii, e nun jemu avanti *,
criau celli, mari, e criau tuttu,
criau lu paraddisu, Anelli e Santi,
dianni arriposa lu divina Fruttu;
a xxiia fìci a lu 'nfernu miritanti,
^a sua santa putènzia m'ha struttu.
• Mentri t'ha struttu e ti manna a li 'nferni,
■^i^^vulu, di tia Terruri vinni;
'^3 Vi circannu a cu' tuttu pritenni •,
'^^Xìtri minimu si'. Serpi, vattinni.
'-^ t;ti li to' palori foru innermi •,
^^siri sei'vu tò dispisatinni:
"^^:tttri cc'è Cu' cuverna, e tu 'un cuverni,
^^ànt'è megghiu a li 'nferni ti cunsigni! * —
Prestu vattinni a lu ciumi currennu
^ stu vastuni chi ti va' appujannu,
^^tir> jemu avanti, e basta cosi, questo solo basta.
^ui tuttu jprittnniy quei che a tutto bada, che tutto am-
^^**^. *Pritennìriy v. intr., badare, amministrare, governare.
^^nemii, inermi, vane.
^ HUl è una lacuna. Il Diavolo sparisce, urlando e mandan-
inoco dalla bocca. Cristofaro si butta innanzi al Crocifìsso
lo prega perchè gli si mostri in persona. Indi cammina dì e
)tte fino a che incontra un Eremita , il quale lo conforta a
>DÌtenza e all'opera meritoria di tragettare sulle sue forti spalle
genie che giungeva al Nilo; assicurandolo che cosi avrebbe
dì veduto Cristo. Nella ottava seguente finisce appunto di
•lare l'Eremita.
142 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
ddà passimi li genti cbi vennu,
appressu vinirii Cu* va' circannii. —
Di lu rimitu lu tutta facenniiy
liei sta piniteuza tanti misi,
facia sia vita la stati e lu 'nvernu,
vinianu aggcnti di tanti paisi;
mentri a lu ciumi chi stava vinennu,
d' un fanciullellu chiamari si 'ntisi ^
Coi dissi: — Boni raeu, chi va' circannu
a chisti parti 'nta stu munnu munnu ? —
Iddu cci dissi: — Mi vaju sbjannu,
sii picculu, di l'acqua mi cunfunnu;
vinni a truvari a tia chi va' passannu
tanti aggenti 'nta chistu ciumi funnii.
— Eu t'arrispunnu, caru fanciulleddu,
chi ssi hiddizzi tei su' rara accoddu ■,
nenti stanchirò a diri chi si' beddu,
acchiana, beni meu, méttiti 'n coddu;
'n manu mi mettu lu me' vastuneddu
e pi l'amuri tò mi mi jettu a moddu. —
Sennu 'n coddu dda summa Criatura
e Cristòfalu santu si partiu,
* *Fanciullelluj fanciallino. Qui mancano due ottave, o fo
una. Dio, in forma di fanciullo, chiama ma non si mostra, fi
a che vede che Cristofaro sta per perder la pazienza: indi
scopre, e Cristofaro gli parla.
* *Aceoddu, a, m. Acervo, mucchio.
SAN CRISTÒFALU. 143
nenti cci parsi chi parlava allura,
juncenau 'nta lu ciumi, ingravusiu *;
fu tantu lu spaventu e la paura,
lu vastuni com'amu si turciu.
Iddu si vota e lu talia 'n fìufa:
— Comu avissi lu munnu 'n coddu miu! —
Gesù Bamminu cci arrispusi allura:
— Ha' ragiuni, Crìstòfalu ! — E si nni jiu '.
Sennu davanti di ddu 'Mperaturi,
chiddi cori crudili e laterani •
cci hannu cuntatu tantu disfavuri
tutti contra a Gristòfalu ddi cani:
— Faciti chistu, comu suprajuri,
e di li nostri stati s'alluntani:
nn*ha misu tantu la cita a riguri *,
nni cunsigghia di fari cristiani.
— Vani, comu criditi a ss'omu vanu ?
A ss'omu 'un stati a cridiri nesciunu,
■ *^Ngravu$iri e *aggravu8Ìri , v, intr. , diventar grare, pe-
nte.
* Mancano molte ottave. Cristofaro va a predicare la fede dì
risto in Samo e converte moltissimi: però molti altri lo vanno
L accasare al loro sovrano Addagni (nella leggenda italiana
* * Laterani, luterani; ma qui idolatri, pagani.
'* *Iiiguriy tensione, eccitamento, sobbollimento.
144 LEGGENOC POPOLARI SICILIANE
vasinnò presta in*aliestu li manu ^
e di dàricci morti m' arraggiunu.
Nesciunu cridi a ss*omu zocc*ha dittu;
Tomu cssiri foddi è un gran difettu,
'nta li lìbbira mei cci trova scritta '
ca ogn'omu sta a so itala assaggettu ',
ed a chiss'omu tinirà custritta;
va' pigghiàtilu presta chi Taspetta:
e s' 'un faciti zoccu v'haju ditta,
giustizia farò senza rispetta. —
Cu suspettu a Cristòfalu pigghiara,
riiannu partata nni la 'Mperatari:
— Dimmi, si' cristianu ? — cci spjiaru.
— Su cristiana, sennu criaturi.
— 'Nca dimmi, cosa vói ? Parrà chiara.
— Spera ca la me' Dia stimi ed adari.
— 'Nca si, ca ea la morti ti pripara.
— Nun timi morti cu' pati pr'amari. —
Di nova cci spjiau la 'Mperatari:
— Dimmi chi cosa vói, Cavaleri ?
Megghiu ancona chi posta ti pricari *
si mi prammitti e sai li me' quateli •.
* Vaninnò^ lo stesso che moiinnò, altrimenti.
* Lìbbira, libri.
^ *ltuluy idolo. '^AaaugyettUj soggetto.
* Vedi la nota '2, a pag. 139. Correttamente: ** ìleggl
ancunu ec. „ Ancu7iu, alcuno.
^ Priimmitti , prometti. *QuatcU , cautele , ma qui prò
menti.
SAN CRISTÒFALU. 145
Servi a l'ituli mei senza riguri,
t*3.xinubilisciu 'nta tutti li beni,
l'orni cosa ti fazzu suprajuri
i xni prumraitti e fai li me' pinzeri.
Tinti pinzeri a Gristòfalu assigni;
X'haju dittu, 'Mperaturi Addagni,
xisti su' rituli toi: serpi maligni;
■cosa è vera, 'un vogghiu chi t'allagni. —
.ddagni dissi: — Chistu 'un farro mai
>^iri, li me' servi, servi toi *;
"tmi muti la liggi ti nni vai,
*^i va' dicennu cosi chi m' annoj.
ixximi, chi speri? ch'arrisurvirai ?
^-ntu pri tantu scappari nun pòi:
"- ti mariti ccà, cuntenti stai,
^ <3ugnu chiddi tituli chi vói.
Tristi su' l'ituli toi; si favurissi,
i(i<3agni, e chissà liggi abbannunassi,
^tti li to' vassalli cummirtissi,
^ ^aii cristiani cunsigghiassi,
'^ Oiu, chi servu eu, ancora sirvissi,
itti rituli toi li discacciassi;
7- ohi donu, a la morti, ch'avirissi
^ godiri cu Diu l'eterni spassi I
*^^ c^uesta risposta si comprende, che, nei quattro versi
tt^^ucano alla stanza precedente, Cristofaro torna a fare a
^^ ^a proposta di convertirsi coi suoi al cristianesimo.
g^voxoNi-MABitfo. — Leggende pop, sic, 10
146 LEGGENDA POPOLARI SICILIANE
— S' 'un t'arrassi di ccà !.... Chi va' faceniwit
Muta ssa liggi, 'un jiri pridicannu :
tàgghia, ca 'un hai giudiziu né 'ncegnu *,
mancu Tituli mei li discacciannu. —
Ha rispunnutu c'un armu siquitu:
— Prestu, chi si purtassi carciaratu.
Cerca du' donni beddi e l'occhiu arditu,
li cchiù beddi chi cc'è 'ntra chistu Statu,
e li vistemu cu novu vistitu
e li purtamu a Cristòfalu allatu:
'mmenzu di sti biddizzi e lu cummitu
forsi a li 'ntanti cadissi 'n piccata *. —
E s' ha partutu lu pòpulu 'ngratu
pri sti dui donni a ghiri a circari ;
Annicula e Nisena hannu truvatu •,
li cchiù beddi chi cc'è 'ntra dda citati ;
e r hannu nni lu 'mperiu purtatu
davanti dd'omu di gran putistati ;
e s'incrinaru e cci hàppiru spjiatu *:
— Chi nni cumanna vostra Majstati ?
— Eu vi cumannu e chistu facili,
donni chi di biddizzi 'un cc'è Taguali,
* Tàgghia^ e più sotto atàgghia , tronca , cessa (il dì0
zittisci.
* *' Ntanti, tentazioni.
* Kella leggenda italiana: Aquilina e Niceta,
* S'ifécrinaruy si inchinarono (le due donne).
SAN CRISTÒFALU. 147
ati di Cristòfalu vi nni jiti
i vistuti cu pompa riali;
u di versu lu scummittiriti *
L cadissi in piccala murtali. —
^uali ddi dui donni, si i}arteru
ghiri a Cristòfalu a 'ntantari :
ri tia semu vinuti, e chistu è veru,
bòfalu, è vinutu lu tò 'mparu ' :
uni a tuttidui, 'un ti fari ateru • ,
cosa s'havi a fari, 'un ce' è riparu.
- Donni, stativi accurti, 'un tanti vuoi %
iamma vi tegnu pri som ed amici ;
bòfalu a sta cosa 'un s'arriduci,
tu è Tamuri e Cu' lu tuttu liei,
^rnu Patri miu umili e duci;
l'ama 'n terra, ccà campa filici,
clu poi godi la superna luci
'Àncili e li Santi cchiù filici.
aterna luci nn'hai, comu ti dicu,
la liggi di Diu nun passa in jocu;
su chi ami tu è un tò nnimicu
ddà ti porta, a lu tartàriu focu.
mittiritì, stuzzicherete.
9aruy 8. m., addottrinamento, scaltrìmento.
'u e auleru, altiero.
irtiy silenziose (quasi occultando gU inonesti desiderj).
148 LEGGEINDE POH>LARI SICILIANE
Si ami a lu me* Diu, fa* un bell'intrica S
e ti YÓ' fari cristiana ddoccu
e ti lu pigghi pri spusu ed amicu,
'n celu va' a godi a lu superna locu,—
Stesi un poca la donna e rispunniu * :
— Cristòfalu, nn' ha' fattu arridduciri,
cristiana mi fazzu, idda ed in,
semu 'nciammati di ssu bellu diri.
Tu, chi si* dignu, prega lu tò Diu
chi nni porta a la glòria cci ha* diri. —
E tutti foru misi carciarati,
tutti ristritti a patiri trummenti •;
foru di Gesù Cristu alluminati
pri gòdiri cu Diu aternamenti :
ottanta e setti milia surdati
l'ha rimisu Cristòfalu ad un nenti *,
foru comu Sarò (?) martirizzati
e gòdinu cu Diu aternamenti.
Di novu cci spjau lu 'Mperaturi :
— Comu cummerti lu populu miu?
* *Intricu^ propriamente vale intrigamento, ma qui, pJ
buon senso, unione, o anche negozio.
' Stesi, stette.
^ *Trummenti^ metatesi di turmenti, tormenti.
* Vha rimisu^ li lia rimessi nella giusta e vera fede.
^nti^ in un fiat.
SAN CRISTÒFALU. 149
onni cci mannavi tradituri,
), lu me' disignu mi falliu.
timillu ccà senza timuri. —
stòfalu santa allura jiu.
[u su' lu foru di lu paradisu *
ùau lu me' Diu patri amurusu;
tanta dignità sta 'n tronu misu •,
ri nun si pò, eh' è luminusu I
i è la virità chi ti palisu;
vissi adurari com' è usu:
1 si un'armu a lu 'nfernu curamisu,
làvulu chi aduri tinibrusu ". —
•ispusi un surdatu di ddà allatu :
igghia, taci, (cci dissi), ha' stari mutu ;
suprajuri meu, 'ccussì ha' parratu ?
tanta superbia, lingutu? —
mpuluni a Cristòfalu ha datu:
ifalu si l'avennu ricivutu :
sa' pirchi mi Thaju suppurtatu ?
istianu e Cristu m' ha tinutu.
Omu grossu cunfusu, (e nun si* 'n prlculu),
i' cuntannu tantu di spittaculu;
Cristofaro all'imperatore.
tendi il soggetto, ch'è Dio.
e note 2 a pag. 130 e 4 a pag. 135. Gramnaatical-
hi un Diàvulu „ ecc.
150 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
a tia di morti ti nn* accurri priculu,
vaju vidennu ca si' omu vàculu *;
ora pri nui lu cuntu è ridicuiu,
mustra di lu tò Diu gualchi miraculu '.
— Pri 'mbràculu nun manca. — E coi spjau^
— Quali vulili chi v'ammustru iu?
— Turnari vivu un lignu chi siccau.
— Àutru chi chissu cc'è di lu me' Diu. —
Pigghia lu lignu siccu e Tammustrau *
davanti tuttu ddu populu riu;
l'avennu 'n manu, 'n terra lu prantau *,
fìci li frunni e li frutti cumpiu.
Lu 'Mperaturi riu, cu arrau 'ngratu
dissi: — Olàl stu magaru sia linutu! —
Cumannau: — Fussi a ss'arvulu attaccatu
versu eh' 'un si putissi dari ajutul
Parti pri parti fussi saittatu,
corpu pri corpu uni fussi affinnutu! —
Di chistu dannu Diu Tha lihiratu
e comu nenti mai avissi avutu.
Addagni era cu ddu cori tris tu:
— Li corpa nun cci dèttiru munestu! —
* Vàculu, vacuo, vano.
' Quel che tu hai contato [la ciuUu) del tuo Dio non ^
per noi; fatti ci vogliono, non parole.
* Lu lignu ticGUy il suo secco bastone.
* *PranlaUj della parlata, piantò.
SAN CRISTÒFALU. 151
umannau: — Facemu chistu,
radigghia pigghiamu lu sestu ^
: s'avissi 'na gradìgghia a fari
?i longu quanta pò stinniri,
i' vanchi s'havi a disignari,
QU un mastru eh' havi cchiù sapiri *. —
ta avennu dda gran santa testa,
pu santu in pedi si jisau,
;ari ancora facia festa *,
ti lu vrazzu 'ngarbulau *:
3 'mbràculu chi cu Tàutri arresta,
L senza testa pridicau.
:ma e la curuna cci calau,
rgini e màrtiri muriu;
li spassi e quantu miritau
s t'arma a la grólla junciu!
ura, sesto.
molte ottave. Il Santo, bruciato sulla graticola^
la di nulla; anzi, finita appena roperazione,
iddu si sìisiu,
beddu di com* era addivintau,
*e, indispettito più che mai, ordina che gli si ta-
che viene eseguito,
a, godeva.
lauy girò intorno, sollevò in QÌro.^Ngarhulari Tiene
.ssino, quel cerchio di cascina che si adopera pei
152 LEGGENDE POPOLARI SICILUNK
Un letta tuttu d*oru e di damanti,
Giaseppi ca Maria fora prisenti;
e rÀncili spjavanu a li Santi:
— Cu' è?— Chiddu chi partaa Diu 'nniputentl-l
Laadama a tutti a cu' nn'ha favurutu,
omini dotti, ch'aviti ascutatu;
pirchi Carvinu sii, nun sugnu 'strùtu *,
mancu a la puisia sugnu 'ncrinata;
nun haju li me' difetti canusciutu,
cu' sa' 'nta l'opra mia avissi sgarrata!
Chisti santi canzuni l'ha linutu
'n' urtulanu di Tràpani binnatu.
(Borgetto).
Annotazioni e Riscontri.
Della Vita , Martirio , e Morte del cavalier di Christo S, Ci
atofaro esiste nella Comunale di Palermo una stampa in 8.*
pag. 8, senza luogo e anno, ma palermitana o napoletana fon
e certo della fine del sec. XVII o principio del XVIII. La le
genda è in ottave epiche italiane, in num. di 105, quella stes
che, priva di varie stanze e qui e qua rimaneggiata con se
sibile suo scapito, si trova ristampata varie volte, con lie
alterazioni del titolo, in Bologna (Tip. Alla Colomba), in 1
lano (Tip. Tamburini), in Firenze (Tip. Salani) ed altrove, d
principio del secol presente ai di nostri. Il testo siciliano e
do fuori, bello per faciltà di rima e vivacità e varietà di esprc
* *Slrùtu^ istruito, dotto.
SAN CRISTÒFALU. 153
sione, eostava, secondo raffermazione di chi mei dettava, di 185
itauze; e come dall' ultima di esse appare , è opera di un tal
Calyino, ortolano di Trapani, da non confondersi certamente
col suo concittadino e celebre poeta» Giuseppe Marco Calvino
(il1785, m. 1833), autore che si compiacque di trattare nel natio
vernacolo argomenti tutt'altro che edificanti e morali. La no-
stra leggenda è diffusissima, ma dovunque l'ho trovata con le
lacune che ha la lezione di Borgetto; nella quale, come pur
nelle altre, certe forme della parlata trapanese rimangono tut-
tavia inalterate a testificare l'originaria provenienza.
Presso A. IvE (XXV, num. 5, pag.361) si leggon due strofette
di preghiera a San Cristofaro^ simili ad altra siciliana che ri-
petono i fanciulli ed è la seguente:
San Cristòfalu granni e grossu
ca purtastu a Cristu addossa,
riccumannatinni ogn'ura
a dda summa Criatura.
{Eibera).
xxvin.
Bàrtulu.
Arricurru a lu Patri di la gloria
e a la sagrata virgini Maria,
chi m'assisti lu sensu e la mimoria
e avissi 'n sarvamentu Tarma mia.
Di Bàrtulu cuntari la so storia,
li gran ricchizzi e putenzi eh' avia,
vogghiu cuutari un'opra miritoria
ca di lu celu nni grapi la via.
Granni ricchizzi Bàrtulu tinia,
cchiù megghiu di Baruna e Titulati;
lu sfrazzu e la superbia eh' avia,
'mpunia a li cchiù forti putiutati:
di la putenza si nni privalia,
supricchiarii nni fìci 'nfìnitati.
BARTULU. 155
joviri e ricchi gran dannu facia,
xnai a lu munau nn' happi piatati.
Ed ora Thavi a tutti 'nnimicati;
ad ogni locu li feri 'nnimici
cci tiranu a la peddi spiatati,
ca iddu a tutti gran dannu cci fìci:
ed ora nudu e crudu lu truvati,
senza nuddu risettu e senz'amici,
ora nun cùnta la so putistati
oa fìneru li tòmpura filici.
E cci dici ognedunu, chi lu senti:
— A mia mi dasti d'amarizzi tanti !
Gd ora, ca si' poviru e pizzenti,
Ara' circannu piatati cu li chianti. —
E tutti r arribbùttanu li genti
oomu cani rugnusu misiranti *:
Oc' è Simuni tirribuli e valenti,
lu va circannu pri tutti lineanti.
Lu va circannu pri tutti li canti
cà affattu affattu sbinciari si voli:
— Lu pettu ce' he cassavi a ssu birbanti! —
semxiri chi dici sti suli palori.
Bàrtulu nn' avia statu la quasanti
di dàricci a Simuni crepacori,
cà cci avia fattu moriri l'amanti
circannu d' arrubbàricci lu cori.
*MÌ8Ìrantt, misero, miserabile.
156 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Bàrtulu assa' si doli di la sorti,
sta sorti nun la pò cchiìi cumpurtari;
sempri davanti si vidi la Morti,
ca teni 'n pugnu li saitti amari.
— Pri mia su' chiusi, ohimè, tutti li porti,
privu di casa, d' amici e di pani;
tutta la genti mi gridanu forti:
A iddu, a iddu, cK è lupu firali * /
'Nca, chista vita nun si pò campari,
sta vita è un cuntinuu muriri:
si m'arriva Simuni a capitari,
e quantu nn'avirrò peni e martiri I
Si pigghiu la campagna, è cchiù pinari,
fami e timpesti mi vennu a fìniri;
lu munnu cu lu celu ad òddiu m' havi,
megghiu la morti ca vita crudili. —
Sulu si vidi Bàrtulu a li campi,
sa' l'ervi di li canapi lu so pani;
e si passa di zàccani e di mandri *,
è ribbuttatu peju di li cani \
Va pazziannu pri ddi rampi rampi *,
si canzia di l'omini e l'armali:
* '^Firali, add., ferale.
' Zàccanu, ovile, gagno.
^ È notissima e proverbiale l'ospitalità de' mandriani siculi
e la loro generosità, non inferiore a quella de' Sardi, nel donare
ai pellegrini: onde è veramente terribile lu ripulsa fatta a Bar-
tolo.
* Bampaj salita erta e scoscesa e senza vegetazione.
BARTULU. 157
lu celu l'assicuta a trooa e lampi,
accjua a minnitta e grànnuli murtali *.
Nun havi cchiù chi fari lu mischinu,
tutti li so' pinzeri sunnu vani;
si vidi juntu a T ultima stirminu,
la stissa sprànza coi allargau li mani *.
Avia junciutu a lu mari vicinu
làciru, stancu e mortu di la fami,
si misi supra un scògghiu sularinu •,
avria fattu piatati a li pagani *.
Tuttu di bottu vidi assubitari
a Simuni e la fera cumpagnia;
fìci la morti chi happi di fari:
— Ora, sti carni nni fannu tumia I —
Si vinni di cui uri a tracanciari
cà 'un ce' era afTattu né scampu né via;
ha taliatu 1' unna di lu mari:
— Megghiu strùdila tu sta vita mia I —
E mentri sti palori barbacia •,
furiusu di bottu si jittau;
* A minnitta^ in gran quantità. Grànnuli, grandine.
■ AUargari li mani , abbandonare, lasciar cadérsi volontaria-
tnte ciò che sì tenea fra le mani.
* Sularinu, solitario, isolato.
* *Pagani, qui nel senso di infedeli, spietati.
^ *Barbacìa, mormora, ripete in basso suono.
158 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
si 'ntisi un gridu ca dissi: — Maria ! —
r acqua di supra si cci 'ncuppulau V
Simuni, ca prisenti ddà juncia,
si scutiu tuttu, di cori canciau,
cu armii ginirusu e vaiintia
subitamenti a mari assicunnau.
Pri li capiddi a Bàrtulu affirrau,
lu porta 'n summa e lu nesci a la riva,
e supra di la riva lu pusau
cu pena granni e cu primura viva.
Guarda tant' òddiu comu si canciau,
guarda un cori binnatu a quant' arriva !
supra li vrazza so' si lu pigghiau,
e 'mmeri la so casa s'arritira ".
S' astutau V ira tanta furiusa,
Simuni or' havi a Bàrtulu a la casa
e lu cunforta cu vuci amurusa
e comu frati so Tabbrazza e vasa.
— Eu, caru frati, ti dumannu scusa,
eu ti circava cu vògghia marvasa,
eu t'hé fattu la vita dulurusa,
ora pò' stari letu a la me' casa. —
L'abbrazza e vasa comu frati caru,
e Bàrtulu nni chianci pr' alligrizza;
* Gli si distese di sopra, lo coprì. * 'Neuppulariy v. i
senso generale di coprire, avvolgere, non è registrato.
' * ^Mmeri^ e ^mmeru^ inverso, verso.
BARTULU. 159
l: — Tanti malanni mi tuccaru,
fu' la causa di la me' bascizza;
'itava la morti e lu succaru \
X mi dasti grazia e cuntintizza;
vita fitissa 'un ti renni lu pam,
luri accetta di la mia puchizza. —
u paci e cuntintizza 'ntrammu dui "
annu spartutu cu cori amurusu,
àrtulu trattatu assa' nni fui,
a pr' iddu lu statu angustiusu:
I passatu nun si penza echini,
Irsèriu ristau vintu e cunfusu;
a liggi di Din la gloria fui,
'elu è fattu pri lu virtuusu.
opulu di Sicilia ginirusu,
31 liggi di Din ca nni fai casu,
ti darrà cumpensu priziusu,
in mi vótu ad Iddu e 'n terra vasu.
, chi di 'nnimicari aviti l'usu,
'mparati la vència di stu casu;
mfu di la vita gluriusu
a pirdunu, e cunchiudi Tumasu ».
(Castellamare del Golfo).
arti, tortura, colla.
ammu dui^ entrambi.
imaso è il nome dell' ignoto autore della leggenda.
XXIX.
Scibìlia NoUlL
La lìgghia di lu re 'n principi
chi si cerca a maritari
porta setti aneddi a jidita
e quattordici schivani *.
Sta nova jiu 'nsina 'n Tunisi,
unni chiddru malu cani *,
armau setti galeri,
tutti setti capu la Navi
cu triccentu marinari.
Quannu foru 'mmeru a lu portu,
li birritti si cangiaru
pi pariri cristiani.
* *Se7iivani, scribi.
* Chiddru (della parlata] chiddu, quello. Malu cai
È noto che a* Turchi non davasi oe* seeoli passati
rioso soprannome di cani.
SGIBÌLIA NOBILI. * 161
ini jeru uni Scibìlia Nobili:
•cibilia Nobili, aprimi aprimi. —
C no no 'un ti pozzu apriri,
lu me' spusu è a Cacciari. —
porta 'n terra cci sbalancaru,
iibilia Nobili si pigghiaru:
'nu peri e cui 'na manu
'a la navi si la purtaru.
po' vinni lu so spusu
^ccuminciau a spjari:
cibilia Nobili unn' è, unn' eni 1 *
i la pigghiaru li marinari —
in' ha jutu a la marina,
imi air occhi, li manu sbattennu:
eu vi dugnu oru e dinari
juantu iddra pò pisari *.
?urii chi mi uni inghissL navi
o no 'un ti riiaju a dari. —
\ signuri Ginirali,
icitimilla affacciari
mtu ci dicu du' suli palori:
sibilla Nobili, Scibìlia Nobili,
lu ti facisti pigghiari?
lassasti lu lìgghiu picciulu,
suono eufonico del volgo, è.
-a (della parlata), idda , ella. E così appresso nuddru
\u ec.
»xe-Marimo. — Leggende pop. sic. 1 1
162 ' LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
e cu' minila cci voli dari?
Si iiurrizza 'un cci nn' è no,
pani e nuci cci pascirò.» —
E supra li tri ghiorna
cci dissiru: — Vó' mangiari ?
— Ne mangiari, né biviri,
né durmiri, né stari beni,
nuddru pinseri a mia mi nni veni,
chi lu me' ligghiu è mortu di fami. —
— Si tu hai ssu pettu chinu,
sguittaccillu ^ tu a ssi cani. —
— Lu me' latti é biancu bianchissimu, _
tu si' veni cori di cani. —
m
Li marinari s' addrummisceru;
cadiu la bella dintra lu mari;
scali di sita pi li marinari
pi pigghiari la bella 'nta mari.
E la navi vota e firria,
e la bella chiancennu va:
— Marinarli, marina, marona •
sammi a diri chi ventii fa,
s' è sciloccu o tramuntana
nni me' patri mi purtirò.
— Min caru patri, miu caru patri,
* * Sguittaccillu^ spremilo.
' *Maroìiay lo stesso che marinai qui forse si vuol (^
fare il linguaggio turco.
SCIBÌLIA NOBILI. 163
nix vuliti riscaltari ?
— Mia cara figghia, mia cara figghia,
auantu è lu ricàttitu * tò?
— Tri liuna, tri farcuna,
(T^Jattru culonni chi d' oru su'.
— -Nun pozzu perdiri ssi dinari,
S^antu è mègghiu ti perdi tu I —
Vói mangiari, vói mangiari?
■~ ^^è mangiari, né biviri,
^ ciurmiri, né stari beni,
^<idru pinseri a mia mi nni veni,
^ i lu me' fìgghiu è mortu di fami. —
>:an' ha jutu a la marina:
^^^ navi vota e fìrria
-^^^ bella chiancennn va:
^^arinaru, marina, marona
mi a diri chi tempa fa,
sciloccu o tramontana
L me' matri mi partirò.
I^ia cara matri, mia cara matri,
vuliti arriscattari ?
ia cara figghia, mia cara figghia,
iiant' è lu ricàttitu tò ?
ri liuna, tri farcuna,
ttru culonni chi d'oru su'. —
s^un pozzu perdiri ssi dinari,
ntu è mègghiu ti perdi tu I —
^^^^^tUuy riscatto.
164 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
— Vói mangiari, vói viviri,
vói durmiri, vó' stari beni ?
— Nuddru pinseri a mia mi nui veni,
chi lu me* ligi^hiii b mortu di fami. —
Si nn' ha ghiutu a la marina;
e la navi vota e iirria
la bella chiancennii va:
— Marinaru, marina, marona
sanimi a diri chi tempu fa,
s' è sciloocu tramuntana
nni me* frati mi purtirò.
— Miu caru frati, miu caru frati,
mi \iiliti arriscattari ?
— Mia cara soru, mia cara soni
e quant' è in ricattiti! tò ?
— Tri liuna, tri farcuna,
quattru culonni chi d' oru su*. —
— Nun pozzu perdiri tuttii ss'oru,
quant' è mègghiu ti perdi tu I —
Si nn' ha ghiutii a la marina;
e la navi vota e firria
e la bella chiancennn va:
— Marinaru, marina, marona
sammi a diri chi tempu fa,
s' è sciloccu o tramuntana
nni me' soru mi purtirò.
— Me' cara soiu, me' cara soru,
mi vuliti aiTiscattari ?
— Me' cara soru, me* cara soru.
SCIBÌLIA NOBILI. 165
uant' ò In ricàttitu tò^
Tri liuna, tri farcuna,
.ttru culonni chi d'orii su'.
Nun pozza perdili tuttu ss' oru,
-iif.'ò mèggliiu ti perdi tu!
— Marinara, marina, marona
imi a diri chi tempu fa,
sciloccn o tramuntana
lu me' spusu mi partirò.
Min car.i spusu, mia cara spusu,
valiti arriscattari ■?
Mia cara spasa, mia cara spusa,
iiant' ò hi ricàttitu tò ?
Tri liuna, tri farcuna,
-ttru culonni chi d'orn su'.
IMè;zghiu perdiri tattii ss' oru,
.la chi 'un ti perdi tu. —
G supra li tri ghiorna
11 patri muriu:
I] lassatilu muriri,
tu di russa m' he vistiri. —
►npra li tri ghiorna
a matri muriu:
K lassatila muriri,
a di giannu ^ m' he vistiri. —
Upra li tri ghiorna
» frati muriu;
*A7»7/ (della parlata), giallo, di color giallo.
166 LEGGENDE POPOLARI SIGILLANE
— E lassatila raiiriri,
tutta di virdi m' he vistiri. —
E supra li tri ghiorna
e la soru muriu:
— E lassatila muriri,
tutta di biancu m' he vistiri;
e si mori lu me' caru spusu
di niuru arzolu * m* he vistiri. —
(Marsala).
Annotaiioni e Riscontri.
Questa e la seguente leggenda ci riportano a quel secol*
fortunoso che fu il XVI e alle feroci e continue incursioni bar
baresche sui nostri lidi, quando i famosi corsari Arrajz Soli-
mano, Barbarossa, Dragut, Ulucchiali, Piali, Sinam Bassa, tfa-
staià Cara spadroneggiavano sul mediterraneo, spargendo il
terrore, il sangue e il fuoco in tutte le città e terre littorali e
predando a migliaia i cittadini, le donne e i fanciulli, per me-
nargli schiavi nelle galere, negli harem e nei mercati dell' o-
riente.
Riproduco la ScibUia Xobili dalle Xuoce Effemeridi Sieiliant
di Palermo ^Seconda serie, voi. I, 1874, pag. 526 e s^g.), ove la
pubblicò Salv. Stbuppa, accompagnandola con una lettera illu-
strativa al PiTBÈ. Scrive in essa lo Stbuppa.: * Luogo havvi al
sud-ovest nelle campagne di Marsala a sette miglia di distanza
dal paese, sulle sponde del mare, chiamato Scìbiliana^ ove esi-
ste una torre quadra e stretta, senza porta di ingresso, con
* Di nero e di livido. *Arsolu, della parlata , lo stesso che
Atsolv.
SCIBÌLIA NOBILI. 167
nna sola finestra sibbene, d*onde, per mezzo di una scala por-
tatile, si saliva nella mnda a volta reale, la qnale permette
ancora di salire salla cima o altana della torre, laogo in cai
aseendcvano e si difendevano con pietre e armi i guardiani
del litorale, continnamente infestato dalle scorrerie dei barba-
'^hi d'Africa. — Un miglio più in sa dal laogo descritto havvi
^a specie di castello dirato, con fossati attorno e vestigi di
condotti sotterranei, opera certamente di qael tempo. — Ciò pò-
^to, chi sa se il nome del pnnto dove si trova la torre e que-
sti avanzi d^naa dimora patrizia abbiaao relazione colla storia
'dolorosa della fancinlla Scibìlia?„
Accogliendo ancor io il dubbio del mio egregio amico di
-^ arsala, dubbio che, non soccorso da documenti, rimarrà però
mpre tale, noto intanto come la Scibìlia yobiCi si trovi dif-
sissima eziandio nella provincia di Palermo, dove molti la
^cordano in bocca de' ciechi Cantastorie di mestiere.
Opportunissima, nel mentre sto rivedendo le stampe di que-
^^o foglio, mi perviene una lezione di Borgetto, più completa
^ con varianti non ispregevoli. Per essa la bella Scibilia ci si
^ii^ostra amante e non isposa di un Cavaliere ricco e valoroso,
'^ol quale convive in un palagio in campagna, abbandonato a-
"^eDdo, vinta d'amore, la casa paterna. Questa nuova situazione,
^I&e sta forse più prossima al vero, ci dà la chiave dello in-
compreso e snaturato rifiuto del padre, della madre, del fra-
tello e della sorella, di pagare il riscatto della captiva Scibì-
^^&* Mi duole ch'io non sia ormai più al caso di reintegrare il
testo con l'aiuto della nuova lezione: si contentino perciò i let-
^rì di leggere qui in nota i versi, che al testo mancano, e le
sananti più notevoli.
La figghia di lu gran Principi
chi si cerca a maritari
porta setti aneddi a jldita.
I(ì8 LEGGBNDE POPOLARI SICILIANE
la cuddana e lu fruatali *.
Idda era vera billissiina
com* ^ncila di li celi;
forti si nni 'nnamiirau
d'un valenti Cavaleri.
— Scibìlia Nobili, Scibìlia Nobili,
e no ca li to' parenti
nun ti vonnu a tia spnsari:
si tu vera a mia vò' beni,
a lu me' palazzu ti nni veni. —
Scibìlia Nobili si nni jiu
cu ramata Cavaleri,
tutti lì so' gioj si purtau;
a la campagna luntanu li genti,
'ntra lu palazzu cu tanti ricchizzi
ddà campavnnu cuntenti.
La nova jiu fin' a Tunisi,
unni cliiddu malu cani...
li turbanti si livaru
pri pariri cristiani.
E po' junci lu Cavaleri,
forti turbatu misi a spjari:
— Scibìlia Nobili unn' cui, unii' eni ?
— Si l'aggraufaru li marinari. —
— Lu me' latti bianca bianchissima
sulu e digna a li cristiani. —
* *Fruntalì, diadema dì foglie d'oro, ornato di smalti, perle e
n*olto in uso presso le nobili donne siciliane fino al sec. XVI.
SCIBÌLIA NOBILI. 169
JIfègghiu perdiri *na figghia,
tant'orn *un 1' àscia cehiìi ! —
ìMègghiu perdiri 'iiii som,
tant'oru 'un 1' àscia cchiìi I —
• j
M^ègghìu perdiri tant'oru,
'n' amanti 'un ràscia cchiìi ! -
cii "bilia Nobili turnan
l-'sxmatu Cavaleri;
•^ figghiohi si vasau,
*t.vi strittu '» petta la teiii.
*^ pra di lì tri gbiorna
^ patri cci uiuriu...
o.lu pri la cara spasa
^SL di nìura m' he vistiri ;
'^pri niara sin' a morti
^ lu spasa custauti e forti.
^ìlia Nobili, co' suoi ricordi orientali de' tre leoni, tre
- f^aattro colonne d'oro, darebbe luogo a studj e raffronti
^oa pochi e di non lieve interesse: ma lascio alla feconda
ine e alla critica sagace degli illnstri mìei amici Liebrecht
•er una tale fatica, che non è per le mie povere spalle,
nciirsioni de' pirati turchi e i danni e il lutto da essi por-
Sicilia vengono rammentati in varj canti popolari ed
nelle novelle. Vedi Salomone-Marino, La storia nei canti
zìi y studj, 2.' ediz. (Palermo, 1870): — Pitrè, fiafte. No-
Racconti, nella cit. Biblioteca delle tvad. pop, siciL, vo-
li, pag. 1 e segg.
ri:.'
I" 1
r-;"-
■"(a.
XXX.
Lu nircanU.
T
'^iru
Ce 'era un mircanti ricca ginuisi *,
'n Palermu avia lu bancu e lu so aviri;
qiuin t'era bonu, divotu e curlisi !
Giannottu si chiamava a giustu diri.
Un vutu a Maria virgini prummisi,
nui Maria di Tràpani havi a ghiri ',
cà un granni 'mbràculu Maria cci fìci,
hi caru lìgghiu cci ha fattu guariri.
* Q-inuisi^ genovese. 1 Genovesi tennero largo commercio coi
Siciliani nell'evo medio ed ebbero Logge e Baiichi e Carpare
zioni nelle principali città, l primi privilegi commerciali faron
loro concessi da re Ruggiero al 1117.
' Intorno alla Madonna di Trapani , sì rinomata in Sicilia»
vedi il libro del P. Fortunato Mondello, La Madonna di Trapani,
memorie patrio-storico- artistiche (Palermo 1878).
VI
-il
h
\
LU MIRCANTI. 171
Patri cu fìgghiu 'n Tràpani hannu a ghiri,
la varca nova si jeru a pigghiaii;
fora lu portu spìncinu li vili,
111 ventu 'n poppa li porta 'n canali.
— O caru patri chi ventu erudii i !
e lu Gulfu s' ha misu a rucculari *:
eu, caru patri, mi sentu muriri,
stu gran marusu nun nni fa 'rrivari.
— caru fìgghiu, nun ti custirnari;
subitamenti la vila ammugghiamu.
— Troppu è 'ncagnatu sta vota In mari,
o caru patri, nun la scapulamu !
— Ora la varca vogghiu sbarazzari,
statti sicuru, a la terra vucamu.
— O caro patri, lu rimu nun vali;
Maria di lu siccursu 'unca chiamamu.
— Fora vrigogna si nni spavintamu
<Xuannu chi cc'è lu vrazzu abbilitusu *:
l'acqua sta sùggica a lu marinaru *,
lu pilotu nun cedi a lu marusu.
Nni Maria di Tràpani fìdamu,
lini teni cori e vrazzu putirusu *,
* J^u Gulfu ^ il celebre Golfo di Cnstellamare , procelloso e
ricolosissimo ni naviganti. *l?MccM/arè, romoreggiare cupaiaente.
* ^Ahhilittuu^ add., abile, valente.
* ^Siigqiea, add., soggetta.
* *PtUii'U8Hj add., poderoso.
172 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Mcaria nun voli chi nni subbissamu
cliiamaniiLi iu so nomu gluriusu. —
Ma III inariisu tiimennii crisciii;
(liannottn, ca iu vidi, aggiarniau,
si riccumanna a In supernii Diu
ca mari e celli e hi tuttu criau.
Un cavaddiini pnssenti junciu
(3 suttasupra la varca sbùtau;
'nta li pirfunni la varca spiriu,
patri cu lìgghiu natannu assummau *.
Tri sorti *na galera ddà passati,
sicura annava cu l'unni ai'rati;
di tutta la tragedia s' addunau,
vitti Iu tuttu e nn* appi piatati;
Iu Capitanu Asòriu gridau *:
— Sarvàmuli sti dui digraziati ! —
Si vota cu la chiurma e cumannau :
— Veca di forza, e siami sarvati ! —
Dui forti cordi cci foru jittati;
patri cu lìgghiu, siibitu a mumentu,
a chioda corda li manu sirrati,
di supra li tiraru a sarvameatu:
e tutti cu bon'armu e piatati
cci fannu facci cu cori cuntentu ':
* Aitffummau, venne a galla.
" Asòriu. Vedi Annota'yionl e Riscontri.
* Cci fannu facci, li accolgono con lieta cera.
LU MIRCANTI 173
^'u SU tu diverta arristurali,
imavanu di friddu e di spaventu.
"^^ JiCi>gnu e sten tu la forti galera
•^ ^*^ Capii e si metti a la AÙa ^;
^^pitanii assai cuii tenti nn' era
^^ mari turnava 'n carmaria.
^ian notti! : — Cui ha fidi vera,
^^ abbanduna la matri Maria:
^apìtanu, si pri vui nun era,
' sto. vita ccà si cunchiudia. —
^^i'i Giaunottu chi accussì dicia,
'^^"^'i^i lu piloLu tramutata*:
^^ so' galeri misi a la cursìa *,
' ^iipra di nui grifctu lìlatu *I —
^l>itanu arditu rispunnia:
^^"^>^iiu a postu so sia priparatu :
^vi' cani di la Varvaria ^•
^*^iu la morti e no scavu purtatu! —
^ ^o' galeri già Thannu arrivatu
^^^Tza granni di tanti cannuna,
^ ^opu: il Capo S. Vito, l' antico Promontorio Egitar$o.
•
^^ «ci;irti: scende sotto coperta, dove si intende che Gian-
ft il Capitano stessero a discorrere. TramutatUj allibito.
^Cursìa, 8. f., corsa.
^Yìitn filatila per diritto filo, difilato.
Varvaria, Barberia.
174 LEGGKNDB POPOLABI SICILIANE
forti cannuniannu d'ogni latu,
scupittunati cu ira e primura ' :
e la galera paranchi ha sparatu;
li cristiani cu tanta bravura,
ca tanti di li cani hannu ammazzatu
e lu mari s'ha fattu russu allura.
Senza paura li feri cursari
supra di la galera su' di bottu,
hannu scannatu a V omini cchiù bravi,
fannu straggi cu lu canciarru tortu:
lu Capitana trapassatu cadi,
di lu gran sangu quasi ca è mortu;
omini e donni V hannu fattu scavi,
puru a 'Nniria e so patri Giannottu.
Su' novant'ottu scavi a la catina,
cc'eranu vintitri dami e fantelli;
grana e gjuali ficiru rapina *
e pri lìnu a li cappi e li mantelli.
Mala disgrazia ssa mala matinal
junceru tardu li regj vascelli ' :
la Favignana era ddà vicina *,
nun fora visti li cani ribelli I
* *Scupittunati, schioppettate, colpì di *Seupittuni{8(
lunga, come la dissero ì nostri anticlii, ossia archibus
* Gjualiy gioje, gìojelli.
' La squadra delle regie galere, che per solito gire
stodia del litorale siciliano.
* L'isola di Favignana, la più vasta delle Egadi.
LU MIRCANTI. 175
li cani ribelli vela fannu,
tu a la Varvaria dòttiru funnu ^;
l'isintaru a ddu feru Lirannu -:
Ica ce' è la prisa, e li scavi ccà suiiiiu. —
lischineddi 'ncatinati stannu,
jttati 'ntra ud fossu profunnu;
lani e acqua assa' Ugnati hannu,
L ed afflitti, comu vivi sunnu ?
mnu sirrati 'nta 'na fossa scara,
anni e menzu stu turmentu amaru !
li dami li vinneru allura,
ichi a In Gran Turcu apprisintaru '.
Giannottu: — 'Ntra sta sepurtura
la Morti e nni pigghia di pam :
ti pri morti, tintamu furtuna,
it' ò lu mègghiu ca nn' arribbiddamu ?
iamamu uniti a la matri Maria,
matri Maria cu fidi digna,
mi livassi di la Varvaria
eiizu sta setta 'nfidili e maligna. —
iri la notti cchiù scuru facia
anu rumputu dda catina indigna;
urcu cani, chi guardia facia,
5ran botta cci scacciami la tigna *.
u funnu, sì ancorarono, detter fondo.
p Signore.
hi, i fuQciulIi. Apprisintaru^ recarono in presente.
, (per dispregio), testa, tigna.
17G LBfiGEiNDIC POPOLARI SIGIUANC
Maria divina la s Irata cci 'nsigna,
tutti quarantasei cnrrinu a mari:
ce' èva a ia praja attaccati du' Ugna,
'n sicuru dòrminu li marinari :
tutti r attaccaru a la crastigna *,
i» po' liciru vela a navicari,
hannu spinciutu dda 'ntidili 'nsigna
pr' a li Turchi putirili 'ngannari *.
A r agghiurnari vittiru lu dannu
li cani gastinianiiu cu furari,
li so' galeri prestu priparannu
i^ li cursari di' hannu cchiù valuri.
Giannottu assa' luntanu navicannu,
iddu era pilotu cchiù maggiuri,
di li cursari si scansavi lu dannu,
'n Tràpani junci a li vintitri uri.
Tutta la genti currinu cu amuri,
tutta la genti gran festa facennu,
comu li vittiru scàusi e nudi,
robbi cci pòrtanu prestu currennu.
Iddi lingraziaru a Diu signuri,
vasaru 'n terra di gioja chiancennu :
— Maria nn' ha redentu e lu Sarvaturi,
jàmucci nni Maria tutti currennu. —
^ ^A la crastigna^ strettamente, fortemente (a mo* d
<]uando subiscono l'evirazione).
* Spiegarono la insegna turchesca per poter inganna
corsari ne' quali poteano imbatterò.
LU MIRCANTI 177
E ddà cci jeru a la chiesa chiancennu ,
cu la fninti pri terra V adurannu :
— Du' anni e menzu di turmentu orrennu,
sutta ddi cani a lacrimi di sangui —
Dissi Giannottu : —Pri lu vutu eu veguu,
JMaria di Tràpani, t'aduru cu T armai
Ilaria, ca nni livasti di lu 'nfernu,
patri cu figghiu a tia pri matri hannu I —
Giannottu cu 'Nniria si nni vannu
« tornanu 'n Palermu cunsulati.
ILa festa e Talligrizza chi cci fannul
oà mortu lu cridiànu li so' frati:
e lu Mircanti lu tuttu cuntannu
quantu pateru a la cattivitati :
— Ora ca 'n sarvu vi staju abbrazzannu,
li scordu tutti li calamitati. —
L' ajutu di Maria vi nni fidati,
^aria ca nni duna la saluti,
chidda chi para la cristianitati *,
di li Turchi la para e nni fa scuti.
Chistu vi dicu cu tanta umiltati,
Peppi Arculeu sti rimi ha finuti;
si mancamentu ce' è mi pirdunati,
supra lu dittu l'haju cumpunuti.
A mia mi V ha dittu me' niputi
Petru Bardigghiu, ca stetti a la pena,
* *Parai ripara.
Suomohb-Marivo. — Leggende pop, tic, 12
178 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
li cosi comu foru succidati
guannii chi 'ncattivaru a la galera ^
Comu turnaru 'nchiagati e patuti '
di chidda scavitii trimenna e feral
Maria di Tràpani cci detti saluti,
si cci vùtaru cu 'na lidi vera.
Porta bannera lu mircanti arditu *,
arma e curaggiu ci detti ad ogminu;
quannu chi vosi Diu, beni 'nfinitu,
turnaru a la so patria 'n sicura.
L' annu vi lu dinotu e vi lu dicu
chi li purtaru a ddu patiri dura,
annu di peni e di luttu 'nfinitu,
lu milli ciucucentu sissantunu.
(Partanna Mondello).
Annotazioni e Riscontri.
u'aono segnato in fine alla leggenda, e il punto dì mare ot9
la galera cristiana fu predata, e il nome del Capitano dì esst
galera notato alla stanza 6.% chiamano tosto la menteaonftv*
venimento segnato dagli storici siciliani, voglio direlacattoA
dei Capitani Luigi Osorio e Visconte Cicala, avvenuta nel l561t
* ^Ncattivaru, fecer captiva, cattivarono.
' Patuti, magri, patiti.
' Parta hannera , va glorioso , come chi ha conquistato un»
bandiera al nemico.
LU MIRCANTI. 179
presso alle isole Egadi. I due Capitani, rinomati nelle imprese
iQarittime contro il Turco , portavansi da Messina in Ispagna
per richiamarsi al Re di nna soperchieria patita a cagion di una
galera; ed eran coh loro molte dame e persone, e il Cicala
ftvea seco il giovanetto figlio Scipione , quello stesso che poi ,
^Inhegata la fede, divenne Generale di terra e di mare del Turco,
^ famoso e terribile corsaro. Se non che, in rilevanti circostanze
discordano la leggenda e il fatto storico : in quella ci appare
^1 solo Capitano Osorio con una galera ; è assalito da sei ga-
'ere barbaresche; rimane ferito nel combattimento; poi non se
^ ice più verbo: in questo, in vece, T Osorio montando una ga-
*^otta, viaggia insieme al Cicala, che comanda anch' egli una ga-
^^a; e mentre questi è assalito da una galeotta grossa de* nemici,
^^egli è preso in mezzo da due faste. Non è detto che T Osorio
^^manesse ferito; risulta però ch'egli liberossi presto dalla schia-
'^itìi (certo pagando il riscatto), perchè Tanno appresso, da Co-
lonnello degl'Italiani, moriva d'archibugiata nemica sotto la
*OTtezza del Pignone rimpetto Gibilterra. Quanto al Cicala, me-
^^to schiavo in Costantinopoli col figlio, moriva al 1564 in quel
*^ogo nomato le Sette Ton'i del mar maggiore (Vedi Bonfjglio,
^tlVHistoria siciliana, lib. VI. pag. 545-548). Chi sa! forse Tav-
'^eDÌmento narrato è lo stesso: ma al poeta popolare importava
^ìr solo del suo Mercante, e nominando l' Osorio, come quello
c^ììe salvò colui dalle onde, non si cura del Cicala e della ga-
lera sua. Il numero delle galere assalitrici (se non e' è altera-
tone nel testo) gli venne forse esagerato dal narratore della
infausta cattura, al quale potea importare il mostrar che si do-
vette cedere ad un numero di nemici senza paragone più forte.
Confrontisi poi questo Mircanti con la leggenda in prosa di
fiàwt Yitu Lhechiu presso il Pitrè , Biblioteca cit, voi. VII,
1 e segg.
> ^
XXXI.
La prisa di la Gran Sardana^
Lu milli cu secentu si cumpiu,
quarantaquattru nni signa l'annata,
la gròlia cristiana risblinniu,
risblinniu la Cruci annuminata ':
chidda setta 'nfldili s' attirriu,
la nova cci junclu disgraziata;
cci fu Taiutu e vuluntà di Diu
pirchi la Gran Surdana fu pigghiata.
La Gran Surdana tant' annuminata,
dunni passava, trimava lu mari,
* La Gran Sóldana fu una galera turca di smisurata gran*
dezza, fatta costruire dal Sultano Ibraim.
^ Per questa Croce famosa par debba intendersi qui quella
<ie' Cavalieri di S. Giovanni di Malta, ai quali si ,dee la tit-
toria navale che dà argomento alla leggenda.
LA FRISA DI LA GRAN SURDANA 181
tutta di cannuna priparata
'n forma 'na rocca 'n raenzu mari.
* migghia 'stanti, a la prima annarbata ^,
€lapitana la vinni a 'bbistari;
itu iìrdinau a la so squatra:
Jamii, curremu sta gran prisa a fari. —
»€nza tardari a la squatra urdinau
K^^jiri aniti e Tarmi priparati*:
Cjran Cavaleri, lu punta arrivau,
Xìdi e lu valuri V ammustrati. —
Ginirali la spata livau,
CZ^apitani cu gran vuluntati;
»iu chiaramenti rajutau
li venti 'n favuri cci ha canciati.
a Gran Surdana jianu spinsirati,
la vitti a la squatra chi vinia;
- t^era annava e li banneri alzati
<iiii galeri appressu chi tinia.
^ gran ricchizzi ce' era ammunziddati
di robbi e dinari assa' nn'avia;
^vx Gran Signuri cu so pu listati
ifldu la liei e si nni cumpiacia.
La Gran Surdana pri la Mecca jia
uni lu so puzzulenti Maumettu,
■'Stanti^ distante. Annarbata^ s. f., l'albeggiare, alba.
Aniti, (della parlata), uniti.
182 LEGGENDR POPOLARI SICIUANB
cà lu Buassià cci cunnucia *
un iigghiu di lu Turcu giuvinettu:
la Surdana idda puranchi cci jia
pr' 'un lassari a lu Iigghiu so diletlu;
la dissini Gran Surdana a sta galia,
e fu pri la Surdana lu rispettu.
Senza suspettu lu Ràisi annava ',
si vidi 'n coddii chidda squatra ardita.
La Capitana a 'na galera dava,
'nta quattru botti la festa è cumpita:
puru la San Giuanni cci assartava,
la San Giuanni viloci e pulita,
'na sula cannunata chi tirava
sutta di l'unni 1' happi sippillita.
L'atra galera vidi la partita*,
cala bannera é si suttamelti,
tutta trimanti si pirdia la vita,
scava a li Cavaleri si cci detti.
La Gran Surdana putirusa e ardita
tocca campana e a ditìsa si metti,
e cu r artigghiaria tanta cumpita
cchiù firma di un scògghiu ddà si stetti.
* Bua88ià: sempre così è detto nella leggenda; cor;
forse di Bassa. Era Agli Zambus, o Gelis Aga (come a
chiama), ajo del giovinetto Osman figlio del Sultano.
* Baisi, il Rais Agà Maometto comandante della Gran S
3 *Alraf àuti'a, altra.
LA FRISA DI LA GRAN SURDANA 183
L'ordini detti lu Ràisi a li cani,
li mittissiru a puntu li cannuna,
tutti a 'na botta avissiru a spararì,
la Gran Bardana nun teni paura!
A Maumettu vòsiru chiamari
pri strùdiri li cristiani tutt* a un* ura;
trimenna botta ccl fu 'nta ddu mari,
spararu a un corpu sissanta cannuna.
Viloci cci va abborda la Patruna
eh' era chiamata la Santa Maria^
e curri la Vittoria cu bravura
e puru San Gitiseppi cci curria;
San Lurenzu assartannu cu primura,
gridannu: — Viva Gristu cu Maria I —
spararu tutti a signu li cannuna,
la Gran Surdana quasi trabballia^.
Di tanti corpa quasi trabballia
cà tutti foru gritti a lu so signu,
la puppa spirtusata si vidia,
jetta un gridu dd'esèrcitu malignu.
Lu Ràisi di subitu curria,
dannu curaggiu arripara lu lignu:
r asta di la bannera si rumpia,
dici lu Ràisi: — Chistu è malu signu I —
Contra lu 'ndignu Maumettu cani
forti lu Ràisi bistimiannu,
* TrabbaUìaj traballa.
184 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
a la Surdana la vitti Irimari
pri lu so figghiu assai lagrimanau:
e lu Buassià la jiu a Iruvari:
— Lu 'ncontru è malu e cchiù peja è lu danna;
eu vi cunsigghiu bannera calari,
nun si pò cchiù canzari stu malanno.
— No, (cci rispusi), min è lu cumannu,
la Gran Surdana paura nun teni;
a funnu ora stissu vi li mannu
chisti 'mprisusi e mischini galeri *. —
A li surdati so* iddu gridannu,
li surdati sparavanu cchiù feri;
r artigghiaria mai nenti cissaunu,
mali cci vinni pri li CavalerL
Li Gavaleri cu summa valia
cci jianu 'n facci a dd' orribuli focu;
'nta li galeri lu focu chiuvia,
palli e saitti vannu ad ogni locu.
Li galeri, arrampannu cu mastria %
sicuri staunu comu fussi jocu;
mali cci accasca a la Santa Uaria^
li vili e *nlinni cci pigghiaru focu.
* ^Mprisusi, petulanti, arroganti.
* '^Arrampannu, correnJo all' arrembaggio. Il Traina regist^^
ilrrofiMiart, levandolo al Del Bovo: presso i marini è piii co^'
rettamente usato *Arrimbari'y il popolo dell* interno usa per^
*Ar rampari.
LA FRISA DI LA GRAN SURDANA 185
Sutta lu focu gran genti muriu,
u Capitana la vita cci lassa *
J 'n celu lu Din Patri Taccugghiu,
À di la navi a la gròlia passa.
jÌ Cavaleri a risica li viju,
a Gran Surdana fa lu spacca e lassa *,
iooci 'ntussicati e focu riu
ii^vinu sempri senz' aviri stassa.
•a gran squatra di Màuta nun s'arrassa,
^Xinmatti cchiù custanti ed accanita;
^orti a tutti banni tocca e passa,
Cavaleri su' privi di vita,
^«ixtari nun si ponnu li fracassa,
tifanti morti e la stragi 'nfìnita
i
nnu chi li galeri fannu massa,
nu jucari V ultima partita.
anta Maria fu la cchiù ardita,
*na 'ntinna cci ha datu la scalata,
ra la Gran Surdana attirruita
Cavaleri acchiànanu a 'na fiata:
lutti parti, nun curannu vita,
' Cristiani fànnu V acchianata;
.0X11 di quattrucentu la partita,
Sixpra la Gran Surdana fannu strata.
IfU Capitana: Monsiear de Piane art, comandante delta Pa-
^ morì trapassato il petto da una palla mentre incuorava
Qi che andavano all' arrembaggio.
fa 2ti spacca e lastay fa grande strage.
186 LEGGENOB POPOLARI SICILIANI
Ghidda setta di cani scilirata
fa la difìsa firoci e custanti
e tutta voli essiri scannata,
no chi lassa canciarru e buttavanti.
Lu Ràisi gridava; — DUa marata * ! —
e cu tanta di fùria si fa avanti:
un Gavaleri cu ^na sciabulata
cci ha spaccatu la testa 'nta lu 'stanti.
Di lu Buassià vi dicu avanti
chi stava a la dilisa assa' prudenti,
^na badda cci spirtusa lu turbanti,
'na badda orva cci grapiu la menti.
Gurria lu sangu di tutti li canti,
granni li botti e lì vuoi dulenti;
li Cristiani sennu triunfanti,
gridaru: — Viva Gristu onniputentil —
Chiddi Turchi litenti a chidda vuoi
facci pri terra si jittaru allura
ed ognedunu scavu s' arriduci,
di perdiri la vita havi paura.
Spinceru la bannera cu la cruci'
li Gavaleri senza cchiù dimura,
* mia marata t Imitazione, certo , o corruzioDe
chesche. Il mio dotto amico e arabista, il prof. S.
richiesto, interpreterebbe V Ulta marata come una d
religiose comuni all'arabo e al turco : Allah ma
Allah non vuole (che noi ci sottomettiamo, che u
ec.]. Ulta sarebbe corruzione di Allah,
* La bandiera della Religione di Malta.
LA PAISÀ DI LA GRAN SURDANA 187
apra la Gran Surdana ce' è la cruci,
rat si chiamirà la Gran Signura,
La Gran Signura, eh' è mairi di Diu,
i Diu chi nn' ha datu sta vittoria;
'trt'uri e menza si eci cuuimattiu
'i putiri accanzari tanta gloria.
Li Ginirali la vita pirdiu *
►ra la Gran Surdana pri so gloria,
dddu sempri avanti eummattiu;
sta è prudizza ch'arresta a mimoria.
lu la me* storia la fazzu cumputa,
ta vi r he cuntari la passata *;
innu chi la Surdana fu scruputa,
^ioja granni chi nn'happi Tarmata!
^ ^ta idda era, cu spaventu e muta,
-"^va cu lu fìgghiolu fu pigghiata;
^^ di rasu e di oru vistuta
di tanti dunzelli atturniata.
La Gran Surdana nni fu sdisarmata,
li scavi 'ncatinati a li galeri ;
di novicentu passa la euntata %
chistu è triunfu di li Cavaleri.
Lu Oiniralij era Generalo della squadra Fpa Gabriello de
abres Boisbodraat, nizzardo.
*Pa88atay 8. f., successo, avvenimento.
*CurU(Ua j 8. f. f conto, somma. Secondo il .Mihutolo , fa-
800 gli schiavi, tra donne, fanciulli e ciurma, oltre a 400
lizzeri, tra feriti e vivi.
188 LEGGENDE POPOLARI SiaLIANE
Lu Gran Turcu cci jiu la 'lluminata,
coi amariau la vucca cchiù di feli \
pri rabbia la varva s'ha strazzata,
lu turbanti pistau sutta li pedi.
Siati* a la Gran Surdana chi succedi,
a Màuta nun cci petti arrivari;
pirchl era azzuppata di li pedi
a stentu caminava supra mari.
Ddà la vulianu li Cavaleri,
a Màuta vulianu triunfari ;
cu tanti cannunati di galeri
sul 11 putia jiri a lu spitali.
Cchiù di menzu viaggiu 'un petti fari,
vicinu a la Sicilia junciu ;
una maretta chi la jiu a 'ncuntrari
cci desi morti e ddà la sippilliu.
Comu sutta la vittiru calari,
li Cavaleri assa' cci dispiaciu ;
a Màuta la vulianu purtari,
a mità di la strata cci muriu.
Guarda lu lini comu cci surtiu,
la Gran Surdana annuminata tantu !
tutta la so putènzia lìniu,
di li regni cristiani 'un ce' è cchiù scantu.
Di Màuta la squatra la vinciu,
ca porta 'n puppa chiddu signu santu ;
cci fu rajutu e vuluntà di Diu,
li Cavaleri nn'hàppiru lu vantu.
^ Amariau, amareggiò.
L4 MBA DI LA «&AX STBSIAXA
£d ea od metta fini a chista cantu,
l^ sUnia finuta t* appiisentu,
ringrazìanna a lu Spiri tu sanlu
e I^atri e Figgliiii, chi a nui nn' Iia raJenta.
^lulu di CriTedln, omo ^'anlu,
r ha cumpuimta *ntia peni e 'ntra stento,
cà di la pnisia nan portu vanto,
scusati la me* bàscia sinlimenàa.
(Partitùcù).
18»
kmmUuìmì t Kisrmtii.
La Tìttorìa oarale delia squadra di Malta snlla famosa galea
torca detta la Grò» Scldana e la conseguente cattara di questa
aTTennero nei mari di lerante ver^o risola di Rodi, a* 29 set-
tembre 164Ì. La sua sommersione accadde poi qualche dì ap-
presso nelle aeqne siciliane in prossimità del Capa Passaro^ per
cagione di una burrasca, nel mentri* il cavaliere Verdilla, pre-
cedendo la squadra, la eonducea a Xalta. Le particolarità e gli
accidenti del combattimento si possono veder descritti nella Histo-
ria del Confo Galeazzo Gualdo: Prìoraio. parte terxa, libro VLII,
pag. 390-321 (Venezia, 1648), o più diffusamente nelle MewMrie
del Gran Friariao di Metnna raecdU da Fra Don Asdrìa Misir-
TOLO, pag. 36-38 (Messina, 1699), od anche nella Histoire des Che-
oaliers koipitaUors de Saiml Jean de Jérwtalem etc i>«r Jf. VAiAé
de VxBTOT, tom. V, lir. XIV, pag. 191-193 (Amsterdam, ITSI^
Il giorinetto Osman. condotto in Malta, si converse alla fed*
di Cristo; e pervenuto all'età idonea, venne a vesùr T abito dei
Predicatori in Palermo , nel convento di San Domenico, a cm
lasciò un sao manto di seta e oro con lavoro di arabeschi aqx-
mirevoli, oggi ancora esistente ma convertito in paramento sa»-
«crdotale. Fino al 1866, anno della soppressione delle Corpo-
mioni religiose, esisteva in San Domenico il ritratto del fi-
gliuolo d'Ibraim, in abito domenieauo. Al 1676, subito o poco
190 LEGGENDE POPOLARI SICIUANB
dopo che diventò dei Predicatori , egli si restitaiva a Malta.
Passando da Palazzolo Acreide, attirò gli sgaardi di uno sta-
dioso, Don Francesco Calendoli, il qaale ci lasciava questa nota,
che ho il piacere di divulgare per lu prima volta : ** Giovedì*
^ A 30. di Gennaro 1676. ad hore 21. di d.** giorno venne in
** questa terra di Palazzolo il P.* f. Domenico S."* Tomaso del-
** r Ordine de Predicatori figlio primogenito del Gran Turco, il
** quale fu preso dalle Galee di Malta sopra un vascello chit-
** mato La gran Soldana nell' anno 1644. a 30. di 7bre, che an-
** dava alla Mecca , e per gratia di N. S. Giesii Xpisto si ri-
" dusse alla nostra Santa Fede e si ritrova nella Religione Do-
** menicana. — 11 di seguente ult.° di Gennaro si partì la mat-
** tina ad hore 16. por Siracusa a fine di andare Dell* ìsola di
* Malta di residenza ^ „
La Gran Surdana è rimasa proverbiale in Sicilia per la soaj
mole e pel suo potere: onde udiamo tuttodì esaltare il valon^
di uno con le parole: Chiaau pò cummàttiri cu la Gran Surdmi§,
Un esempio se ne può vedere nei Canti popolari siciliani dal
PiTRÀ, nel voi. I della Biblioteca cit., n.** 87, pag. 203.
La Storia di la pri$a di la Gran Surdana , che ora stamjM^
nou è la sola che corse presso il popolo di Sicilia: un'altra ni
ricordo , udita nella mia fanciullezza , in strofette setteoarii^
nella quale principalmente narravansi i particolari della som-
mersione della immensa galera. Per quante ricerche abbia fatt6|
non mi è stato dato di ritrovare altro che questi sedici verai:
4 La nota, ch'è aatograTa, è scritta sulta guardia di uo libro a stampa dd IM|
il quale conservasi in Palazzolo Acreide, nella libreria di F. GIOVANNI lUlU
Calendoli de' Predicatori, discendente in linea retta da D. Francesco. Debbo d
gentilissimo e dotto mio amico il P. LUIGI Di Maggio de' Predicatori la eopU
esatta di questo interessante documentino, eseguita e cortesemente comanicatt (
lui dal surricordato F. Giovanni Maria. Notisi Terrore di segnare a 30 settembr
la presa della Gran Soldana. Il Gualdo ed il Yertot hanno il ?8 settembr
io ho seguito il Hinutolo, che è meglio informato.
LA 'FRISA DI LA GRAN SURDANA 191
Stativi [sic) attinzioni
tutti cu bona gana,
comu fu ca si persi
la forti Gran Surdana ;
si persi e summìrgiu
pri vuluntà di Diu.
Era vera tirribuli
sta gran galera forti ;
cu' la vulia guai*dari,
una muntagna a mari.
La prima fu la puppa,
V ultima la bannera.
Chiancìa lu Gran Signuri
lu so caru fìgghiolu,
la forti Gran Surdana
eh' è ricca di ti so ri.
testo in endecasillabi, ch'io ho dato, corre eziandio italia-
eito presso qualche Cantastorie di mestiere, quale ad esem-
il palermitano Giuseppe Calvaruso, che crede più conve-
Lte e più bella una versione dì cattivo gusto e sgrammati-
. Ma egli, per menar vanto di saper anche cantare in lingua
may come non sanno altri suoi compagni di mestiere, stor-
ebbe ben altro che la Gran Soìdana. Serva d' esempio il co-
ciamento della leggenda, che pure è il men tristo:
II mille con secento sì compio ,
quarantaquattro assegna Tannata,
la gloria di Cristo risplendio,
192 LBGGBNOB POPOLARI SICUANB
8i fé bella la Croce nominata.
Quella setta infedele s' atterrio,
perchè la nova vi giunse graziata («te):
e fu Taiuto e volontà di Dio
quando la Gran Soldana fu pigliata.
Si direbbe una delle tante versioni, che col nome di Fouii»
Pico fiorentino vennero stampate in l^apoli sulla fiae del seieentS'
e principio del settecento (vedi Pitrè, Biblioteca cìt., voi. Ili, pa-
gina 252 e seg., e Salomone-Marino, Storie pop, in poesia sicil. dt,
pag. 62 e seg.): e forse sarà, ma non ho prove per attestarli^.
La Relazione della gran vittoria che hanno oUentUa le $ei g§^i
-lere della Religione di Malta in Levante nella presa della GtaJ
Soldana di Turchia e di altri vascelli che portavano il figlio
Gran Turco a visitare il corpo di Maometto alla Mecca^ stampi
ai di nostri in Lucca (Baroni, s. a.) e in Napoli (Avallone, U
ma che certo deriva da più antiche stampe, descrìve il mi
Simo fatto con qualche maggior larghezza e particolari mi
ri, ma è cosa diversa dalia presente storia, e non si potrei
accogliere menomamente il dubbio che i due componimentij
fossero traduzione 1' uno dell' altro.
Dovrei ora una parola sull'autore della Storia: m.\ mi tocca
ripetere, come per tanti altri poeti del poì»olo, che non ne co-
nosco che il nome è la qualità di agricoUon , perchè egli stesso
ce r ha fatto sapere ne' suoi versi. Aggiungo bensì che di lui
corre eziandio un'altra leggenda, di sacro argomento, intitolati
La Croce, eh' io serbo inedita ; anche in questa termina regi-
strando il nome suo e l'anno :
A lu milli secentu pocu avanza,
di lu cìnquantadui fa dìsinenza;
cui di la Cruci lassa ricurdauza,
Bàrtulu di Criveddu li dispenza.
XXXII.
La morti di Re Carra secunnu.
A tia ricurru, Cristu Redenturi,
Tu chi guverni la celesti corti *,
di quanta si' binignu, o me' Signuri,
ca e' un sulu risguardu mi cunorti '.
Pintèmunni, ostinati piccaturi,
pri sirviri a stu Diu custanti e forti ;
Papa, Re, Cardinali e 'Mperaturi,
tutti cci stamu sugge tti a la Morti.
La Morti è chidda addulurata e scura
chi a nui nni tira comu calamita
* ^ Corti y poco comune, generalmente curtù
• Cunorti, conforti.
Sjli«omoh£-Mabiko. — Leggende pop, sic, 13
194 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
e nun nni duna tempu un quartu d'ura.-^^"^»
cà mannaia è di Diu, buntà infinita.
Cchiù ricca d'idda 'un cci fora nisciuna -^
s' idda si cuntitassi pri munita :
stamu avirtenti mentri tempu dura
cà avemu a trapassali di sta vita.
La Morti ilei un Diu glorilicatu,
pinzànnucci, a lu 'nternu mi cunfunnu; ■•
Cristu nn'havi a guardari di piccatu,
di l'ostinazioni di stu munnu.
La Morti sta cu Tarcu priparatu,
firmata supra un pernu e gira *n tunnu,
pirchi l'eternu Cristu l'ha mannatu
pri dari morti a Re Carru secunnu.
Mentri, li pusa cci foru osservati
e un sapienti medicu studia:
— Sprànza nun cci nn' è cchiù : chi cci 3.&pit^ti!^
Lu Re pri 'n'àutra strata è misu in via. —
Lu Re s' abbrazza a Diu, summa bontati,
dici : — Vi raccumannu l'alma mia !
Moru, vassalli mei, pacènzia ajati,
a me' patri va' fazzu cumpagnia.
Studiannu li tomi, libri e carti
chiddi Dutturi sapienti e accorti,
upraru 'nceguu, sapienza ed arti
pri fari a lu Re Carru sanu e forti:
LA MORTI DI RE CARRU SECUNNU. 195
3mpu un momeiitu lu misiru a parti ^
dari a la Rigina li cunorti :
'oru, Rigina mia, Talma si sparti,
3arti pirchì a mia tuccau la morti.
. procuri pri fari tistamentu ;
aorti s' avvicina in puntu in puntu,
vogghiu st'arma mia chi pati stentu
xnu davanti a Gristu sarrò ghiuntu :
Lugnu a tutti lu pirdunamentu %
vogghiu chi nesciunu pati assuntu •.
mi lu santissimu Sagramentu
di la vita mi senta difuntu. —
►sa, ch'ogni persuna si stupiu
inu Re Carru, a la morti, parrau *
anu : — Pietà, supernu Diu I —
rdunu di cori addimannau.
rova un Cardinali umili e più,
ra di li so' vrazza si pusau ;
anti chi l'alma di lu corpu 'sciu ',
ti li so' vassalli pirdunau.
(U Re r ha cunfìrmatu sti palori :
^un vogghiu chi nesciunu pata mali;
I
arte, a conoscenza dello stato vero di sua salate.
iunamentuy perdono.
vmtu^ molestia. Una variante: affruntu,
morti, in punto di morte.
, uscì. Scire, aferesi di iiscire, adoprasi anche nelPita-
196 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
r arma, niscennu di lu corpu fori,
coi la prisentu a Diu cilistiali ;
di sta vita abbannunu li tisori,
la me' cunina e lu scettru riali ;
binidicu e pirdugnu in tuttu cori
tutti li stati mei, cita e casali. —
Dici : — Rigina mia, facci sirena,
nun cci abbasta cunfortu ch'omu duna,
cà v'arresta a lu cori 'na gran pena;
'ccussì voli lu celu e la furtunal
Già mi manca la forza cu la lena,
lu pusu e ogni virtuti m' abbannuna I —
Dissi Re Carru cu palerà amena:
— Cci la lassù a cu' tocca la me' cruna.
Si chiama lu Gunsigghiu e, sintiriti,
cci spja di lu Guvernu e di li Stati;
— Nun cci haju culpa, comn vu' sapiti,
si vassalli cci su' mali trattati:
pirdugnu a tutti, e vogghiu chi scriviti,
nun vogghiu chi nesciunu pri mia pati.
Dicennu sti palori àuti e cumpiti *,
trapassau la Riali Majstati.
E trapassannu, la Rigina dissi:
— Re miu, pri cunfortu a cu' mi lassi ?
La Morti chi lu cori mi trafìssi :
Morti crudili, chi li cori attassil
* Autij alte, nobili.
LA MORTI DI RE CARRU SECUNNU. 197
mia suli e luna liei aggrissi \
Ideili cu la terra tuttu s'arsi:
• ti, vurria stu càmiu chi facissi ',
3u murissi e Re Carru turnassi. —
i darai e li dunzelli a vuci china
facianu stupiri ogni pirsuna
'occhi fannu funtana e lavina ;
bigina cunfortu nun si duna:
euuiid a lu Re si cci avvicina
Lunucci la manu ad una ad una ;
cista tu la viduva Rigina,
Oarru rinunziau la so cu runa.
- Ohimè I ca mi spiriu V unicu oggettu,
ti, eh' a tali puntu m' ha' riduttu,
à lu beni min, persi l'affettu I —
tigina dicia cu chiantu ruttu :
truvannu né paci né risettu,
l'orti vuci scrama a chiantu e luttu :
•ivàtimi sta gioja di lu pettu,
ligru m'haju a vestiri a lu 'ntuttu.
eni. Matrona, quantu scippi e strazzi,
L, Matrona, e strizzami sti trizzi;
ompi, li grannizzi e li sullazzi
i si trasfurmaru in scuntin tizzi.
rissiy ecclissì.
:iuj cambio.
198 LEGGENDE POPOLAllI SICILIANE
Purtàtimi di nigru li chiumazzi:
comu 'nfìlici su 'n tanti amarizzi!
Morti crudili, chi lu cori agghiazzi,
già persi di Re Garru li carizzi!
Morti, ca veni a sconzi ogni partita,
comu ti trovi pronta e priparata !
quannu ti manna Diu, bontà infinita,
tu nun fai cuntu di nudda casata.
Mi lu tirasti comu calamita,
pri mia fu scura sta mala jurnata;
mentri chi éu campu ed haju vita
chiancirò di Rigina scunsulata. —
Fu lu riali corpu 'mbarsamatu,
cci misiru li so' cari vistita,
sutta d' un gran tusellu situatu,
ijuasatu di quasetta culurita,
d' un cappeddu fìnissimu adurnatu;
di 'nturciaria ogni cosa cumpita * ;
dintra 'na stanza, di oru apparatu
lu corpu di la sua Riali vita.
Cu applausu d'onuri cincu jorna
supra terra lu Re nostru signuri;
li Putin tati di chiddi cun torna
la manu cci vasavanu cu amuri;
* * ^Nturciaria^ grande quantità di torce.
LA MORTI DI RE CARRU SECUNNU. 199
granili di Spagna già s' adorna
ri a lu Re Garru tantu onuri :
i sapemu, cu' mori cchiù nun torna,
miilu a lu Santu Salvaturi ^ —
pilliri a lu Re già s' accumenza
matu di oduri e di fraganza,
icci a la Rigina la pacenza *
r àuti Signuri, com' è usanza,
di novu lu chiantu accumenza,
duluri a la Rigina avanza:
L vidiri lu vògghiu a la spartenza
turnari cchiù nun ce' è spiranza. •—
)ripara 'na granni 'nturciaria,
►ella carrozza beni ornata,
rti visitusa, 'nfantaria,
ottu cavaddi ben tirata:
a cavaddu la gran Signuria
la santa eresia sagrata,
:àscinu d'appressu chi cci jia • ,
nnu la scuravanu la strata.
è vintun migghiu a lu tempiu divinu
1 chiamatu di l'etemu Diu;
di Palazzu e si misi in caminu
•citu e a la eresia si junciu ♦.
liesa del Salvatore.
ucci,,, la pacenza, confortandola.
inu, 8. ni., corteo funebre^ accompagnamento.
Uy quantità immensa di persone, esercito, come scrisse
:, XVIII, 28).
200 leggende: popolari siciliane
La Riggina chiancennu di cuntinu :
— Lu beni di chist' occhi mi spiriu ! —
Tutti li Stati, luntanu e vicinu,
cori di petra fu cu' nuu chianciu.
Spagna cci fìci un granni funerali
cu gran lumi di torci e di cannili
ca di billizza 'un si uni cunta aguali
di quantu èra superbu e gintili.
Sunannu li martoria riali
scuraru di Re Carra li fidili;
a la eresia chiamata Scuriali
sippillutu lu Re, mortu a Madrili ^.
Giacchi l'unicu patri uni muriu,
li figghi e li so' Stati abbannunau,
Napuli cu Milanu lu chianciu,
tutta quanta l'Europa lagrimau:
pri fina lu Gran Turcu lu sintiu,
so Santitati lagrimi jittau,
'nauti ca morsi lu binidiciu
pirchì l'eterna Cristu lu chiamau.
Napuli, fìdilissima citati,
* * tutti cosi cci ficiru cumpiti,
Principi e Cavaleri 'nvisitati *,
lu populu dulenti e tutti uniti
* Scuriali, Escuriale. Madrili^ Madrid.
^^ Nvisitati lo stesso che visitusi e a Wtt^^a^i, abbrunati, ve!
a latto.
\
LA MORf I DI UE GABHU SEGUNNU. 201
i, Capitanii e Surdati
igru si mitteru li vistiti ;
<juannu trapassau so Majstati
«:a Napuli chiancìanu comu viti.
'ntra Salernu, cunformi vi cantu,
'u tutti cosi a cumpimentu;
hi lu nostru Re morsi di santa
■" ha lassatu a lu cori un gran turmentu :
Ibon Munarca, chi nn' amava tantu,
s
tu si r ha chiamatu 'ntra un mumentu.
hi a Gaita si fìci gran chiantu,
nu a so Majstà lu fìnimentu ^
rapani, capu di Regnu, la senti *,
u cci spiaci a V adduratu Munti * ,
tti lu chiancemu amaramenti
^3hl la morti sua uni detti assunti,
x^i lu nostru Re di l'orienti,
^pata daraascina a milli punti,
chiamatu di Gristu onniputenti
^^ celu pr' arrinniricci li cunti.
* S^c. La massaja, ch'é dettavami la presente storia, mi spiegò
ittinvcniu per monumento^ mausoho: io credo perciò che sia una
orrnzioDe o uno scambio di mtmimentu o mulimentu , come si
jee dal popolo il monumento.
' Capu di Regnu perchè presso al Capo Lilibeo.
9 Adduratu, adorato, diletto. Manti, Monte San Giuliano, Tan-
I JSrice.
202 LEr.GENDE POPOLARI SICILIANE
Scrama Palermu pri stu gran tisoru,
ogni mumentu si senti un suspiru,
cà di lu ciumi Oretu quanti foru
tutti quanti di cori lu chianciru ^
Cu' campa, in vita nun pò diri: — 'Un mcyxr "u ;
mancu pò diri: — Vaju, tornu e giru. —
S' ha turmintatu assai la Conca d'ora,
l'àcula invitta si vistiu di niru *.
Patti cci dici a Milazzu: — Suspira,
avemu chi guardàrinni a la cera;
ora pri nui scurau la nigra sira,
s'ha 'stutatu la splènuita lumera;
nun avemu riguardu chi nni mira,
l'àcula è trasfurmata a la bannera;
morsi lu nostru Re, nun torna e aggira,
pèrsimu la filici primavera. —
Sta turmintata la conca marina •
cunformi chista storia risona,
Saragusa, Catania e Missina
pri tutti banni lu so chiantu attona * ;
pri tutta la Sardigna e so' cunfìna,
chianci Majorca, Minorca e Savona,
* Chianciru, forma disusata, da chiancìri: comunemeni
chianceru^ da chiànciri'^ piansero.
' L'aquila, come è noto, è lo stemma della città di Palerm
la quale ab antico è conosciuta col nome di Conca d'aro,
^ Intendesi per questa conca marina il Mediterraneo*
* * Attona^ rintuona, intona.
(
LA MORTI DI RE CARRU SECUNNU. 203
sinu a lu gran Patri di duttrina ^
xnigru si vistiu tutta Ragona '.
u, catòlicu Re, ('ccussi si dici),
abbannunavi stu 'nfernu fugaci
Tii lassasti misiri e 'rifilici,
godi 'mmenzu V àncili veraci;
lu munnu cci fussiru 'nnimici
amariggiari sta vita fallaci,
rica a Cristu chi lu tuttu fìci,«
€arru, prumittitinni la paci.
s
1
asa d'Austria, nomu valùrusu
-■- mai di lu Gran Turcu nni fu offisu,
^^ Aa un Crucifìssu preziusu,
^ lu guardava, ristava arrimisu * :
^ ora dintra a un mulimentu 'nchiusu,
^- di Teternu Patri fu riprisul
^^^xgamu a Gesù Cristu gluriusu
""^^i nni purtassi V arma 'n paradisu.
{Partinico),
* Sic; Non è chiaro. La lezione raccolta in Acre dà : •* Pri
fi/M a lu Dopatri di Turtina „ , che è ancora più oscuro. La
fazione italiana è identica al nostro testo.
* Bagona, Aragona.
3 *^2ffernu fugaci^ il mondo.
^ N'ottenea remissione dei peccati.
204 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
ADnotazIoni e Riscontri.
Carlo II scendea nella tomba il 3 di novembre 1700 ia
drid; e spegnendosi in lui la discendenza maschile deirausti*'^*^
famiglia trapiantata sul trono di Spagna, avea luogo qd-^l'^
famosa guerra per la successione spagnuola, che recò seco t^^
vicende e mutamenti di dominio in Europa e per consegu^^^
in Sicilia. La memoria di Carlo II, per un cumulo di r
eh' è inutile riferir qui, restò cara presso il popolo di Si
il quale, oltre alla storia che ho stampato di sopra, cons
I
il seguente Pitàfiu in rimpianto di quella morte immatura ^
Morti, ca duni morti e 'un si sa quannu,
cu 'na fàuci in manu e mieti tunnu,
tu dasti un cuorpu e fu tantu tiraunu,
'ramazzasti lu munarca di lu munnu:
s' è mortu un Papa, 'n* àutru Papa fannu
e li Rumani sempri 'n festa sunnu;
chist' è 1' ultimu rieguJa di Tanna
ora ea morsi re Carru secunnu.
La canzona è di Acre, e la traggo dalla più volte cìf^^
Raccolta amjjlissima di canti pop, sicil, (cap. LV, nurn. 45*^ >
pag. 659). Ivi stesso (cap. cit. niim. 4806 e segg., pag. 65* ^
segg.) trovasi stampata la presente istoria, ma guasta in v^^J
punti e manchevole. Essa, che fu ed è tuttavia diflfusissio^*'
venne tradotta in italiano e stampata verso la metà del s^^'
XVIII, in un libretto, ch'io ho sottocchio: Istoria della tno^
di Carlo IL (In Palermo: Per Ferrer). Che questa non siacl*^
versione del testo siciliano, si conosce evidentissimo alla prlio*
lettura ; ciascuno può sincerarsene con le tre stanze che J^
gli metto sott'occhio, dove le forme siciliane delle parole e de»
LA MORTI DI RE CARRU SECUNNU. 205
traspariscono subito dalla meschina, disadatta e la-
'C^e italiana:
La morte è quella addolorata e scura,
noi ci tira come calamita,
le tempo non ci dà un quarto d'ora,
Cifae mandata è da Dio, bontà infinita:
■E>iìi ricca della morte non ci fora
3^ essa fusse contenta per moneta:
^t^iamo avvertenti mentre il tempo dura,
olle avemo a trapassare da sta vita.
La morte fece uu Dio glorificato,
io a pensarci interno mi confondo;
Cristo ne ha a riguardar lo peccato
de Tostinazione in questo mondo;
la naorte sta con l'arco preparato,
fermata sopra un perno, e gira intondo,
perchè Teterno Cristo t'ha {aie) mandato
per dare morte al Re Carlo Secondo.
In questo li polzi furono osservate,
ed un sapiente medico studia:
— Non ci è speranza più: che aspettate?
Il Re per altra strada è messo in via. —
Il Re s'abbraccia Dio somma bontate,
dicendo: — Vi raccomando l'alma mia;
moro, Vassalli miei, pazienza abbiate,
vado a fare a mio Padre compagnia. —
{Stanze 2% 3» e 4% pag, 2).
XXXIII.
La Rivulttxioni di Francia.
Li vascelli purtaru mali novi,
chi granai arrivutuni di spaventu * I
Francia mischina si lamenta e doli
cà nèsciri vurria a sarvamentu;
ma su' sfrinati, ohimè I li so' fìgghioli,
hann' arrivata a tali attrivimentu !
lu milli setticentu ottanlanovi
un gran focu sbampò intra un mumentu.
Lu bonu Re lu hannu assassinatu,
com' un sbannutu jiu a la cuUittina;
la sacra cruna cci V hannu sfrigiatu,
puru l^assassinaru a la Rigina.
t ^^rrix)utunij grande rivolta.
LA RIVULUZIONI DI FRANGIA 207
h sagrilègiu nni trema ogni Statu,
"fta tirruri sta carnifìciua;
IDiàvuli s'hannu 'mpusissatu
chidda nobili Francia mischina.
>1l chi tirruri, chi fera rapina,
Tini è lu sangu chi spargerà 'ntornu I
tedunu a lu mali si cci 'nclina,
i Re tutti cumannari vonnu.
'lista è libirtà, chi li ruina ?
irta, senza Re, circari vonnu?
ce' è lu muttu ca chiaru lu grida:
^ntannu tanti gaddi, mai fa ghiornu ».
ria la fidi divina s' ha pirdutu,
a Diàvulu s'hannu aduratu,
i Diàvulu è letu e scuntinutu
sulu la so liggi ha triunfatu.
Iònaci assai e parrini scannati,
sangu curri a ciumi 'ntra li chiesi.
Ira ca sunnu libiri ed uguali,
tutti senza culu e senza regnu *:
culi illustri hannu stinnutu V ali *,
so putenza cci mèttinu 'mpegnu;
riza culu, povero, mancante di tutto.
iuli illustri^ accennasi evidentemente alle potenze coUe-
lanno della Francia^ e in ispecie all' Austria e alla
206 LEGGENDE POPOLARI SIGILLINE
s'hannu a stnidìri st' orribili mali,'
sulu a li Re cci cumpeti lu regnu.
Bella Sicilia, populu di paci,
ti pròspira lu celu e binidici;
Palermu di lu Re amicu viraci,
Palermu dda cita veni filici...
{Palermo).
Annotazioni e Riscontri.
Riporto questi brani (i soli che ho potatQ rinvenire)
Storia di la Bivuluzioni di Francia^che fa popolarissima fin
il 1820 e che costava di trentotto stanze, secondo mi assi(
alcuni vecchi popolani. Con quali ispirazioni nascesse
storia poetica e quali idee svolgesse precipuamente, s
prende a bella prima considerando le condizioni della
sulla fine del passato secolo e principio del nostro, con
boni qui rifugiati, la nimicizia colla Francia e Tiàolamentc
pieto in cui essa era. Questi frammenti son documento di
e di idee che più non tornano, ed è bene che si registrino
che del tutto vadan dispersi : sorte che è toccata ad un
storia popolare suU'lstesso argomento, della quale, che io s
non sorvivono che questi quattro versi della chiusa:
milli setticentu
ottantanovi orrennu,
annata 'mmaliditta
di chiddu Diu trimennn!
Dal tomo XVIII (1793) del Diario palermitano di FbaK'
• LA RIVULUZIONI DI FRANCIA 209
1MA.VUELB marchese di Villabia-nca, conservato ms. nella
le di Palermo (ai segni Qq. D. 110) si può avere co-
sufficiente delle notizie che in Palermo penetravano
dì Francia e de* pensamenti della classe nobile e della
i intorno ad essi.
Uaria di li Oiacubini^ della quale rimane appena ve-
:orse appo il popolo nostro, narrando anch' essa gli ec-
illa rivoluzione francese ; però, da qualche verso super-
rivela di evidente origine letteraria. Eziandio il cele-
kte Meli scrisse un sonetto Cantra li Giacuibini : ed in
oscritto del 1795, che io posseggo, tra le molte poesie
e e italiane ivi accolto, a pag. 19 se ne legge una Con»
iacubini , eh' è però povera assai di pregio artistico e
3N£-Marino. — Leggende pop, aie, 14
XXXIV.
La vulata di Liunardu cu la ballimL
Nun si leggi 'ntra lunària
jiri un ùmu mai 'nta l'aria;
Liunardu sulu ha statu
chi li nèvuli ha tuccatu * ;
la so forza tantu arriva,
Liunardu viva, viva!
Viva, viva la sua virtù,
un omu di terra 'nta V àriu fu I
Cu li setti matinati
scasau tutta la citati *,
i
*Nèvuliy più usitato di nùvuli ne' paesi delTinterno, nu^
* Scasau, vuotò le case (per correre allo spettacolo), sci
LA VULATA DI LIUNARDU CU LU BALLUNI. 211
UTU forti già facia
IsL genti ddà curria:
Ivi scura s'assittaru *,
iff'sdetti si 'nchiapparu ;
chi fé tu ! oh chi ppu ppu * I
^ «a r àriu jiu, 'nta V àriu fu !
^i^f ta la villa Filippina •
l'aggenti cchiii di rina;
V st' appuntu a dudici uri
vulatu lu balluni,
^li' è 'n terra, a chi fu 'n celu,
' ti allura s' attirreru ;
L^ta è arbòlica virtù *,
omu di terra 'nta Tàriu fu !
a batia di San Giulianu *
x:i r avia tantu luntanu,
lu stissu cubbuluni
eìgustaru lu balluni :
^"tin tendi : le donne,
P^, ppu! Voce onomatopeica, con cui si dinota l'espres-
si disgusto per certe porcherie...
*^ Villa dei Padri Filippini, in Palermo, donde il Lunardi
<ioa Tareostato.
*ArbÒliea, add., diabolica.
Il monastero di S. Giuliano, celebre per la sua magnifica
levata cupola (il cvòbuluni nominato due versi sotto] fu de-
to nel 1876, insieme al monastero delle Stimmate, per dar
) al nuovo Teatro Massimo Vittorio Emanuele II, opera co-
le e stupenda deir architetto G. B. F. Basile.
212 LEGGENDE POPOLARI SICILLUIE
la batia di V Olivedda *
s* agustau sta vista bedda ;
di la stissa Vicarìa •
lu baliuni si vidia :
eh' era beilu I e dilhi tu,
'nta 1' àriu jiu, 'nta V àrìu fu !
Lu baliuni va annichennu •
cu li nèvuli discurrennu,
eh' è 'na granni maravigghia,
àutu tanti e tanti migghial
Stu prudìgiu di munnn
pr' in eternu 'un tocca funnu ;
Liunardu lu so nomu
resta sempri di graun' omu:
Liunardu sulu ha statu
ca li nèvuli ha tuccatu,
la so forza tantu arriva,
Liunardu viva, vivai
Viva, viva la sua virtù,
un omu di terra *nta V àriu fu !
(Borgetk
Annotazioni e Riscontri.
Vincenzo Lunare! i da Lucca fu tra' primi a seguire Ve
de* fratelli Montgolfier e percorrere ** Tinviolato impero
* Il convento dei PP. Olivetani, oggi Museo Nazione
* Vicarìa^ o casa di pena pe' delinquenti, era in quel
l'attuale palazzo delle Finanze.
^ * Annichennu, impicciolendo.
u TixiXA m. ursAftoc ce ir mjujxxi. :^11
iì &5eftii à *iidiiappam ;
** ciii felo ! oh chi ppa ppu ' !
^i» ràriu jin, "nla Fàrìn fa !
^ta la Tilla Filippina *
-^' 1" arsenti ochiù di lina ;
2in*t* appunto a dudici uri
^ ^^tjlaln !u balluni,
a c!i^ è "n terra, a chi fu 'n cela,
tulli aUura s' atiirreru ;
chista è arbòlica virtù *,
un oma di terra 'nla V ària fu !
^ batia di San Giulianu ^
non Tavia tantu luntanu,
^ lu stissu cnbbuluni
s' ^staru lu balluni :
* Sottintendi: fe dojuie.
^f^ippm! Voce onomatopeica, con cai si dinota Tespneis-
none di disgasto per certe porcherie^
^ Villa dei Padri Filippini, in Palermo, donde il Lanardi
partì con l'areostato.
*irftò7tca, add., diabolica.
n monastero di S. Giuliano, celebre per la saa magnì<l<'A
^ elevata cupola (il cutòuluni nominato due versi sotto^ fVi d^
ii^olito nel 1876, insieme al monastero delle Stimmate, (h^t d^c
^^ogo al nuovo Teatro Masnmo Vittorio Emamtàe II, opera <\w
'ossale e stupenda dell' architetto G. B. F. Bisiu.
214
LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
e >'
mente, che tutta quella folla di spettatori fu presa da terrore,
e si pentì del desiderio di vederlo ascendere^ e compianse U
sorte di lai. Ma la gioia e gli applausi farono grandissimi ei
unanimi quando dopo duo ore di viaggio acreo, caduto il pal-
lone in mare a un 20 miglia dal porto, il Lnnardi tornava il]
città. A ore 22 dell' istesso giorno fu condotto iu trionfo per U;
vìe il pallone con le sue bandiere e barchetta al suono di tam-j
buri e di canti e grida festose, li Viceré e i Magnati diederoi
larghi premj al coraggioso areonauta , dì oltre 2000 scudi iti
denaro: i Monasteri lo complimentarono di molti dolci e anche fij
danaro. Una Copia di lettera scritta dal sig. Capitano Fti
Lunardi Lucchese ad nn suo amico in Napoli^ con la quale gli
ragguaglio del Viaggio aereo félicemeìUe da esso eseguito in
lermo li 31 luglio 1790 , venne alle stampe allora : porta la di
di Palermo 2 agosto 1790 , e narra i particolari della asc
sione , le impressioni dell* areonauta , la caduta in mare e
ritorno : trovasi originalmente inserita nel Diario Palermi
del Marchese di V^ illabi aito à, che si conserva ms. nella Comi'
naie di Palermo (Anno 1700, Tomo XVI , segn Qq. D. l(ftì
pag. 383 e segg.). Nel quale "Diario trovansi diffusamente ri-i
ferite le notizie riguardanti il Lunardi in Palermo , ed è in-
serito altresì il disegno delT aerostato e un ritratto inciso del
Lunardi. Fu questa la quattordicesima ascensione del Lucch^
se, j)rima per la Sicilia, e rimasta famosissima e celebratissima
presso il popolo , che nomina tuttavia il Lunardi come uomo
maraviglioso e incomparabile.
I canti di lode sorsero da ogni parte, anche in italinno e in
latino ; i popolani han conservato quello eh' io pubblico e che
duolmi non sia intero.
Dopo il 1790, i Palermitani videro rinnovarsi il maraviglioso
avvenimento dell' ascensione con 1' areostato a* 16 di luoflio del
1844, da Antonio Comaschi , il quale partiva dal largo detta
La Vigna del Gallo. Anche al Comaschi tributò la musa del pò-
LA VULATA DI LIUNARDU CU LU BALLUNI. 215
lo le lodi e l' ammirazioDe ia una storia , della quale io ho
rato soltanto i versi seguenti:
Comasca prima all'aria
un pallunettu manna,
facia accbianari e scinniri
la machina, ma smanna.
Lu sul! uni cucia
di testa fin' a pedi,
1' acqua era quasi débita,
dn' grana ogni biccheri.
E cu yiloci furia
▼ola cu lu balluni,
mannannu poi di 1' àriu
snnetti, rosi e ciuri.
L' uggenti festa ficiru,
li manu cci batter u...
. località della Vigna del Qallo, in grazia della salita che
(maschi vi fece col pallone, è oggi conosciuta dal popolo
mitano col nome di Balluni,
XXXV.
La Caristla di la 1813.
Li puvureddi pri li strati strati
comu catàviri su' addivintati,
e cu li guaj di sta mal^ annata
r erva si mancianu appena nata I
Nun ce' è cchiìi òriu, mancu furmentu;
senti jjri V ària sulu un lamentu,
cà cci niscia lu cori e Tarma
sintennu diri : — Vint' unzi a sarma * I —
* Onze venti per ogni salma di frumento, cioè lire 2
ettolitri 2,74 di esso.
LA CARISTIA DI LU 1813. 217
Cu li nuvei, chi si cugghìanu *,
li belli piatta chi si facianu !
cu scorci e radichi si sustintàvanu,
cà pr' 'un muriri li masticàvanu.
Giarni, allampati, pri li stratuna
jianu murennu a munzidduna :
oh celu, oh celu, chi tempi duri!
la manu dàtinni vai, o Signiiri !
'N' annata simuli giammai si 'ntisi,
scarsi di tunnu tutti li misi*I
Doppu lu trìdici cu' è ca veni,
veni a cantàrisi lu Mùsereri ' I
(Partinico),
* ^uvei, i semi della Carrubba.
♦ l?i tunnu^ del tutto.
« Chi sopravviverà all'anno 1813, sopravviverà solo per can-
tarsi il Miserere,
XXXVI.
Jachinu Bluratti.
Di virdi làuri e parmi
cinta la friniti avia *
e di 'ndurati acuii,
bella Sicilia mia.
— sanguinusa spata ',
librami di st' affanmi !
turnau arreri a Napuli
r augustu Firdinannu :
Lu 'ngannaturi caschi in ingannu,
paghi r ofiisi cu lu so sangu ;
. è giusta e cara st' imprisa ccà ! —
* Sottintendi il soggetto, eh' è Murat.
' Parla il Murat.
JACHINU MURATTJ. 219
n timi no la vita
rìsicu mittia,
tti abbannunatu
tti 'un si sapia.
quantu si pò cridiri
uli e cchiù forti
Muratti misiru
aguinusa sorti.
anci Parigi, chianci Taluni,
ribbeddu lu gran Campiuni
illiata Suvranità.
' isula di Corsica
ala stava,
rdita di Napuli
:ti lagrimava.
gala di lu regna
i troppu indignu,
a so testa machina
istu so disignu:
egna di fari comu Bonaparti,
iari a Napuli cu 'ncegnu e arti :
dimura a Timprisa va.
ui varcuzzi debuli
tisori duna.
220 LEGGENDE POPOLARI 81C1UANE
CU pocu sci surdati
si fida a la furtuna.
A li Galàbrii sbarcanu,
spea la so bannera * :
— Viva Muratti ! — gridanu
la genti so guirrera.
Fu canusciutu 'nta lu so 'ngrizzu %
di un Capitanu, mentr'era a Pizzu •;
ognunu: — AH* armi I — gridannu va.
Arricogghi li populi
la 'nfantaria, gridannu,
e tutti Tarmi plgghianu,
centra Muratti vannu.
Iddu cerca di lìijri,
Muratti svinturatu,
ma di li sci lidili
si vitti abbannunatu.
D'aggenti ed armi fu atturniatu,
di la so spata fu sdisarmatu
e priciuneri Muratti va.
* Spifoy dispiega. Sbarcò VS ottobre 1815, con 28 segn»^
^ WVa ìu so 'ngrhsHy a' suoi modi, al portamento.
' Uh Copitanu: il capitano Trentacapilli.
JAGHINU MURATTI. 221
Essennu 'nta li càrzari
presta fu 'ntirrugatu :
— Diti, qual'è la causa
pirchi aviti sbarcatu?
— !- Si smossi 'na tixnpesta,
mi traspurtau, V afflittu !
eu vinni pri circàrimi
acqua, ristoru e vittu. —
Rispunni un Jùdici : — La scusa è 'nvanu ;
vittu 'un si c^rca cu l'armi a manu;
rlbillioni circannu va. —
Scrissi la gran sintenza
lu Jùdici sdignatu :
« Menz' ura di cappella *,
« e doppu ficilatu ».
Senti la trista nova
Muratti e accussi sferica.:
— Un jornu avia di mòriri,
mi lu 'nsignau la guerra I —
Lu cunlissuri sarvallu penza:
— Patri, ca è netta la me' cuscenza : —
e cunfìssari nun si vosi già.
* Una varii-nte: Du' uri di cappella.
222 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Scrissi a la so cunsorti
sta nova duiurusa :
« Ficilatu a momenti
(( saroggiu, amata spusa.
(( Ghiànciu li cari ligghi
« orfani e senza regnu,
(( di tutti abbannunati
(( a ]u nnimicu sdegna.
(( Nun vi scardati lu nnoma mia :
(( nan vinnicati : addiu I addia 1
(( Vinirà an jornu chi mi chiancirà ».
Dumanna : — Pri cu' manca
a fari la me' tragedia ? —
Rispùsiru : — S' aspetta
la benna cu la sedia *.
— Nun vogghiu benna e sedia,
(gridau cu vuci forti),
cci sàcciu jiri 'ntrèpitu
cu Tocchi mei a la morti.
»
Vogghiu 'na grazia eu duiurusa,
lu corpu mortu purtati a la spusa. —
E doppu, 'ntrèpitu a morti va.
* Sedia , poco comune : il popolo dice quasi costantem
sèggia e ciera.
JACHINU MURATTI. 223
nlu a ddu locii fùnibri *
assi lenti e sori •,
anateri prea *
Hill beili 'n cori.
Eu vi darrò lu signii,
ri mei surdati ;
mu alza la* manu,
;u vui sparati. —
>ghia un aneddu, Tabbrazza e strinci
so pettu : la manu spinci...
:i sparami senza pietà.
ii ddu corpu a terra
idda vampa 'strema,
manti assai di sangu *,
u, ed ancora trema.
iza man tu riali
lu catalettu;
tu è 'ntra lu sangu
)acantatu pettu.
ardita frunti tantu prizzata
lenti pallf fu curunata
iza cràniu Muratti è già '.
ariante : Nesci a ddu locu fhnibri,
fermi, sicuri.
prega.
ite : GrunnaiUi assai di sangu.
ilazione fa eseguita il 13 ottobre 1815.
224 LEGGBNDG POPOLARI SICILIANE
Airisula di Corsica
lu corpu so mannara
a la dulenli mogghi;
oh Dia chi chiantu amami
Idda in vidirlu, misira!
forti un gridu jittau;
supra r afflitta frunti
svinata abbannunau '.
— Morti crudili, (chiancennu dicia),
svinasti ad iddu, svinami a mia,
cà a mia la morti vita mi dà.
Grapi ss' ucchiuzzi amabuli,
guarda li figghi uniti,
sugghiuzziannu vàsanu
l'aperti toi fìriti.
Oh Din ! tu 'un arrispunni,
Muratti, miu tisoru;
li to' Uriti 'un parranu,
oh Dia! pirchi nun morii-? —
Di novu, misira! svinisci alUira:
li scrivi cùrrinu cu gran primura:
a sippillirisi Muratti va.
* Variante:
Cci vasàu la frunti^
8upva cci assintumau,
* Variante: O Din! di pena moru.
JAGHINU MUHATTi. 225
Populu di Sicilia,
campa Gustanti e più;
lu vidi li tirribuli
castji chi manna Diu ?
Castja li re putenti,
jetta li regni a funnu:
vulemu nui distrudiri
tuttu lu 'nteru munnu ?
Ama cu fidi, ca t' ama Diu;
pri nostr* amuri *n cruci muriu,
nn' aspetta 'n celu pri 'n' eternità.
(Borgetto).
Annotazioni e Riscontri.
i misera fine del prode e cavalleresco Marat, notissima per
torie a tutti, trovò simpatia presso la musa del popolo di
ia, la quale sciolse questo bellissimo ed affettuoso epicedio,
)ra gradito a ogni classe di popolani e in bocca ai Canta-
te. Io lo aveva già stampato a pag. 293 e segg. della mia
olta di Canti popolari siciliani (num. 749); ma quella lezione
onca nel principio e in varj luoghi men bella,
da avvertire, che le prime cinque strofette di questa poe-
sorrono assai alterate ed in tre o quattro varianti diverse,
prescelto, tra sei lezioni, quella che mi parve più corretta
ù consona a tutto il componimento,
infelice ex-re di Napoli fu condannato inforza della legge
.lomone-Mabino. — Leggende pop, aie, 15
226 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
del Decennio , già da luì dettata sette anni innanzi : a quest
logge , che fu detta arbitraria , si accenna in una canzona p(
polare inedita dì Partinico, che mi piace di far conoscere:
Facitimi giustizia, Gran Curti,
la liggi 'un havi a stari 'ntra li carti,
ca paru paru li Jìidici tutti
la fannu a modu so, comu Muratti.
^^' figghiu, a menzujornu avanti a tutti,
du' baddi 'n frunti e cutiddati sparti * !
A ssu vancu V he vìdiri cunnutti
li *nfami, eh' ammazzar! è la so arti.
L*arrÌ8chiato tentativo di Murat e la sna morte vennero ■
ziandio descritti in certe quartine in endecasìllabi, che zopp
cavano assai (al dire del ricordato Cantastorie Calvaruso), e pei:
furon presto messe da parte e dimenticate.
* Cioè , gli forarono la fronte con due palle e per giunta Io accoltellarooo.
XXXVII.
La Rivuluzioni di la 1820.
Baddi e mitràgghia cchiui nun tinèvanu,
cannili di paràmita pigghiàvanu \
pri fina n bucca lu pezzu jinchèvanu •,
un cilecca pri tappu cci 'ncarcàvanu •;
ed a la cantunera si mittèvanu,
e sparannu, sparannu s' avanzàvanu:
ogni botta, lu populu dicia:
— Viva Palermu e santa Rusulia *! —
* Prendevano lucerne di creta cotta, per servirsene di mitra-
glia. Paràmiti sono certi assicelli di figura piramidale o varia-
mente geometrica, i quali ornati di lucerne di creta si appen-
lono ai muri lungo le vie nelle feste solenni.
« Pezzu^ pezzo d*artiglieria.
' CiUccUy panciotto (spagn. chaleco).
* Fa il primo grido spontaneo di quella rivoluzione, comin-
228 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Quannu un pocu di truppa risuluta
càssaru càssaru scinnia schirata^;
lu Sarvaturi appena fu junchita',
ddocu cci vinni la mala passata:
un picciottu cci fa la benvinuta
cà un cannuni a mitràgghia avia paratu,
cci spara lu cannuni d' a truppeddu •,
di ddi surdati uni liei un munzeddu.
Un monacu di Sant' Anna numinatu *,
omu di gran curaggiu, 'un ce' è Tagliali,
un cannuncinu avennu priparatu,
zittu zittu cci va di lu Spitali ':
darreri lu purtuni s' ha amraucciatu,
quannu coi parsi ad iddìi fa un signali,
cci. duna iocu a lu so cannuncinu
e abbucca li surdati ddà vicinu •.
l'iata appunto mentre si celebrava la festa di Santa Rosala
Patrona, com'è noto, di Palermo. Dopo, il motto d'ordine -
Indipendenza o morte,
* Casa aruyV antico Kasr dei Mussulcbani, strada principale
Palermo, battezzata dal nome del Viceré Toledo al 1567, e ^
quello di re Vittorio Emanuele al 1860: il popolo però la chi
ma tuttodì col nome arabo di ottocent' anni addietro.
' Lu Sarvaturi^ alla chiesa e monastero del Salvatore.
^ D* a truppeddu^ di traverso, di sbieco.
* Il P. Gioacchino Vàglica. Vedi Annotazioni e Riscontri.
^ L'Ospedale Grande, eh' era allora nell'antico palazzo Soli
fani, prospettante il Regio Palazzo, dove stavano le truppe a^
salite. Oggi è il quartier militare detto della SS. Trinità.
^ Abbucca, fredda, uccide.
LA RIVULUZIONI DI LU 1820. 229
Patri Jachinu, chi nni cumannava,
a cavaddu a 'na mula po' curreva,
cu lu trummuni 'n manu cci sparava,
di li surdati nni facia maccherà \
Cu' di la Chiazzittedda stimava',
cu' cci va spara fìnu a li quartera,
sparannu tutti cu 'ncegnu e cu ira
li surdati cadianu comu pira.
Cu' cci stìrria di lu Pipiritu %
cu' cci va spara Gnu a li chianuri *;
lu populu cummatti tuttu uni tu,
cnmmatti cu curaggiu e cu fururi.
La truppa ha vistu lu malu partitu,
la punci la vrigogna e lu timuri;
sparannu scupittati d' ogni locu,
penza vuliri fari saccu e focu.
Napulitani mància-maccarruni
cu lu sangu di nni vonnu 'ngrassari;
lu populu cci 'mpetta cu valuri,
a Palazzu li fìci rinculari:
si vidi tuttu cetu di pirsuni,
l'hannu a lìniri a sti Napulitani I
Maccherà, strage, macco.
Chiazzittedda, la Piazzetta de* Tedeschi.
JPipiritUy il rione del Papireto, al nord del Regio Palazzo
® ^eì quartieri militari.
Li chianuri, le due piazze del Regio Palazzo e dì Santa Te-
resa (oggi della Vittoria e della Indipendenza).
230 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
A tanti aggenti ca vittìru armati,
8i pireru a V intuttu li surdali.
Suprajunceru li vicarioti *
cu carrubbini e scupetti a li manu
a difènniri un grittu di natura •
e strudiri sta truppa traditura.
Gbiddi surdati eh' arriggìanu ancora,
trimannu, a pricipiziu scapparu
di la Porta di Crastu e Porta Nova,
r armi e li robbi a terra li jittaru;
e la cavallaria puru va fora,
di cursa lu fujutn lu pigghiaru:
ddi Mizzagnoli, curaggiusi veri *,
a tutti r hannu fattu priciuneri.
Palermu ce' è gran festa a tutti parti,
su' tutti supra l' armi e ben risorti *;
hannu vinciutu cu vai uri e arti,
e giustu vonnu indipendenza o morti.
Di tutta la Sicilia;^ d' ogni parti
su' cu Palermu e di cori arrisorti,
* Vicarioti, gli evasi dalie prigioni, le quali in Pule
come a Napoli, son dette Vicarìa.
* Grittu, diritto.
* Mizzagnoti, abitanti del Mezzagno o Belmonte.
* Risorti, e sotto: nrrinorCi] risoluti, determinati.
LA KIVULUZIONI DI LV 1820. 231
su' tutti uniti li Siciliani
cà cchiù nun vonnu a sti Napulitani.
(Palermo).
Annotazioni e Riscontri.
orno alla rivoluzione siciliana del 1820, ch'ebbe efimera
non occorre spendere molte parole, essendo ben nota alle
: chi ne desiderasse i minuti particolari, potrebbe cercarli
Storia della rivoluzione di Sicilia nel 1820^ opera postuma
COLÒ Palmeri , con note critiche di Michele AMàBi (Paler-
848) , o meglio ancora nella Cronica degli avvenimenti di
no in Luglio, Agosto^ Settembre^ ed Ottóbre 1820^ scritta da
iacomo Danè Orologiaio della Corte e della Specola, nel mo'
in cui gli avvenimenti andavano succedendo Vuno alValtro; 0,
e, negli Avvenimenti verificati e raccolti da un Patriotto Pa*
ano (Giuseppe Lo Bianco di anni 36), incominciando dal d\
]lio 1820 sino a Dicembre 1834; lavori, tuttiedue, che ma-
itti si conservano nella Comunale di Palermo , ai segni
F. 162.
disfatta delle truppe borboniche in Palermo accadde a* 17
glio. L'eroe popolare della giornata fu il padre Gioacchino
ca , monaco del Terz' Ordine del convento di Sant'Anna,
o di Monreale. Il popolo lo acclamò Generale, gli compli-
!) il camallo e la spada del vinto Generale Pastore, lo volle
' vestito alla borghese e con spada al fianco. La Giunta
isoria, col consenso di tutt' i Consoli delle Maestranze,
tò il grado di Colonnello della nuova Truppa Nazionale
iglica e di Ajutante del Comandante Generale Requisenz,
ad una medaglia d'oro, con Santa Rosalia e l'aquila paler-
i
232
LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
mitana da una parte, e dalPaltra lo scrìtto: H 17 Ivglio 1820 m»-
morando per la vittoria. — Sedata la rivolta e tornati i borbo-
nici col generale Pepe, il P. Vàglica fu mandato in KapoU ed
imprigionato nella fortezza di Gaeta entro un convento, col
giornaliero assegno di tari tre {Lire i, 27),
La vergognosa e rapida sconfitta delle truppe destò gran-
de ira ne* petti de' Napolitani e rinfocolò gli odj antichi e mal
repressi contro i Siciliani, che per parte loro non la cedevano
in nulla agli abitanti del Sebeto, come n* è prova la poesia che
di sopra ho stampata.
Appena la notizia passò il Faro, le ingiurie , le minacce, i
sentimenti di vendetta de* Napolitani si scatenarono furioss-
mente. Io possiedo una stampa napoletana assai rara di qael
tempo, la quale è uno sfogo poetico de* più fieri. Tjh riproduco
qui integralmente, come documento storico, ora che ogni odio
s'è spento nel bacio fraterno dell'unità e della libertà italiana.
CURAGGIO,
E CONSIGLIO
A LI PATRI 0TB
NAPOLITANB
Vi ca bìi bà co e chiacchiere
Nuj fare nn bolimmo,
Besogna, che curriramo
Quante cchih simmo mò.
Cu stu Palermo 'nfame,
Sti Scassa-catenazze,
A uno a uno li mazze
L'avimmo da sguarrà.
Omnes Insuli vialiy
Siculi aviem pessimi.
LA RIVULUZIONI DI LI) 1820. 233
Birbante tradetare,
Cori mmecediarie,
Sti gaappe sangueiiarie
Voliuimo stermcnà.
Chist'è lu vero tiempo
De fa vede chi siniino.
Sì nò la nomme primmo
Tornamm' ad acquista,
Ca sinime cliiaccliiarune
Nu nsimmo maje aunite,
Lle cose pruseguite
Nu Ile sapimmo fa.
Sicilia scellarata,
Te cride sempre ncoppa,
Nu nsaje ca cck la stoppa
Funa s* è fatta ^\h.
La forza nosta è grossa,
Tenimino gente assaje,
Nu cuofeno de guaje
T' aviinm' a fa prova.
IjO vespero de Giovanne
De Proceta, aje tentato,
Ma Pranza n' aje trovato
Che nu nne parlaje cchih.
IJuje te venimmo ncuoUo,
Vennetta niije volimmo,
Lu sanghe nuosto avimmo
Da sudisfà, accussi.
Quatto cinc^ ann' arreto
Sti latre mariuole
Nne vennero li stuoie
Apposta p' arrubbà.
De juorno, notte, e sera
Ncampagne, e pè lle strate
LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Ta jere sequìstate,
T'avive fa fremmà.
Lle case, e li CasÌDe
Sentive tu scassate,
La gente arrojenate
Era pe chissi ccà.
La Pulizia, è o vero,
Cchiù d'uno nne pigliaje.
Ma pò le scarcera] e
La Corte, li fece asci;
Perchè sti malandrine
Protezione avevano,
Ed arrobbà potevano
Senza difficultà.
Nu nboglio di chi erano
Sti prutettare nfame.
Chi legge stu pruclame
Se Ile ppò mmacenù.
Vasta, passammo nnanze.
Seceliane sciuocche,
Lle fiche ncopp* ali* nocchie
Nuje ve volimmo fìi.
Figliale mieje, sentiteme,
Ve voglio di na cosa,
Ca vuje comni' a na rosa
L' avite d' azzettà.
Li Tre Palormetane
Che dìnt* a Giunta stanno
Stavano sceraiunno
L' aggrisso pè bedè.
Vi cà lu juramiento
Nijajeno de posta,
È chiaro signo apposta
De nganno, e fauzetà*
LA RIVULUZIONI DI LV 1820. 235
Nu nserve, che smorfejano
De mò j arare, e elicere
Ca 8Ò birbante, e sdicere,
Cercano arreparà.
Ma nuje V amm* à capè
Ca so briccune assaje,
W ogDa de fede majé
L' avimme da dà cchìii.
Bebogna aprire V nocchie,
Nu nfare tant' e granne.
Si nò de mane ncaone
Ne' avimmo d' afferra.
La radica nuje avimmo
Mò proprio da scippare,
E Medici processare
Senz' aspettare chiù.
Stù celebre birbante
Fa tavole e tavolella,
E pò cu na resella
Nce piglia à cogliona.
Noe dice into mustaccio
Cu facce pepernina:
„ Setta carbonarina
„ Non puoi far male a me.
„ Non tingemi, non scott^a,
„ Forte son Io qual Toro,
„ Acquetta fredda, e Oro,
„ Questo ci vuol per me. „
Chesto che ben a ddì ?
Lo volimmo chiava dinto
Lu juorno niro e tinto
Quannu lu vò prova?
Vi ca chiù d'uno suspeca
Ca isso stea ntricate
LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Cu truppe e cu Bardate
Sett' otto jaorne fa.
E ca Palerme ancora
Ne' ave d'ave la parte,
Talente n' ave, e arte
De farne cchiìi purzì.
Pecche la Giunta nosta
K' appraca a Nazione,
Facenno de sta briccone
L'accusa accommenzà?
Pece' ò na vera vernia
Vederelo gal Mare,
Cbisto che suscperare
Ne' ha fatto iifiuo a ininò.
Si DÒ li mariuole
Pigliano o soprabiente
E, diceno n' è niente,
Potimmo pazzia.
Ca quann' avimmo piatta
Subbeto e' accungiammo,
Denar' aminullecaramo
E nu nse ne parla chiù.
Mmalora niije sapimmo
Cheli e' ha fatto chi sto,
E chi s' e bisto vieto
Afforza avimm' a fa.?
Scetammoce, fìgliule,
Nugent se V ha fumata,
Ammeno na mantiata
Facimtno a chisto ccà.
Ne' avarrà gusto o Prencipe,
Stu Rrè nu 1' ave a mmale,
La giunta tale e quale
Piire nce godarrà.
LA RIVULUZIONI DI LU 1820. 237
Lu tiempo se nne fuje,
Ditt' aggio quant* avasta,
Chi mmaue ten* a pasta
La riesto potè fa.
Gaè guè, na ne' alloechìammo
Cu chiacchiere e canzone,
Ca naje la Nazione
Avimma' à mmortalà.
Lu Patriota pè Sentemiento R. C.
A' Napole lu 21 de Luglio 1820.
xxxvm.
La Tirrimotu di la 1823.
Cincu di marzu eranu,
(sintiti chi spaventa I)
li vintitri si cuntanu
cu milli ed ottucentu:
jurnata fu di mercuri,
vintitri uri e manza,
ca Diu fìci canusciri
la granni so putenza.
Un gridu ce' è 'ntra V àriu,
lu celu s' annigghiau,
r aceddi sbulazzìanu *,
lu cani rucculau.
* *Sbulaazìanu^ svolazzano.
LV TIRRIMOTU DI LU 18^. 239
Gesù 1 misiricordia 1
La terra trema tutta,
s'affunna, si subbissa
comn 'na varca rutta:
li mura annaculianu,
cadinu cu ruina:
è Turtimu stirminiu,
l'urtima siritina.
capitali magna,
Palermu sfurtunatu,
cu' ti pò cchiù canùsciri
accussi sdisulatu?
A Sant* Annuzza amabuli ^
gran cosa succidiu,
si spaccaru li fràbbichi,
la cùbbula cadiu :
ce' era du' zitidduzzi
spusati dda matina,
chi vinnevanu aranci
'nta dda chiazzetta fina;
* La chiesa di Saat* Anna. Più sotto son ricordati i guasti
àie ebiese di S. Nicolò Tolentino , di Santa Maria Visita-po-
xii degli Agonizzanti, di San Francesco d' Assisi, di San Do-
enìcOf de' Hercedarj del Molo, di Sant'Antonio, del Salyatore,
Casa Professa de' Gesuiti, di S. Giovanni de' Gerosolimitani,
Ila parrocchia della Kalsa.
ì
340 LEGGBNDfi POPOLABI SiCiLIANE
cadi hi curniciuiù,
fu cosa di stupiri...
Santu Nicola ciacca,
fa tuttu un muvimentu,
si lassa lu dammusu,
sfunna lu pavimeutu;
lu pavimentu sfunna
dintra la sipurtura,
un omu cu 'na iìmmina
ddà subbissaru allura.
Sulu, a Visita-pòviri,
sunau lu campanaru,
fora di lu so locu
cchiù arrassu poi rasciaru.
Gelu I quali slirminiu
si vidi a tutti canti!
su' 'n terra a pricipiziu
chiesi e palazzi tanti I
Di versu 'un si pò diri *
lu dannu chi accadiu;
la gran cunfusioni
la menti m' attirriu.
' *Di verau, con ordine, con maniera.
LV TIRUIMOTU DI LU 1823. 241
Attirrutu lii populu
chianceunu strati strati,
grida niisiricordia,
dumanna piatati ;
tutti, li casi lassanu
e duiini jiri 'un sannu ;
patri cu matri chiàncinu
li Ugghi so' circannu.
Lu dannu 'un si pò esprimiri
di li sagrati chiesi:
lu granni Diu tirrlbuli
st' avvirtimenti desi * I
Guarda Visita-poviri 1
guarda l'Agunizzanti I
lu bellu San Franciscu
sminnatu a tutti canti!
Sgradìgghia a San Duminicu •
chidda forti facciata,
la chiesa di lu Molu
ò tutta sdisulata.
Cu' vidi a Sant^ Antoniu,
Sant* Anna e lu Salvaturi,
nun ce' è cchiù forti angustia,
cchiù spasimi e duluri.
«, diede.
radìgghia^ sbonsola, crepa.
mohi-Marivo. — Leggende pop. sic, 1 G
242 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Rutta Casa Prufessa,
San Giuvannuzzu ancora,
la parrocchia a la Gàusa
comu si fussi fora *.
La vita assa' cci persiru,
oh quantu struppiati !
donni, articiani e nobili
(li fràbbichi scacciati!
No, nun cci nn'è mimoria
d' un tirrimotu tali,
'na simuli tragedia
nun si cci trova aguali.
Senti sta vuoi, populu 1
Facemu pinitenza;
lu summu Diu sdignatu
chi fragelli dispenza !
E sempri lu dirroggiu:
tutti a facci abbuccuni
gridamn : — Misiricordia !
piata di nui, Signuri ! —
{Borget
* Gàusa, Kalsa. Una variante di questi due versi :
ce* è *n terra nienza Gàusay
tanti famigghi fora.
LV TIBRMfOTU DI LU 1823. 243
Annolazioni e Riscontri.
Intorno al terremoto, che funestò Palermo nel 1823 e ehe è
tuttavia ricordato con terrore nella città e neir ìsola, riporto
on brandello della cronaca manoscritta di Giuseppe Lo Bianco,
la quale ho innanzi citata. Ivi, af. 317 t.^ si legge : ** A 5 marzo
■ 1823, Giorno funestissimo per il Terremuoto. Alle ore 23. 20.
* Un arco {sic) surfureo, che diede una grande scossa di Tremuo-
*^ to, che durò 22 minuti secondi, oscillando e saltando: non si
** può colla penna spiegare il terrore da per tutto, e la stragge
** insieme, a vedere i Palazzi e le strade ad unirsi e ritornare ai
** loro posti per ben diverse volte in un atomo, osservando da
** diverse parti cader delle fabbriche, e particolarmente nel quar-
** tiero della Kalsa. 11 popolo sbigottito non sapeva che cosa ope-
" rare, correndo di qua e di là per giungere prestamente alle loro
•• famiglie, credendole ferite dalle rovine delle fabbriche „ ecc.
Qaesto periodo, scritto sotto V impressione del momento del
disastro, rivela abbastanza il disturbo della mente del cronista,
ehe atterrito perde la bussola. Egli segue poi ad enumerare
gì' immensi danni della città (indi valutati ad un milione d' onze
e più) e i nomi delle vittime oppresse dalle macerie (42 tra morti
e feriti). Chi desidera maggiori particolari può ricorrere ad es-
so Lo Bianco, o meglio alla Belazione del tremuoto aceadìUo
nel 1823 (Palermo, tip. Abbate, 1823) ed alle Gazzette del tem-
po. Nelle nostre chiese si commemora ancora V anniversario del
5 di marzo 1823, ad ore 23, 30', con un solenne ringraziamento
a Dio : il popolo tutto, udendo lo scampanio di tutte le chiese,
impaurito dalla ricordanza, cade in ginocchio e bacia il suolo.
Altra storia in ottave narra il luttuoso avvenimento e la
desolazione della città: io n'ho solo potuto raccogliere in Pa-
lermo questi frammenti:
A li cincu di marzu feru jornu
co 'na ira di Diu alta e supernu
244 LEGGENDE POPOI.AIU SICILIANE
'a teinpu un mumentu vìttimu a ddu jornu
morti, giudiziii, paradisa e 'ofernu.
La 'nfernu era aperta 'ntra cliidd' ura,
lu paradisa eh' era aperta ancora * j
trimavana li morti in separtura,
chistu è lu signu di nèsciri fora * :
si 'un era pri Maria, nostra signara,
tutti fòramu morti air ura d' ora.
All'ara d'ora s'abbissau lu munnu,
Nostru 8 inauri nni java chiamanna;
vidi li porti chiusi e dissi: — Tornu ^ ,
chista è me' Matri chi lì va firmannu.
Calassi lu cchiii Angilu aliunnu * y
prestu chi ghissi a me' Matri chiamannu. —
Maria rispasi cu cori giucunnu:
— SU ccà: chi occurri ? 'Un mi jiri circannu.... —
La rappresentazione del Cristo sdegnato pei peccati degli
uomini, ai quali manda un terribile flagello, e di Maria che con
preghiere ed autorità di madre contrasta al suo volere e Lo
placa, ritorna sovente nelle storie popolari siciliane che riguar-
dano terremoti, alluvioni , epidemie, disastri pubblici d'ogni
fatta. Mi basta citare VAlIuviorie di Palermo del Ì666 , la Terrt-
Ijesta d'Alcamo del 1630, il Terremoto di Sicilia del 1693, il Clio-
hra di Sicilia del 1837 ec. presso il Pitrè, BibL cit., voi. II. num.
920-923, a pag. 160 e segg. Insieme a Maria , intercedono so-
vente presso Dio i Sontì Patroni delle varie città.
4 Aperti per accogliere le anime, e di tristi e di baoni.
^ È il segno che l'ora del giudicio è arrirata.
3 Tornu; tornerò ad aprirle (le porte del cielo e dell'inferno).
* *Aliunnu, add., aligero; *Cchiù aliunriu, miglior relatore.
V
XXXIX.
Testalonga.
Diu summu di gròlia,
patri binignu e umanii,
dàtinni lumi e menti
qnantu min sbariamu K
La vita di stratàriu
è vampa di linazza;
la mola strudi subitu
a li mali ilrrazza.
Di Ninu Testalonga
la storia vi la cantu ;
In 'mparu chi nni duna '
st' omu famusu tantu I
*8bariamu^ deviamo, andiamo per mala vìa.
*' Mparu *imparu, s. m., apprendimento, insegnamento.
246 LEGuENDG POPOLARI SICILIANR
Lu Niuii Testalonga,
Di Brasi vattiatu,
'atra tutti li sbaniuiti
lu prinin aanintuvatu,
lu primu di valintizza,
di 'ncegnu e di mastria,
bilichi vujaru mlsaru
'ntra una massaria :
Sata-li-viti ardi tu *
sulu cci pò aggualari,
pussenti e machinusu,
prima era manuali.
Lu Ninu Testalonga
pr' un voi si pirdiu *;
tri anni a la galera
*n Girgenti la chianciu.
Rimisu ha riturnatn,
facia III lignamaru ;
a mala via lu misiru
Guam àccia cu Rumanu.
Cci dici lu Guaruàccia :
— Ninu, uni vò' ajutari*?
Cci voli lu tò vrazzu
pri putirni sbinciari. —
* 11 famoso bandito mazzarese Antonino Catinella
minato Salta-Ie-viti, di cui vedi la leggenda e le notii
che a pag. 115 e seg. delle cit. mie Sforie pop. in poes
* Rubò un bue a' suoi padroni.
i
TESTALONGA. 247
Lu Nìnu stetti mutu,
d'aliura 'un dissi nenti,
cà penza a so mugghieri,
li figghi e li parenti:
ma po' si vitti poviru,
djinnu e dispiratu,
dici : — Forsi è distinu !
Jamu, sii priparatu. —
Ninu si liei vinciri,
li tri ficiru Ija;
chissu fu lu principiu
di chidda strata ria.
Fattu chiddu micldiu,
pigghiaru li purteddi * ;
scupetti cu vintreri,
pistoli cu cuteddi.
Di Testalonga provanu
lu 'ncegnu e putisti;
sei sbannuti cci currinu,
dicinu : — Semu ccà ! —
Dicinu : — Gapitàniu
a Ninu lu facemu,
di tutta la Sicilia
nui li patruna semu. —
rteddi^ o Passi, sono i valichi tra' monti, ove il ladro
nere la posta e rubare.
248 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Su', la cuUega, dudici \
lu capu Testalonga;
ce' è Stefanu Schisò
chi sunava la brogna '.
Guarnàccia cu Rumauu
fannu di capurali,
cci sunnu Tàutr'ottu
abbilitusi e bravi.
Gran jimenti cavàrcanu,
li mègghiu chi cruvaru,
jeru d'un Vallu a 'n'àutru •,
terri e cita trimaru.
Cci mannava lu tèrmi nu *
a Principi e Baruna:
— Cent' unzi mi bisogoanu
dumani giustu a st' ura ! —
E li Baruna e Principi
cci pigghia un trimulizzu,
cchiù di cent' unzi mànnanu
pri lìn' a lu so 'ngrizzu *.
' *OmZ%o, o * Culli fj anza ^ società, riunioDe di colleghì:
linguaggio malandrinesco vale riunione di ladri o di bandS
* Brogna , buccina : la banda del Testalonga se ne serw
come di tromba.
^ È noto che la Sicilia dividevusi allora nei tre Valli di ì3
zara, di Dèmini e di Noto.
^ *Thrminu, s. m., termine. Sottintendi qui il soggetto, <?^
Testalonga.
'-^ '^^Ngrizzuy e, m., ricovero, nascondiglio.
TBSTALONOA. 249
Lu Capitan Pristana
'mmeri a lu Mazzarinu
cci duna a la siquela
sparannu di cuntinu ;
ma Testalonga ardita
tira gran scupi t tati ;
scappa lu Capitàniu,
scàppanu li surdati.
Uniti suprajùncinu
chiddi valenti Ullotti,
contra di li stratàrii
sparannu feri botti.
Chiddi allura la dèttiru
currennu a nun pò cchiù,
rUUotti Tassicùtanu
se' migghia e forsi cchiù.
Doppu tantu cummàttiri,
ad unu nni pigghiaru ;
Ninu e la culliganza
tutti la scapularu.
A passu po' si misiru
puliti e priparati :
cinquanta vurdunara
juncìanu spinzirati :
— A terra I a terra ! — gridanu:
scinneru tutti quanti ;
rhannu spugghiatu a tutti
cu bastunati tanti.
250 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Gran massa di furmentu
e grana chi pigghiaru I
li dèttiru a li poviri,
nenti si nni lassaru.
Lu Ninu Testalonga
a ddi poviri dicia :
— Eu levu a chiddi ricchi,
ch'hannu la barunia;
a vui, ca siti poviri,
campati *iitra lu stentu,
manciati, stati allèghiri,
vi fazzu cumprimentu I —
Vidennu chiddi poviri
chist' attu miritòriu :
— Li Santi V ajutassiru !
TArmi di Prjatòriu ! —
Assa' divo tu nn* era
Ninu di r Armi Santi,
dicènnucci rusarii
e di prjeri tanti;
di ccliiù facia limosini
e missi cilibrari,
TArmi di Prjatòriu
pinzannu arrifriscari.
Doppu, aniti si partinu,
aggrizzanu a Rivela \
* Aggrizzanu^ s'indirizzano. Rivela^ Ribera.
TESTALONGA. 251
pri fari *na prisa magna
'nta chidda ricca fera.
Siatiti chi cumminanu
sti granili caparruna \
cu 'n'àutr'ottu si jùnciuu
veri mariuluna :
a li Tiranti spògghianu *
di tutti li dinari,
spirerà com' un fùrmini,
comu tanti magari.
Lu Capitan Pristana
cci curri a la siquela;
li vidi e po' cci spriscinu,
ì)erdi pacènzia e lena.
Lu Testalonga arditu
fa via pri Cianciana,
a lu Bar uni afTèrracci
tri soi guardiana :
r oricchi cci ha tagghiatu,
pri sfrégi u lu facia :
— Dicitilu a lu Baruni I
(lu Ninu cci dia).
Caparrunaj furfanti, bricconi.
Firanii, mercanti di fiera, ferojaoli.
252 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Tinissi a la mimoria
stu primu awirtimentu I —
Po' li jimenti pìiDcinu,
spriscinu com' un ventu.
Canieattini passami,
tòccanu a Caninia,
la terza notti appuntu
vennu a la fiagaria.
Tuppia a dda Casina
cu granni viulenza ;
spja: — D' unn' è lu Principi? —
cà 'ncattivarlu ponza.
— Signuri Teslalonga,
'n Palermu ajeri annau.
— Tu facci la 'mmasciata:
Ninu di ccà passau;
dicci ca Ninu aspetta,
quattrucent' unzi voli,
Ninu di la Sicilia
si nni vor iri fori :
e si li grana 'un sònanu
di comu li pritennu,
vaju a truvallu iu
'nta lu stissu Palermu. —
Palermu s^ attirriu ;
dici : — Havi tantu ardiri ?
Finn a la Capitali
voli fari ruini? —
TESTALONGA. 253
Trema tuttu lu Regnu
di sta genti rapina \
ogni du' jorna sentimi
'na nova 'rrubbatina*
Si scoti la Giustizia,
a lu rimèddiu penza,
un bannu furminanti
pubblica So Eccellenza * :
<( Setticent' uuzi in preniiu,
<( tri grazii ricivi,
<( cui 'n manu a la Giustizia
« li duna o morti o vivi ».
Cu tanta forza d* omini
e gran cavallaria
si parti lu Vicàriu
Principi di Trabia • :
a Mussumeli aiTivanu
ru Jùdici e scrivani,
r ddà la furca spincinu,
j;ran cosi vonnu fari.
* ^ Rapina^ add., ladra.
* 8ò Eccellensa, così era chiamato per antonomasia il Viceré.
3 Giaseppe Lanza e Lanza, Principe della Trabia, fa creato,
1 novembre 1766, Vicario generale viccregio con amplissima
testa e col vices^'et voces noslraa per la estirpazione e cattura
i banditi Testalonga e compagni.
254 LeGGENDE POPOLAMI SICILIANE
Lu Testalonga subitu
dissi : — Lu tempu è juntu 1 —
i)enza di jiri fora
pri uun patiri assuiitu.
Ma chiddu scartu Principi
previtti la pinzata,
urdinau tanti guàrdii,
marina ben guardata.
Dici In Testalonga :
— Rumanu, chi pinzami] ?
— A lu voscu di Traina
mègghiu ca nn' ammucciamu. —
Rumanu e Testalonga
suliddi si 'mbuscaru,
d' 'un si tradiri mai
lìdilittà giuraru.
La truppa di lu Principi
li vinniru a scuvari:
cu sten tu e pricipiziu
cci pòttiru scappari,
lassannu, cu la fùria,
robbi e munizioni;
e franca si la lìciru
pri li jimenti boni.
Castrugiuvanni arrivanu
vicinu di ddu lau,
'nta chiddi grutti funni
la sorti li purtau.
TESTAI^NGA. 255
Rumanu e Testalonga ^
si cridinu 'n sicuru ;
ma doppu li du' anni
lu piru era maturu.
Capitan d'armi currinu,
munteri e 'nfantaria ^,
di grutta in gnitta gridanu :
— Rènniti, o peju a tia !
Testalonga, rènniti,
la risistenza è 'nvanu I —
Ddocu, cu granni fùria
nesci Ninu Rumanu :
— L' omini nun si rènninii
qnannu lu vrazzu è armatu ' ! —
'Na scupittata mina
e abbucca ddà un surdatu.
* Muntevi^ birri.
' Anche il famoso bandito corso Teodoro Poli , assalito in
la capanna dai gendarmi ,' rispondeva all'intimazione della
sa (Tommaseo , Canti popolari corsia pag. 25):
Teodoro non s' arresta !
Voglio con V armi alla mano
liberarmi, o qai morire !
Né altrimenti risposero i Fra Diavoli, di cui vedi più innanzi
storia, al niim. XLII.
256 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Lu Testalonga 'nsèmmula
sparaimu lu trummiuii,
sàta fora la grutta,
spara di vai in tu ni.
A 'na turretta currinu
ca era ddà vicinu ;
di li finestri tiranu
gran botti di cuntina.
La truppa cchiù s trincia,
{junnu 'na quantitati,
supra la turri chiòvinu
baddi senza piatati.
Dici lu Testalonga
a lu lldu Rumanu :
coi dici : — Ora sàrvati,
sàrvati tu, Rumanu :
facci *n' accurtu signu *
ca cci vó' dari a mia;
tu duni la me' vita,
dìinanu grazia a tia.
— No I (cci gridau) : Rumanu
nun fa stu tradimentu ;
prima Rumanu mòriri,
e Ninu a sarvamentu.— ^
* *>tccTfr/M, occulto.
TESTALONGA. 257
Lu Testalonga misaru
chiancennu si V abbrazza :
— Lu cchiù sparari è 'nnùtuli,
mi accàscanu li vrazza!
Nun sii micidiàriu ^;
sti poviri surdati
su' genti di cumannu ',
tiannu fìgghioli e matri !
lu li me' figghi chiànciu !
zlumanu, jettu V armi !... —
affaccia a li finestra,
ridi \\ Capitan d' armi :
— Capitan Pristana,
li foca nui cissamu,
■\ mani toi si dùuanu,
ffestalonga e Rumanu. —
E ddocu r hannu prisu,
irci fu 'na festa granai,
Leti spararu all'aria
lishiddi surdati l'armi.
Davanti di la Principi
Li Massumeli jeru,
Jdìx chiddi accorti Jùdici
sùbbitu li subberà \
ìcidiàriu, add., di tendenze ed inclinazioni omicide.
C7iti di cumannu^ gente clie fa (per vivere) il volere altrui.
suhberu, li messero alla tortura.
hose-Ma.riko. — Leggende iwp. sic. 17
258 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
La furca è misa all'ordini,
li boja pronti su' ;
dici lu Ninu : — Eu vògghiu
tri gràzii, e nenti cchiù :
li lìgghi mei Orfani
vi raccumannu tantu ;
a mia cunciditimi
li sarcìzzii santi,
si Din mi fa la grazia
di li piccati mei ;
lu primu a mia atfurcàtimi
di li cumpagni mei. —
'N Palermu cu triunfu
la testa so purtaru
parata d' ervi e pàmpini,
guarda triunfu amaru !
E doppu po' la mànnanu
a la Petrapizzia,
supra di chiddi càrciari
cà ognuni! la vidia.
Ora pigghiati esempiu,
populi e genti tutti :
viditi a li stratàrii
com'è ca sunnu strutti?
Oh vita priziusa
d' unistitati e paci !
lu pani travaggiatu
quantu prufìtta e piaci !
re-
h'-i-^
TE8TAL0NGA. 259
Lu Ninu Testalonga
tantu valenti e linu
pinniu di li tri Ugna
pri trista marranchinu :
si nn' ha pintutu all' urtimu,
com' un giustu muriu :
ma a chi cci potti sèrviri?
sulu placari a Dia.
Putenti la Giustizia
arriva a tutti banni :
mialu cu' pò gòdiri
cu paci onesta V anni I
(Bagheria),
Annolazioni e Riscontri.
intonino Di Blasi da Pietraperzia, soprannominato Testa-
ja (il soprannome, si sa , è come il nuovo battesimo del
idito), ha lasciato un nome famoso tra' banditi siciliani. Uo-
> di grande ardire e sagacia, ambiva a farsi temuto e auto-
roìe con gli audaci e generosi atti, piìi che odioso per vol-
ri delitti. Die^ salvocondotti colla rispettata sua firma, arrolò
mpagni, cui forui armi, cavallo e paga; taglieggiò e rubò i
àìiy e la preda partiva a' suoi ed a* poveri massimamente ,
r sé quasi nulla trattenendo; rifuggiva dal sangue (la sua
aadra non commise che un omicidio, e contro la volontà di
] e solo si contentò di mozzare ad alcuni le orecchie ed il naso;
àtava il rosario la sera, con i suoi ; fu generoso eziandio con
bili che, taglieggiati da lui, non ebbero paura di darsi spon-
leamente in sue mani e gli usarono splendida generosità. La
;^60 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
aua compagnia, nel settembre 17B(>, avea raggiunto il naa
di 22 banditi, e divisa in due colonne scorrazzava tutta V l
Fu preso col fedele Antonino Romano, a* 18 febbraro 17^
una delle grotte presso il Iago di Castrogiovanni ; ed enl
bi salirono la forca in Mussoraeli il 7 di marzo. " Furono
** con le barbe (scrive il Villabianca), morti di fame, pr
** robe e con grani due [cent, 4) in saccoccia. E notisi
** Testalonga^ incamminato per la strada di Mussomeli,
** ghirlandato di erbe; in mezzo all'erbe vi sì posero d
" poli nastri di varii colori e carte d'oro; cose tutte, ci
" notavan la festa, che per la di lui presa sentivano tu
*• abitanti del Regno. La sua testa , subito che fu cond(
** Palermo , avea una berretta di panno rosso ingallon
•* sopra la ghirlanda, con lo scartafaccio di sotto. Un ]
** di Palermo andò a Mussomeli e fece il ritratto a TesU
• col quale si procacciò buoni denari dai curiosi. La sua
" fu indi posta nelle pareti delle carceri di Pietraperzia
Le nostre storie non tacciono del Testalonga; ma chi d(
i particolari dei suoi due anni di vita alla macchia, del!
gloria contaminata, delle sue imprese audaci, de' suoi p
e [>at,imenti, può appagarsene nella Rilazioni di la Vita,
fui(jna e Morti di Antiminu Di Tirasi^ alias Testalonga, (
j:u(/ni: Cumposta in terza rima siciliana di Japicu Urzì ci
Cat filila, Bisagni, 1767, di p. 45), e nel Viario Palermit<
i'uAN'c. Maria Emanuele March, di Villabianca, a p. 272,
'299 e segg. del voi. XVI II della Biblioteca storica e leti
di Sicilia, per cura di G. Di Marzo (Palermo, L. Pedone,
Antonino Romano e Giovanni Guarnkccia erano pure
di Pietraperzia : il Guarnkccia fu preso in Regalnauto e co
a 24 ottobre 1776 in Palermo, ove fu impiccato a' 10 nov
Una commedia popolare, dal titolo Testaloiiga e Ouar
Al recitata in Palermo poco dopo la cattura e morte ài
Uri banditi.
XL.
fflommu Brunu.
Di chidd'ura chi nascivi ^
sempri fui sfurtunatu;
pocu misi nutricata
e poi latti 'un nn'happi cchiù.
Poi mi morsi a mia la mamma
e di casa mi livani;
mi 'nsìgnaru burdunaru ',
lu me* 'mpiegu chissu fu.
Picciriddu di cine' anni
mi jittai supra li muli,
acqua, ventu, nivi e suli
e strapazzi in quantità.
* Parla il Brano.
' Burdunaru^ mulattiere, dal latino dei bassi terni>i hurdo.
262 LEGGCNDE POPOLARI SICILIANE
Giuvinottu mi spusai
e li flgghi jianu avanzannu;
me' mugghieri ad imu V annu
li faceva in virità.
Poi mi morsi la campagna,
mi lassai! setti iigghioli
comu setti lupacchioli * ;
nun m' avia nuddu piata.
Quannu eu mi vitti abbintu,
m' haju datu a la campagna:
fu la mia mala campagna *
chi mi dlssiru : — Unni si va ? —
Eu cci dissi : — Su' fujutu
di paisi e di cita.
— Quannu tu cu nni vò' vèniri,
t' ha privari di libirtà. —
M'hannu datu 'na scupetta,
baddi, prùvuli e lupari;
'ntra parari e 'ntra sparari
eu faceva cchiìi di cchiii *.
Li sbannuti mei cumpagni
quannu a mia vittiru tali
m* avanzaru capurali
di la chiurma eh' era ddà :
* Lupacchioli, lupacchiotti.
' '•^Cumpagna^ compagnia: vedi a pag. 35.
3 Cioè, vincerà gli altri in perizia e abilità.
MOMMU BBUNU. 263
eu cci dissi : — Unu pri unu
fìdilmenti a mia ubbidissi,
guagghiardizza e cori avissi,
masinnò nenti si fa. —
A la prima 'rrubbatina
priparai li cantuneri;
scupittati cchiù di pitreri ^
e lignati in quantità.
Lu dinaru fu abbastanti,
cosi d'oru a munzidduni,
li me' cari cumpagnuni
foru allegri in virila.
La secunna 'rrubbatina,
fui di multi canusciutu ;
lìniu sprànza, fìniu ajutu,
libirtà *un nni speru cchiù.
Ccà livai r oru e 1* argentu,
ddà la vita a lìgghiu e patri,
cu sbannuti sempri e latri
'ntra muntagni e voschi sii.
Si vuliti a Mommu Brunu
cu Lorenzu Di Binidittu
e lu Parchi tanu dittu ',
a Missina junti su' :
Pitreri, mortaletti.
Lorenzo Di Benedetto e il Parchitano , due banditi coni-
li del Bruno.
264 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
SU* trasuti a 'na taverna,
addumàiinaiiu a manciari :
un munacheddu vju spuntari,
dici : — Ad iddi ! latri su' ! —
Vennu sbirri cu surdati,
s' accumenza 'na baruffa,
'ntra buttigghi e 'ntra cannati
nni liremu in quantità :
ca si aviamu un cutidduzzu
di putillu manjari,
ssa jurnata, pri Gesuzzu 1
li stinniamu a tutti ddà *.
Tutti sangu nni pigghiaru;
a du' a dui ammani t tati
'n Cittatedda nni purtaru
e fìniu la libirtà.
Semu stritti a la catina,
chista sorti ha lu sbannutu !
la furca o la cullittina
di sti guaj nni livirà i
(Borgetto).
* Anche il Salta-le-viti , prossimo a venir impiccato ,
dando il punto in cui fu arrestato a Livorno, esclamava
S' iu. quandu fu' pigghiatu, mi truvava
un cutidduzzu, quant' e veru Diu!
aflfe! vi dicu, chi cci scapulava.
(Vedi Salomone-Marino, Storie pop. in poesia siciliana, pao^.
MOMMU BRUNU. 265
Annotazioni e Riscontri.
Girolamo Bruno fa uà bandito che acquistò trista rinomanza
nei primi anni del nostro secolo. 11 poeta fa raccontare a luì
stesso la sua vita di rapina e di sangue e la cattura: maniera
freqaentemente adottata dai poeti del popolo. Cito ad esempio
Li Palummi e Li Malantrini a lu Casteddu di Carini della pre-
sente raccolta e il. Carmina Carnai della più volte notata Rac-
^a amplissima di canti popolari siciliani (cap. LV, a pag. 678).
Anche in Corsica il bandito narra egli stesso le proprie gesta,
r arresto e la prigionia (vedi Tommaseo, CaTiti corsi, a pag. 19»
41 e 43). Io possiedo una curiosa Dt/c#a di Camillo Cajozzo da
CatUllamare di Sicilia , composta da lui stesso , in ottave sici-
liane, che il malandrino recitò quando comparve alla corte di
Assise di Trapani nel 1874, e che fu stampata in un foglio vo-
lante (Trapani, tip. Modica-Romano). La poesia non giovò nulla
al Cajozzo, perchè i Giurati lo coudannarouo.
XLI.
Li Palumml.
Caru popola, ascutati
chista storia cumpita,
li Palummi ce' è la vita,
ca piacili a ognuna fa.
Sti dui frati assai famusi,
sti sbannuti di tirruri
li prudizzi e li vai uri
sintiriti in virità.
Antuninu, lu cchiù granni,
chi di càccia si sintia,
s' accattò pri fantasia
un firettu se' tari \
* ^Fantasia, capriccio, passatempo. Se* tari : lire 2,55
odierna moneta dMtalia.
f
LI PALUMMI. 267
— L' armaluzzn arrinisciutu *
eh' era granni maravigghia,
mi eacciava li cunigghia,
li pigghiava a dui ed a tri.
A un amicu sciliratu
lu firettu lu *mpristai;
quanau coi lu dumannai
mi rispusi chiaru : — No. —
— Prisuntusu e malucriatu,
e di cchiù d' unni ti vinni ? —
Lu firettu si lu tinni
comu avissi statu so.
Cu la yucca nn' attaccamu
a palori 'nciuriusi ;
(fiiannu vinnimu a li manu,
coi li detti cchiù di cchiù.
A lu paisi si nn' ha ghiutu,
bonu bonu m'ha 'nchiuvatu ';
doppu tempu iu fu' arristatu
quannu 'un si nni parrava cchiù.
Fu' arristatu a Cunigshiuni '
OO'
com' un latru mariolu;
£ Aritonino Palumbo che parla.
3f' ha 'nchiuvaluy m'ha calunniato (presso lu Polizìa).
Cvnigghiunif CorlcoDe.
2f)g LEGGENDE POPOLARI SIGILLANE
primu a Palermu e po' a lu Molu *
'ntra li càrzari di ddà.
s
Gei accucchiavi multu tempu
'nta sti càrzari *nlilici :
m'appaltai cu qiiattru amici '
pri scappari eu di ccà :
e 'na iimmina prjai
chi vinnia coffi e e uff una * ;
mi nisciu di ddi graduna
'ntra li coffi a libirtà.
Oh sintiti, cari aggenti,
la vintura mala mia,
mi circai pri cumpagnia
'n'àutru lìgghiu di me' ma'.
Gei mannavi iu dicennu:
— Frati mì'u, sii fujutu;
mi bisogna lu tò ajutu
pr' 'uii mi fari cchiii arrista'. -
* Il SFolo della stessa città di Palermo, ov' è la prigione »-
r Ai'isenale, che serviva e serve pe' forzati.
- Accucchiavi^ propriamente mettere a coppia, accoppiare, itt
▼ale anche ammassare, radunare, sommare: coi accucchiavi muU
tempu, vale, perciò, passai ivi molto tempo, vi dimorai molti
^ Jf' apiìattai, mi concertai, me 1' intesi.
* E da sapere che i carcerati occupavansi una volta qua«^'
esclusivamente a lavorare sporte [coffi) con cerfuglione, le qual ^^ >
per farle vendere in città, consegnavano a donno, cui era per^'
messo l'adito in carcere.
LI PALUMMI. 26U
Nni juiicemu occultamenti
tutti dui *nta un casalinu,
e Binnardu vd Autuninu
veri frati in virità.
Du' scupetti pricuramu,
du' scupetti e du' vintreri,
du' pistoli pri darreri,
frualora a tinghitè *.
Nui di cchiù nni pricuramu
du' tagghienti cutiddini;
nni juncemu a l' assassini
spezza-coddi ca \in cci nn' è ^
Nni tjtimàvamu di frati
'ntra la nostra cumpagnia
a ad ugnunu iu cci dicia :
— Higulàtivi accussi. —
Nu' aiTubbàvamu a li ricchi
benistanti e a li burgisi;
cu li poviri, curtisi,
semijri fomu d' accussi ^
La cui lega sempri unita,
valurusi e ben pruvati,
lu gridava ogni citati :
— Li Palummi chisti su'. —
^JE'i'ualoru^ '^Frharu, ^Fiirgarii, s. m., cartaccia. A tinghit-'
»boiidaDza.
Scavezzacollo che non han pari.
Fomu^ fummo.
270 leggendiì: popolari sigujane
La cchiù forti 'rrubbatina
fu a Salemi a la batia;
scupittati ad ogni via,
gran tirruri ddà cci fu.
Si la Cumpagnia vineva *,
nun vidiamu distanza ;
risicàvamu la panza,
e cu' mori è a cuntu so.
Di munita assa' nn'aviamu,
era assa' V oru e V argentu:
— Chi facemu ? In sarvamentu
ccà gudiri nun si pò.
Libirtati nui vulemu ?
La Sicilia lassamu. —
Jemu a Sciacca e nni 'mbarcamu
cu 'na varca di pisca\
Si spartiu la cumpagnia,
ristai sulu cu me' frati,
semu a Tunisi arrivati,
tuttidui semu ddà.
Nui a Tunisi arrivamu
cu scarzetti e pedi nudi * ;
cu scarzetti e pedi nudi
nni sintìamu vice-re.
* La Cumpagnia^ quella de' Compagni d'armi, specie e
darmi a carallo, indigeni.
* Scarzetta, specie di berretto da uomo. L'andare a pie
segno di povertà: e i due banditi voleano parer poveri^
LI PALUMMI. 271
Cu sti Turchi scilirati
cci abbitamu pri ottu misi,
(3 'ntra t;itti T otlu misi
nun Inisicamn mai un tari.
Cct'i cci fu 'na quistioni;
cu li Turchi nn'azzufifamu
e dui d' iddi nn' ammazzami!:
chisti vannu a cuntu so.
Vinili presili un gran risbìgghiu
pri li casi e pri li strati
e li Turchi scilirati
ani viilevanu 'mpala'.
Ma lu Cùnsulu di nui *
giusta pigghia la ditìsa,
mi' ha ligatu a tuttidui,
a Palermu un' ha manna':
e di ferru, ben guardati,
din tra dui forti gaggiuna,
comu fùssimu liuna,
a Palermu nn'ha manna'.
Oh chi matri svin turata!
oh chi mai cci avissi natu
a stu munnu sciliratu
cu du' fìggili tu di cchiù ! —
(Palermo).
Console siciliano in Tunisi.
272 LCGGGNDE POPOLARI SICILIANE
Annotazioni e Riscontri.
Questa lejfgenda stampai già nel mio volume di Conti
lari siciliani (num. 746, pag. '288) : ora ricomparisce con
strofette di piìi e in una lezione più corretta.
I fratelli Antonino e Bernardo Palumbo, villici da Co
scorrazzarono da capi- banda le siciliane campagne, porti
vunque grande spavento, dal 1832 al 1835.
Dichiarati fuorbanditi. e però rei di morte, con band
sett. IK^!) della Commissione incaricata delle liste di fuo
si n.s-oi'iarono dapprima un Francesco Piazza detto J5<
un Nicolò Ciavarello detto Pnntilìo e un Giuseppe Cast
Rapaììzino, tutti da Corleone. Un nuovo bando de' 24
1834 comprendeva nelle liste di fuorbando auche ques
designava una taglia per la cattura o uccisione di tutti
glia de* Palnmbo fu di onze IHO per uno nel caso di
e di onze 100 nel caso di uccisione. La banda brigantesc
tuita quasi affatto da Corleonesi , crebbe fino a 16 o
smembrata poi, per la fuga de' due fratelli in Tunisi
tutta ne' lacci della Giustizia. Tredici evadevano dall' 1
•li Palermo il 3 decembre 1835, e ricostituirono la ba
i errore di tutta la provincia : però la Polizia die loro
vigorosamente, e ne' primi del luglio 183G eran tutti o
gione morti. Autonino e Bernardo Palumbo furon ghigl
in Palermo nel decembre del 1835. Di Antonino trovc
bando, i seguenti connotati: " Fwo, ovale; occhi, cerulei:
bassa; segni, cicatrice al mento e vaiolato; condizione, vii
to^ libero; naso, giusto; capelli, castagni; corporatura, re.
(Vedi La Cerere, giornale officiale di Palermo, a. 1833, nu!
a. 1834, num. 97; a. 1836, numm. GO, in, 133, 134, 139
XLII.
U Fra DiàvuU *.
Haju la menti mia misa a partitu
oà *na rima di parti vurria fari *;
cumenzu di Carini e Santii Vitu,
Ai *Mbròciu e Ninu vi vurria cuntari.
A Sanlu Vitu 'Mbròciu si fa zitu
cu la Scilocca, ddu vrazzu di mari \
a Cipuddaru avìanu pr'amicu:
— Stu bonu matrimoniu s' havi a fari. —
'Ntra mentri chi purtava, era vulutu *:
passau lu tempu, e *un cci la vosi dari,
< Soprannomede'f ratei li Nino ed Ambrogio Bazzetta da Carini.
* *JBìfna, s. f., serie, numero, riga. Parti: vedi a pag. 133.
9 Vrazzu di mari, massaja, istancabile lavoratrice domestica»
* I*urtava^ recava doni in copia (Ambrogio Buzzetta).
>a.l.omonb-Marino. — Leggende pop, sic, 18
214 leggenof: popolari siciliane
mittennu a diri: — Chistu è prisicuLu *,
a me' tìgghia 'un la vògghiu cunsumari. —
Iddìi 'ntisi accussi e si 1' ha fujutu,
presta a Carini si la jiu a parlari.
A poca jorna la lìgghia l'ha avuta,
e cumenza pri fàrili arristari *.
Pri mari s' afifannàvanu lu pani,
cà eranu du^ boni piscaturi,
a Santu Vitu si jeru a ruinari,
pri qnasanti di ^Mbròciu, lu minuri.
Quannu Sciloccu li liei pigghiari,
Turiddu Brunu facia d^attimpunl';
dicènnucci: — Cumpagni v^ àti a fari ♦, —
la parti coi facia di tradituri.
— Allegramenti, nun vi scuraggiti,
(sti furmati palori cci dicia),
doppu chi tuttidui Cumpagni siti,
tu si^ maritu di Anna Maria '.
Vaja, picciotti, comu arrisurviti?
vi cci mittili ^nta la Cumpagnia?
Cchiù dannu allura vui nun patiriti,
lu Capitami mi Tha dittu a mia. —
^ '^Prisicutu, perseguitato dalla Giustizia, fuggiasco. Il
zetta era accusato per lieve furto di melarance.
* Il padre (sottinteso) ria dopo pochi giorni la figlia, e
tutto perchè i due fratelli vengano imprigionati.
^ Attimpuni^ spia.
* Cumpagni^ militi della Compagnia d' armi.
-' Anna Maria Scilocco, la giovane già trafugata da Ambi
LI FRA DIAVUI.I. 275
Stii Malatu, a Buzzetta poi dicia ' :
— Li vostri figgili chi spirita liannu V
Sunnu di JDonu cori e valintia,
puramenti min cci l)asta rarinu? —
E tannu a spacca-e-pisa li vinnia %
e li picciotti nenti s' addunannu:
li liei jiri ^ntra la Vicaria,
coi liei jittari 'na vutti di sangu.
Ddoppu du' jorna sàppiru lu 'ngannu:
li passara di Tràpani 'n Palerrou;
"'Mbròciu cu Ninii jianu suspirannu
'nta dda varca chi ghia tantu currennu.
Si li purtaru cu cori tiranna
a lu Casteddammari di Palermu:
poviri carciarati *n paci stannu,
juncennu Ninu, cci junci lu 'nfernu •.
Du' anni e menzu foru carzarati
'atra ddu casteddu di Casteddammari;
si 'lluminaru li valenti frati *
pr' essiri abbilitusi di scappari:
Iiannu passatu 'n menzu li surdati,
canusciuti nun foru a caminari;
■ Malatu^ il cognome del Capitan d* armi, trapanese di patria.
Suzzetta^ al padre di Nino e di Ambrogio.
^ ^ spacca-e-pUa li vinnia^ li ingannava, li tradiva.
' l^ino, ingegnoso, irrequieto, audace, venne a guastare la
aq^uillità di quella prigione.
^ * ^Lluminaru, acquistarono rinomanza.
'276 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
binchl di li catini distrubbati \
'ntra un momentu si sàppini sarvari.
Subbila la campagna jeru a pigghiari,
arritruvaru l'amici e li frati *;
cu' cci prujiu armi e cu' dinari,
cu' cci addittava li cchiù certi strati.
'Mbròciu dichiara : — M' haju a vinnicari 1
ddocu si vidi si mi rispittati I —
Chi tirribuli guerra jeru a fari
a Santu Vitu sùbbitu arrivati!
Su' sutta ; su' scurdati; passau tempu •.
Li vlttlru affacciari com'un lampu,
a vint' uri arrivaru cchiù pirtempu *,
a tutti r amici so' dèttiru un santu •.
Sciloccu persi lu so sintimentii :
— Finiu la vita mia, eu cchiù nun campu ! —
D' un migghiu arrassu mèttinu spaventa,
lu viddanu curria, lassava l^antu.
Lu scantu attirruisci ogni vicinu,
cà sèntinu li primi scupi t tati :
* Ditlrubbatif disturbati.
* *J»nici, *Frati, voci furbesche, che, come *CuUeghi, vai
malandrini , birbanti stretti in relazione segreta per aj
•scambievolmente nelle loro ribalderie.
' Su* suttm^ sono in prigione.
* l'^n po' prima delle ore 20 d' Italia.
' nèttiru un santuy diedero la parola d'ordine.
LI FRA DIAVULF. 277
quattro Cumpagni chi vivìanu vinu *
senza pinzeri e quasi 'mbriacati
'n casa di Gipuddaru malantrinu,
si vittiru cu fùria assurtati,
Pòddari cu 'Nziriddu e Pilligrinu
e cu Cardella stavanu assittati *.
'Nziriddu, chi vivia 'ntra la cannata
misu a lu latu di lu Gipuddaru,
Ninu cci la tirau 'na scupittata,
lu 'nzerta giustu *ntra lu gangularu.
L' àutri canzaru darre' la bancata,
ma lu focu T abbrucia paro, pam:
a Santo Vitu dda mala jurnata
centra di li Cumpagni 'un ce' è riparu.
Vintiquattr' uri 'n sècutu spararu,
chiuvianu comu grànnuli li baddi;
tutti li scorni soi si li livaru
supra di tutti facennu li gaddi.
L' armi e li grana tutti si scuparu,
puranchi li jimenti e li cavaddi:
a la taverna di lu Gipuddaru
di ripostu cci sèrvinu li staddi.
A la Scilocca la truvaru tardi
ca di tirruri quasi ch'era foddi;
cci nni dèttiru tanti 'nta li spaddi,
cci li ficiru divintari ficu moddi.
* Sono i nomi de' quattro Compagni d' armi.
278 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
'Mbròciu dicia: — Volala, si V ardi!
si tu m' amavi, min tacivi 'mbrogghi;
lini cunsumasti; or' agùstati T agghi \
fa' di 111 patri tò li feri vogglii *.
Stritti attaccati cu forti catina
li mànnanu tuttidu' a la Favugnana,
e ben guardati di sira e matina,
cci stannu sempri tanti guardiana.
Lu Casteddu di Santa Catarina
cci sapi duru e cci hannu mala gana;
ddi dui 'ncignusi frati malan trina
màchinanu di lassari Favugnana.
A Favugnana fannu lu straluni
chi va finisci a Santa Catarina;
'n menzu li guàrdii, ddi dui valintuni
cu mastria scapparu a la marina;
Ninu ha scappatu e lu so cumpagnuni,
si jetta a mari cu 'na cutiddina,
cci ha pigghiatu la varca a lu palruni
tagghiànnucci lu capu di curiiia ^
* L' agghi, le batoste, i maltrattamenti.
- Mancano pareccliie ottave, l Fra Diavoli sono ripres
senza stento, dalla Giustizia e poi mandati all'isola di Favi^
Furono arrestati (mi si narra) in Santo Vito, dal Capitan d'
Antonino Picone. Nino, ch'era a ballare presso una sua a
resistè con tutte le forze ai birri prima di farsi prendere.
^ Capu, fune grossa, cavo.
. LI FRA DIAVULI. 279
Lu Ninu Fra Diàvulu cummina
cu Tàutri carciarati a lu Casteddu
cu arti e 'ncegnu, cu *na martiddina,
livari a du' fìnestri lu canceddu * ;
fannu 'na forti corda di curina
e primu cala iddu e so frateddu,
'n raenzu a li guàrdii, senza frattatina *,
otto scapparu di chiddu Casteddu.
Cu 'Mbròciu so frateddu e Tàutri sei
-curreniiu a cursa jùncinu a lu mari,
tutt' ottu eranu scàusi di pedi,
chidda varca lu Ninu jiu a pigghiari.
Lu patruni durmia senza pinzeri
dintra la varca cu du' marinari;
r attàccanu a tutti tri comu riqueri *,
mèttinu pri Sicilia a navicari.
Fu a lu trenta d' agustu lu scappari,
fu 'na gran valintizza di stupuri;
a Pizzu di Gaddina jeru a sbarcari
e cci arrivaru 'n tempu di du* uri:
ddocu sciugghieru a ddi tri marinari,
la scupetta livaru a lu patruni.
Gomu la cosa si vinni a sbampari *,
tuttu lu Regnu si misi a rumuri.
"* Canceddu, cancello, grata di finestra.
« * Frattatina, e Frattiatina^ runa ore dei passi tra le frasche.
3 Come si richiedeva la quella occasione.
^ Appena la evasione de' due terribili fratelli fa nota.
280 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Di veri Fra DiàmUi maggiuri
a tutti banni cùrrinu prisenti,
Pizzu di Corvu, Cifara e Giambruni,
Marzusu e Renna jianu 'ntra un nenti * :
lu sulu nnomu purtava tirruri,
e quantu nni spugghiaru casi e genti I
Cumpagni cu surdati a munzidduni
Palermu cci mannau subitamenti *.
Po' lu voscu di l' ilici lassaru %
flciru strata pri la Cannavera,
'mmeri a la Chiana la sira arrivaru *,
'n circa vin litri uri e menza era ;
a Vittoriu Turcu ddà scuntraru
chi spinziratu jia 'nta la trazzera ^^
subitamenti 'n menzu lu pigghiaru :
— Ti vinni V ura e la sintenza vera * !
Nu', pri disgràzia, èramu 'n galera,
Turcu 'nfami, ti nni prulìttasti
* Monti e luoghi della provincia di Palermo, ove i I
voli lasciarono vestigio di se per furti o vendette.
' Palermu] cioè le Autorità risiedenti in Palermo. ì
molte ottave, che narravano varj arditissimi furti e ing
simi ripieghi per isfuggire alla operosa Polizia.
* Voscu di VìHci'^ il bosco de' lecci esistente fino a pò
addietro ne' monti sopra Borgetto. La Cannavera è uc
lità montana, ad oriente del detto bosco.
* Chiana, Plana de' Greci.
^ Trazzera, viottolo mulattiere tra' campi.
^ Vura, Pora della morte.
LI FRA DIAVULI. 281
5 nni 'nchiuvasti di mala manera,
3iu eh' 'un è Diu a li sbirri Guatasti ^
lì'atti la cruci e V ultima prijera
*A pri stu munnu tu già trapassasti !
spiravi ca nn' avivi la muntera *,
a forza d* 1 Fra Diàvuli 'un pinzasti ! —
Turcu, a sti tasti, pàlitu si liei •,
5ci allintaru li gammi ed accascau ♦ ;
a prima vuoi chi pri forza dici,
liei : — Haju setti fìgghi I — e sugghiuzzau.
1.U Ninu Fra Diàvulu cci dici:
— Pirchi la vucca tua mi 'nfamau ?
— La fami di li figghi chistu liei,
a fami fu eh' a mia m' accicau. —
A Ninu la so ira cci abbacau *,
u gran Ninu Buzzetta si piatiu ^
li la sacchetta du' pezzi pigghiau \
. la Turcu ddà 'n terra li pruju :
— La fami di li ligghi t' accicau ?
fé', ponza pri li ligghi a tantu riu ® :
CurUarij (o diri) Diu chi nun è Diu^ dir la menzogna, in-
''si una cosa.
Munttra^ cuschetto da birro: e si noti che il birro chia-
Bnche Muntevi,
1. sti tasti, a questo suono (tasto), a queste parole.
JlcccMcau, cadde, cascò.
hhacau^ calmò, quietò.
Si piatiu^ si commosse, si mosse a pietà.
"^u^ pezzi, due piastre d' argento da tari 12 (L. 5, 10) per una.
Miu, angustia, miseria.
\
282 LGGGENDE POPOLARI SICILIANE
Ninu Buzzetta viva ti lassau,
d' 'iin fari mali cchiìi t'avvertii in! —
A hi Pirutu li Cumpagni accorti*
stiiineni lu curduni d* ogni parti,
e li surdati pigghiaru li posti,
la 'mprisa vonnu fari cu tant' arti.
Una fìroci scàrrica hannu fattu,
coi ammazzaru la mula a lu Buzzetta:
Ninu si canza di valenti e scartu,
tira a un Cumpagnu e pri grittu lu 'nzerta.
Ninu cu 'Mbròciu gran focu facianu,
li baddi ca 'nla V ària friscàvanu,
e di munizioni assa* nn' avìanu,
di granni sparatura V azziccàvanu:
eranu prisi, e già lu vidianu,
ma no i)ri chissu mai si scuraggiàvanu.
— Arrènniti! Arrènniti I — dicianu
chiddi Cumpagni chi V atturniàvanu.
Li dui frati sparàvanu cchiù forti:
— Nun s'arrènninu l'omini! (gridannii):
prima lu pettu trapassati e morti!
prima sti baddi hannu siti di sangu * ! —
(Sorge tto).
' Lìi Pivntu e una località sui monti, tra Carini e Mot
Una variante: prima sii baddi gran sangu faranno.
1
LI FRA DIAVULI. 283
1
Annotazioni e Riscontri.
I fratelli Nino e Ambrogio Buzzetta, giovani marinai di Ca-
rini^ acquistarono il soprannome di Fra Diavoli per le arri-
Bcliiate tristi imprese e per la maravigliosa abilità di evadere
di prigione e di sfuggire a tuttM lacci e inseguimenti della Po-
lizìa. Caddero in fine, consumata fino air ultima cartuccia, nel
1B35, e salirono il patibolo in Palermo a brevissima distanza di
tempo da' fratelli Palumbo. La storia poetica, cliMo ne pub-
blico, era abbastanza lunga e particolareggiata; ma non V ho
potuta avere completa. Un' altra Storia di li Fra Diàvuli corre
presso il popolo, in settenarj: leggesi, con qualche lacuna, in PrraÈ,
^el voi. Il, pag. 134 e segg., della cit. Bihl. delle trad, pop, aicil.
Anna Maria Scilocco , la giovane rapita in Santo Vito del
^'apo da Ambrogio e causa della cattura e della mina de' due
fratelli, viveva ancora al 1860. In Terrasini, un figliuolo na-
turale di Nino esercita il mestiere di tavernajo.
'^-a pietà generosa di Nino con Vittorio Turco, spia ed accusa-
tore Suo, narrata nella nostra leggenda, ne richiama ad altre con-
simili di altri banditi: noto quella del corso Borghello^ il quale,
rincontratosi in un giudice di pace , cugino carnale di certo
spione esecrato, lo ferisce nel ventre. Quegli, sentendosi venir
'^^^oo, esclamò: ** Tu hai il corpo, non voler V anima. „ E 1' o-
"'^citJa commosso, fasciargli la ferita, e aiutarlo a montare a
cavallo^ e ad andarsene in salvo. Che poi guarì „ (Tommaseo,
^^'^^^"com, pag. 30-31).
XLIII.
Paula Oacuzza.
Stu curaggiusu Paulu
Cucuzza numinatu,
stu putirusu giuviai
a Muncilebri è natu.
La so mala disgràzia
Jii liei prisuiri ' ;
'mpignusa la Giustizia *
(ici detti assa' chi diri :
* ^Frisuiri^ v. n., essere perseguitato, e s' intende solo d
persecuzione per parte della Giustizia; onde il verbo Pris
ha avuto il significato di fuggire, nascondersi, darsi latitai
come vale appunto qui: adoprasi anche, nel senso istesi
^Priauirisi, v. n. rifl.
* '^'Mpignu^a^ add., puntigliosa.
PAULU CUCUZZA. 283
ma iddu di sfujiricci
trova li 'ncegni novi * ,
'ntra ciminli ammùcciasi,
'ntra staddi e pagghialori.
Po' la campagna pigghia,
chissà r ha ruinatu ;
^n capu a li pochi jorna
fu brazzu abbanniatu *.
Cu guattru di li cimi ^
Paula liei Ija,
e chissà fu di Paulu
r ardita cumpagnia :
primu lu Palazzolu
cu lu Ninu Giurdanu;
Ninu Culletta e Pòlitu
di po' si cci accusciaru *.
Tutti a cavaddu armati,
oniti sempri tutti,
gran cumpunenni liciru,
gran subbitanti furti ^.
^ ^NeegnU astuzie, ingegni.
' Brazzu abbanniatu, braccio famoso, bravo, bandito. Frase
Ganti Da.
^ *Cimi, malandrini eccellenti, cima di bricconi.
* Si cei accusciaru, si unirono ai primi con forte lega. Vedi
ioiazioni e Riscontri,
' ^Subbitantif e meglio *8urbitanti^ add., esorbitanti, cfcerisivi.
286 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Iddi, quaiin* arrubbàvanu,
gran tirruri facìanu,
a pettu di cavaddu ^
li scLipittati jianu.
Allura chi lu scròpinu,
fìijinu li centanni *
iassannu a pricipiziu
puru li robbi e V armi.
Nun trovanu rimedia
pr' aviri a stu sbannutu,
chi cu li quattru giuvini
a tutti ha attirruutu.
Gei spàranu, e lu sgàrranu ;
cci fannu lu curduni,
e tutti cincu sprìscinu
'n menzu a li cchiù spaccuni.
Hannu Ijati V armi *,
nuddu li pò liriri;
massimamenti Paulu
è francu di li miri *.
'Na siritina scura
lu pèrsiru V amici :
* A pettu di cavaddu^ in abbondanza, con impeto.
' Centarmi, gendarmi.
^ Sono fatati, han concessa Tanima al diavolo.
* Sicuro di non poter soccombere alla mira d' uno schiopp
PAULU CUCUZZA. 287
— DuriDÌ ha pigghiatu Paulu ?
Ninu dumanna e dici.
Suliddii a casa càuda ^
chiddu valenti ha ghiutu ;
vivu di carni e spiritu,
lu foca 'un V ha nuciutu.
Li cchiù ammascati omini,
Di Giorgi e Testai onga,
Slìrrazza e Ninu Ròtulu,
Scureuni e Barbalonga,
Scaluri e Papasèudi
e Sàuta-li-viti,
la cosca di li 'nfànfari *
sunnu ddà tutti oniti.
uà càuda, casa calda, inferno.
I coscaj la combriccola. '^^ Nfànfari, s. m., malandrini di
riga.— Di Giorgi, Testalonga, Sferlazza, Ròtolo, Scorsone,
onga, Scaluri, Papasèudi, Salta-le-viti, come anche La Vec-
aturi e i fratelli Pulcini notati più sotto, sono tutti celebri
de' secoli XVI, XVII e XVIII (qui nominati senz* ordine
>gico], i quali hanno presso il popolo la loro storia aned-
in poesia od in prosa, per le spacconerie, i ladronecci e
i commessi, non iscompagnati spesso da atti cavallereschi
ni. Vedi in proposito le cìt. mie Storie popolari in poesia
lumm. XI, XII e XIII, pag. 115-166], e Gaetano Alessi,
piacevoli e curiose ec, num. 81, manoscritte nella Comu-
Palermo, ai segni Qq. H. 44.
l88 LEGGENDE POPOLAni SIClLlANIi:
Prisenti li Diàvuli,
Triiinfanu a Cncuzza \
cci arrìnganu li tràppuli *,
cci 'nsignanu li puzza.
— Statti cu pocu apòstuli,
(Stirrazza cci dicia),
sinnò li morsa 'mbrògghianu
e fai la lini mia. —
La Vecchia, tistjannu,
cu Canini e Baturi:
— Sta air erta, (cci dicianu),
di Giuda tradituri ! —
Li Puddicini accorti,
cu Di Giorgi a lu latu :
— Fa' grazia a lu poviru,
ti sia raccumannatu. —
E tanti cosi a Paulu
ddi mastri cci avvirteru,
supra lu munnu e V omini
la menti cci graperu.
Air uitimu lu vàsanu
la cosca tutta onita,
cci dèttiru la dòsica *
(ili cci sarva la vita.
' '*Triunfari^ v. a., onorare, portare in trionfo.
- Arrìnganu^ designano per ordine.
'^ '-^Dòsica^ propriamente dose di veleno; ma qui, medicara
di virtii occulta grandissima.
PAULU CUCUZZA. 289
Di tannu 'a poi, li fùrgari
tòrcinu avanti a iddu,
sbirri e ceii tarmi fùjnu
sulu a lu nnomu d'iddu.
Va di Palermu a Tràpani,
di Carini a Girgenti,
dunni chi ghiunci, scàppanu
li ricchi e li putenti.
S* attacca; scupittianu;
cadi la Pulizia;
sempri triunfa Paulu
e la so cumpagnia.
Chiddu gintili Principi
Pitrudda titulatu
a Paulu voli canùsciri,
a lu Zucca l'ha chiamatu ^
— Paulu, ti vògghiu vidiri,
(lu Principi cci dicia),
tutti a cavaddu armati
cu la tò cumpagnia. —
E Paulu cci ha ghiutu
senza suspettu aviri;
* Zuccu, r ex-feudo di Zucco, og^ì fattoria conosciatissima di
li del Duca d'Auraale.
Salomone-Marino. — Leggende pop. sic, lU
290 LEGGENDE POPOLABI SiaLIANE
Sta cosa a chiddu Principi
cci fìci assa' piaciri.
Gei dissi po' Ili Principi:
— Paulu, ccà chi fai ?
Com'un tristu sbannntu
un jornu murirai !
Paulu, eu ti cunsigghiu,
ascuta sta palora,
sarva iu tò curàggiu,
'mbarca, vattinni fora.
Sta vita di stratàriu
china di scanti e peni,
sta sipurtura aperta
sempri sutta li pedi ;
sta strata sangunària,
Paulu, 'un fa pri tia :
scappatinni a V America,
eu ti darrò la via. —
Paulu fa silenziu ;
po' dici : — Sii cuntenti ! —
Dici Pitrudda : — Vènimi
a palazzu cu sti genti ^ —
'N Palermu la Giustizia
quasi ca 1' happi a marni,
e la curpanza 1' hàppiru
Palazzolu e Giurdanu ;
* Vieni al mio palazzo (in Palermo), tu e la tua gent(
PAULU* GUGUZZA. 291
pri 'na pistola mìsira
(o omii cecu e pazzu !)
tìciru tirribilia
dintra di hi palazzu.
Gei cursi la Giustizia
e tuttidui *nciapparu ^;
dèsiru a chiddu Principi
un gran vuccuni amara :
ma lu prudenti Paulu
asutu si sarvau,
vis tu tu di marinaru
pri 1' America 'mbarcau.
La Pulizia si mùzzica
chi nn' arristau scurnata ; .
di lu valenti Paulu
si persi la 'Ruminata '.
Li dui Oulletti misari
mali cci arrinisciu,
la morti e la galera
li primi li culpiu :
Giurdanu e Palazzolu
di tanta valintia
nn* hàppiru malu fini
'n manu a la Pulizia.
* ^Neiapparu, ▼. n., furono intrappolati, caddero in trappola.
* Non se n' adi più novella.
I
293 LEGGENDE POPOLAR I SICILIANE
La vita di stratàriu
a malu fini porta,
prima Tonuri pèrdinu,
doppu la vita è morta.
Si persi lu forti Paulu
pri so distinu maln,
li so' parenti chiàncinu
a chiantu ruttu e amaru.
(Borgetto).
Annotazioni e Riscontri.
La vita di Paolo Cucuzza è un romanzo. Figlio ad an bus
bovgese di Montelepre, per lievi cause fu cerco dalla Poliài
si nascose dapprima, poj si buttò alla campagna ed ebbeacM
pagni fedeli gli animosi Antonino Giordano da Monreale, ifr
telli Antonino ed Ippolito Colletta da Borgetto e un Palaaol
tutti per varj delitti fuggiaschi. L'audacia delle imprese, il ^
lore personale, l'abilità di sfuggire a' più industriosi e conti]
perseguimenti della Giustizia, fecero del Cucuzza, uomo di i
e vigorosa persona, un bandito terribile a tutti. Piìi fortuo
de' Palumbo e de' Fra Diavoli, al 1836, la mercè di un '.
gnate, che prese a commiserarlo e a volergli bene, si imb(
con vesti e passaporto falsi, per T America, come fu detto e
duto, ma in realtà per Livorno. Ivi, con mentito nome e (
dosi per emigrato polìtico, sposò una Biagini, la quale non
nobbe l' essere vero e il casato del marito che al 1848, qua
cioè, egli rimpatriò, costituito il nuovo Governo nazionale. C
preso neli' amnistia della restaurazione, restò da campajo
Zucco, già diventato proprietà del Duca d' Aumale. Mori int
al 1868. Come appare dalla leggenda, la opinione pope
PAULU CUCUZZA. 293
e eh' egli avesse fatto patto col diavolo, giaechè nessan col-
aessnn laccio della Polizia potè giungerlo- mai.
ò* suoi colleghi, Giordano e Palazzolo, mentre nascosti in Pa-
io attendevano V imbarco clandestino, si rissarono per una
)la nella partizione dei prodotti de' furti, e al chiasso la Po-
li sorpese e arrestò (1836). Condannati e imbarcati per Favi-
la (o altra isola], per via ebbero V audacia di opprimere le
'die, chiuderle sotto coperta e tornare con la barca a Mon-
>, ne' pressi di Palermo: ma furon conosciuti e inseguiti
ì guardie del cordone sanitario, allora stabilito per cagion
;holera. Vennero catturati sui monti di San Martino delle
e, non senza lotta, e menati in trionfo a Monreale. La sen-
a capitale era sicura: il Giordano, per non dare questo
tacolo di sé ad un suo odiato congiunto Capitan d'arme,
lise la vita la sera stessa della cattura, succhiando un ve-
che tenea cucito nella svolta del petto della giacchetta. — I
Colletta erano stati presi in provincia di Trapani nelP aprile
1835, dopo ostinatissima resistenza* benché malati e feriti,
suino essendo morto, Ippolito fu dannato all'ergastolo nel
«Ilo di Napoli. Usci al 1848, tra schioppettate e colpi di
netta, e tornò salvo in patria, ove poi rimase anch' esso per
to dell'amnistia. Dopo tante peripezie, ferite, infermità gra-
ime, egli vive tuttora (gennaro 1880] , facendo il campajo,
sttato e temuto da' malandrini d' ogni gradazione, benché
epito e invalido. Ho raccolto dalla sua bocca questi, con
molti particolari sulla banda del Cucuzza.
XLIV.
LI Halantrini a la Oasteddu di OarlnL
Cari amici, sin tiriti
chi vi vògghiu raccuntari
(beni o mali mi vuliti)
ca cchiù Tomu 'un si pò fari ^
A stu secuiu prisenti
sunnu assai li 'stritturi * ;
binchi unu 'un sapi nenti,
l' havi a diri pri timuri.
Semu tutti arruinati :
stu Casteddu di Carini
nun ce' è àutru, forchi scrùsciu
di ferri, mùffuli e catini *.
*■ Non si può più essere malandrino [omu).
* *^8tritturi^ Giudice istruttore.
^ Mùffuli, manette.
LI MALANTRIM A LU GASTEDDU 01 CARINI. - 295
Tutti romini avantati,
'ntra st'orribuli Casteddu
a r agnuni su' jittati
cu r aricchi a lu pinneddu * :
cu' talia di li 'ngàgghi,
cu' è assittatu a lu so pizzu,
ce' è cu' chianci e fa badàgghi,
cu' cci afferra un trimulizzu.
Poi affaccia Realbutu *
cu lu so frustinu in manu,
accumenza a ^ntirrugari
cu la misa di supranu :
— tu latri! ed assassinu,
di campagna scurrituri,
quantu poviri ha' spugghiatu
a purteddi ed a straluni ?
quantu furti e cumpunenni •
e micidii senza cunta?
ma canciaru li vicenni,
r ura tua puranchi è ghiunta :
cà cu pedi a la catina
mi ^ngagghiasti, ciciruni * ;
A orecchie tese (per la paura).
Realbato, famoso Capitaa d* arme, terribile agli assassini.
Oumpunenniy ricatti.
*Cficiruni, qui, uomo di poca levatura, babbeo.
296 - LEGGENDE POPOLARI SIGILUNE
'nta ssi gradi t' ha' manciari
li to' carni a muzzicuni ! —
5/"».
^Ccussì dici, car ugnimi !
e cci ridi, e fa li minni ^.
— Fa' cantari a tutti st' omini ! —
po' cumanna a li so sbirri.
Cu li scardi a cintinara,
cu li virghi di cutugna *
li Cumpagni stannu all' ordini....
Lu cchiù 'nfarai primu 'ncugna !
Partinicu ! Partinicn 1
comu vivi li lassati ?
palli e prùvuli 'un aviti
pri Nataleu e Vanni Abati ?
Sunnu veri traditura
st' orni 'nfami e spiatati ;
Nataleu e Vanni Abbati
nun ce' è Diu s' 'un 1' ammazzati • !
(Carini).
* Fa li minni, ne gode, ne ingrassa.
* Scardi, virghi di cutugna : strumenti di tortura per 1*^
cantare i malfattori : le schegge di legno (scardi) si conficc»'
vano sotto le unghia, le verghe verdi di cotogno servivano p^^
frustare le nude spalle.
' Questi Nataleo e Giovanni Abbate erano due Compagni ^^
arme nativi di Partinico. 11 grido omicida dei malandrini del
Castello di Carini trovò esecuzione colla rivoluzione del 1860;
il Nataleo cadde di schioppettata: l'Abbate potè salvarsi con 1»
fuga e la prolungata assenza dal paese natio.
LI MALANTRINI A LU CASTEDDU DI CARINI. 297
AnnotaKtont e Riscontri.
to grido poetico di lamento e di vendetta uscì proprio da'
rini chiasi nel Castello di Carini , circa il 1854 o giù
IO al 1860 corse quasi esclusivamente in bocca di mafiosi
rristi; da quell'anno in poi divenne notissimo a tutto il
Lamenti di condannati e minacce e aspirazioni a futura
a contro ì tr<tditori abbiamo anche nei citati Canti eorsi
iMASÈo (pag. 41 e 43).
XLV.
Pippazzu la valenti
Sutta l* Abbergu giustu^*
ce' è 'na taverna nova,
lu ciuri di lu mustu
virgini ddà si trova.
Pippuzzu lu valenti
Oli Ciccu e cu 'Nniria,
cu Pauiu, Ninu e Jàpicu
e Nùnziu Dimaria,
s' hannu partutu allura
pr' a sta taverna jiri ;
la siritina è scura,
si vonnu divirtiri.
* L'Albergo de' Poveri ia Palermo, nel Corso Calatafimi, 1
dato r anno 1746.
PIPPUZZI} LU VALENTI. 299
— Turiddu ! a nui lu vinu !
lu 'nfànfani viilemu *,
di chiddu d' un carrinu '
ca ce' è lu gustu veru.
— Turiddu, sa' chi fai ?
(dici Nùnziu di bottu),
lu scàcciu I cà li guai *
stasira su' 'ntra 'u gottu. —
E lu vinuzzu è prónti,
e ce' è lu scàcciu puru,
li giuvini s'assèttanu
a un tavulinu sulu.
Pippuzzu asciuca gotti,
puru r amici a latu ;
Turiddu va e veni,
un varrili è. tirminatu.
Cumènzanu li tòccura *
cu festa ed alligna,
càntanu e si divertinu
tutta la cumpagnia.
Cu la citarra 'n coddu
vennu du' sunatura,
^Nfànfaruy add., eccellente, smàfero, cima.
Carrinu , moneta che equivale a centes. 21 della italiana.
Scàeciuy nome collettivo di frutta secche e abbrustolite atte
ssere schiacciate, come noci, fave, ceci, nocciole, mandorle ecc.
Tòecnra, tocchi, specie di gioco che si fa col vino.
300 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
la virdulidda sonanu,
sonanu Ja capuna K
E po' lu toccu sècuta,
la murra puru cc^ è * :
si 'nciàmmanu li sàngura....
— Jittàtivi 'n darre' !... —
• Cu' ccà, cu' ddà si cànzanu
mittènnusi 'n parata,
poi còti, còti avanzanu '
pronti pri la tirata *.
Spicchianu li cutedda :
Pippuzzu sta sicuru
cu la so lamicedda
a la spica d^ 'u muru.
— Santu-di-pantanuni ' !
la cannila astutaru ! —
Za-zà! cu' mori, mori *,
si vidi a ghiornu chiaru.
•
* La virdulidda, la capuna, due musiche proprie di le
sollazzevoli e da taverna. Vedi nel mio volume: La Ba
di Carini, seconda ediz., pag. 103.
2 Murra, morra, altro gioco volgare notissimo.
'^ Còti, còti, raccolti, guardinghi.
* Tirata, duello ad arma corta.
^ ^SantU'di'panianuni, pegg. di Santu-di-pàntan ì, best
assai frequente in certe bocche e in certi luoghi.
^ Zà'zà; voce onomatopeica che dinota il crosciarsi dell
e il penetrare di esse nei corpi.
PIPPUZZU LU VALENTI. 301
Oh Diu, chi serra-serra I
chi genti traditura !
Comu liuiu la guerra,
tutti spireru allura.
— Prestu, i)restu la ciàccula !
adduma 'na lumeral
Cu* fu ? Cu' è ? Vidèmulu,
pinzamu a la manera —
Pippuzzu sbinturatu,
cristianeddu di Diu * !
cu setti cutiddati
la vita ci pirdiu I
Pippuzzu lu valenti
nun uni passianu echini;
V occisini sei pizzenti,
nun sàcciu comu fui !
(Palermo).
Annotazioni e Rlseontri.
iiesta poesia ci dipinge al vivo una scena che frequentemente
pete in Palermo, o meglio in tutta Sicilia, quella cioè di
e persone del volgo, che insieme vanno a consumar la sera
taverne e perdervi, col denaro e la salute, la moralità e
16 la vita. Il tocco è il gioco prediletto ed abituale; ma per
^Cristianeddu di Diuy o *Umiceddu di Diu, nomo valente,
illente nella sua partita. Omaccin di Dio trovo in un poeta ber-
o del sec. XVI (v. U Piovano Arlotto di Firenze, voi. I, p. 147).
302 LEGGENDE POPOLARI SIGIUA.NC
easo appunto, per la saa costituzione stessa, nascono s
momento gravi dissidj e baruffe, e i meno maneschi »
che han piU bevuto vi soccombono. Mi trarrebbe a lan^
via il descrivere la /orma e le leggi del gioco, clie si
no; e però rimando i lettori al curioso libretto popolai^ ^
sia siciliana: Liggi baccanali riguardanti la riforma ii
(Palermo, 1839) e alle Cfronache delle Assise di PaUm<^t ^
parte quarta, num. I, pag. 138 e segg.
Nel voi. XIII della più volte cit Biblioteca delle tradit- p
sieiL del mio amico Pitrè, si leggerà una più ampia ^escrifl
del tocco con le sue varietà, regole ed eccezioni.
XLVL
La Galera di la 1837.
chiaghi santi, o chiaghi JDiniditti,
va sprànza di li piccaturi,
anu e pedi di chiova trafitti,
uci santa, lettu di duhiri;
;rbu eternu, patri di i' afflitti,
.ssioni di Nostra Signuri,
vi prigamu cu fidi sincera,
itinni stu fragellu di culera!
tra Tannu trentasetti chi s'avvera,
ci la manu lu gran Din sdignatu:
1 s' otteni cu fidi e prighera,
3rima lu lassamu lu piccatu.
in, chi campa di mala manera,
?iii tempu Diu V ha castigatu :
^04 LEGGENDE POPOLARI SiCIUANE
lu piccatu di scànnalu e bistèmia
1' àriu infetta e porta sta pidèmia V
Iddiu, cu' fa lu beni cci lu premia,
cu' è chi fa lu mali hi castja :
nu' semu tanti strumenti di sènia *,
jinchi e sdivaca, e la i-ota lirria :
cu' cerca spassi, cu' teni accadèmia,
cu' teni scola di lilusuiia,
ma la liggi di Diu nun cci pinsamu,
moni e dannazioni nni chiamamu.
Nu^ nn' avemu l' esèmpiu d' Adamu
ca Diu cci castigau lu so piccatu; .
[iri Un' a lu prisenti nni parramu,
ddu bellu paradisu hàmu appizzatn *.
Quannu la liggi santa trascurami!,
è pronti! lu castigu apparicchiatu,
ed è giustu giudiziu di Diu
eh' ogni piccatu merita castju.
Iddiu la teni la valanza 'n pernu
pri fari la giustizia a li genti ;
lu piccaturi cunsigna a lu ^nfernu,
pirchi la so chiamata nun la senti:
Iddiu nni chiama cu bonu cuvernu,
nni chiama cu castighi e patimenti,
e pirchi 'un rispunnemu a la chiamata
la divina Giustizia è sdignata.
* Pidèmia, epidemia.
- Sènia, bindolo, nota macchina idraulica.
* Appizzatu, perduto.
LA CULERA DI LU 1837. 305
lal'è lu lini ca *un vùtamu strata?
li 'un facemu pinzeri a la morti?
circamu 'na vita scialata *,
beni di terra semu accorti:
1 nni duna po' na fragillata ',
aanu d'omu nni fragella forti;
nni lu manna stu trimennu avvisu
.ì di lu piccatu è troppu offisu.
l', quannu sti uutizii avemu 'ntisu
ìri stu gran mali pistilenti,
i piccati eh' avemu cummisu
annu abbattutu morti a tanti genti.
L'ima 'na nutizia s'ha 'ntisu,
nava viloci occurtaraenti:
lu mali, veni cu malizia,
pri manu di V omu, fa giustizia.
ni cori cci speddi la litizia,
a ognunu pinzannu a sta ruiaa,
suspettu ognunu e nimicizia
guardamu di sira e di matina:
puli, vi dugnu pri nutizia:
radituri occurtu ccà camina;
si li sapemu veri e certi,
fettu veni, stamu ad occhi aperti f
sianu: — Di sira 'nn stati aperti,
lali cu lu scuru ha cchiù putenza. —
lata, add., divertita, scialosa.
pillata, s. f., colpo di flagello, flagello.
i:-Marino. — Leggende pojì, sic, 20
906 IJE^%OI>£ POrOLARl 5IC1UÌLXC
Guarda, pinzata di omini sperti!
Din forsi ctinfidau la so sìntenza ?
'Xca mentri ohi nni sunnu veri e certi,
suLbemannilla tanta Tiulema;
snbbeniunnilla st'orrennu castjo,
st* amam chiantu ofl^mulu a Din !
^tra nn lampa lu gran mali si sparg
tutta r aggranfa a la bedda Sicilia;
'n Palermu ddu gran populu strudiu,
pami di morti di sissanta milia: '
chidda forti citati s'arviliu
hi jomu di San Petra e la vigilia h
ii pochi vivi attirruti e scuntenti,
privi d' amici, di frati e parenti !
C^ni paisi, chi cosa si senti ?
morti a catasta, lu restu allittati ',
cvSlizìoni, lùmmi e lameatu
òrfani, vlduì, cori s<:iinsulati !
Accussi voli Cristu onniputienti:
«.[iiantu casi, di tunmi sbacantati ^ !
Si 'un era pri Maria, chi Diu priga\*a,
hi Reguu, ad ora, tuttu s'annullava.
Ognuna addossii la morti purtava,
èramu quasi tutti in agunia,
* Cioè ne' giorni 2S e 29 giugno, ne' quali il ma
con estrema Tiolenza a spegnere mìgUaja di vite p<
* ^AUìttatiy infermi al lettcs allettati.
^ Quante case non rimasero vuote affatto !
LA CULERA DI LU 1837. 307
ce' era nuddu chi sprànza aspittava,
pri r arma piuzari putia:
ledicu, lu prima chi pinzava
tu li Sagramenti arricivia;
,'ni strata a tutti li muineiiti
! parriau cu li Sagramenti.
Q cci nn' era famigghi senza nenti ;
un avia né morti né malati,
tutti misari e scuntenti
anu lagrimannu strati, strati ;
cci nn*era òrfani 'nnuccenti
arianu la stissa piatati.
•rnu vidia a tanti cu saluti,
sira a lu campu sippilluti I
cita di Palermu su' piruti,
)rti i)TÌ li vii abbannunati,
;i 'n terra comu tanti bruti ,
l li carruzzuna 'un su' bastati ;
chini su' stanchi ed abbattuti,
Tuzzuna chini 'ncucucciati *,
stàncanu né jornu e mancu notti
igghiennu l' infiniti morti.
àru Regnu, quali cruda sorti I
si e cita sunnu diserti ;
lììÌB, è lu campu di la morti,
/acanti, abbannunati aperti 1
ledati j add., colmi, sovrabbondanti.
306 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
E quali cci sarannu cchiù cunforti?
Ha chi diri cu' resta ad occhi aperti * !
Diu nn'ha fattu l'appellu tanti voti
cu fami, cu timpesti e tirrimoti.
Ma la culera no, si tu la noti,
'ccussi nun la vulia lu Diu sagratu;
hannu mortu li santi sacerdoti,
anchi bammini chi 'un hannu piccatu:
lu Di'u nn' ha chiamata tanti voti
e la so vnci l' hàmu riggittatu ;
ma ora, com' ha vistu eccessu tanta,
Iddu stissu macari ha fattu chiantu.
L'hàmu vidutu lu so Vultu santu
chi chianci'a cu làgrimi scuntentu,
r hàmu vidutu angustiatu tantu,
a lu Burgettu fu stu gran purtentu *.
E ce' è cu' ridi cu lu sonu e cantu
e fa lu matrimoniu cuntentu I
Addunca, hannu ragiuni a fari festa
cà Sicilia r annega la timpesta * I
* Chi resterà in rita.
* Al 1837 fu diffuso e creduto in Borgetto che l' in
del Salvatore, nella casa di una tale Russo, piangesse
lagrime quando il cholera attinse il suo apogeo. Il cred
tento, interpretato come dolore di Dio per una strage
veasi a malvagità umana, viene ricordato eziandio nel
di la Culera di lu 1S67 del poeta popolare Salvatore <
'* Qui (mi avverte la massaja dettatrice dei versi) s
del re Ferdinando II, il quale si sposava e facea fest
noi morivamo a centinaia del brutto male.
LA COLERA DI LU 1837. 309
[}uannu cci pensu, cci perdu la testa ;
ttemu tappa 'n bucca, e ora basta * :
mali di tutt'uri nni mulesta,
ru cu petra assai mali cuntrasta.
antu nni giranu cu fàusa vesta * !
pulì, cchiù nun parru, chistu abbasta :
vivu resta havi tantu chi diri ;
. cu' pò scapulari a stu muriri?
]ci vurrissi un dutturi pri scrivili
ti li danni di terri e casali ;
ania nun fa àutru chi chianciri,
ipani chianci e puru Murriali ;
7tinicu, 'un ce' è àutru chi muriri;
:amu è persu, nun havi chi fari ;
rsala, Sciacca, Giurgenti e Sutera,
eru prisi, calaru bannera 1
Ilomu assartau sta niura culera,
itu lu Regnu si vitti pirutu :
medici girannu cu carrera
l dari a li malati gualchi ajutu,
riamoci la bocca, e basta cosi.
anti avvelenatori non giran travestiti per V Isola ! —
falsa credenza invase talmente le menti del popolo al
le si giunse a sparger la notizia, che lo stesso re Fer-
t sia venuto in Sicilia travestito da monaco, per vedere
vvelenamenti si eseguissero in larga scala giusta i suoi
In Palermo ed altrove furono , come spargitori di ve-
umazzati piii d' uno ! Povero cervello umano, a quante
ioni non soggiaci !
310 LEGGENDE POPOLAIU SICILIANE
guardàvanu a li genti 'nta la cera,
'nta chiddu visu pàlitu e lìnutu :
eranu tanti afflitti e scunsulati,
li stissi boni parìanu malati I
■^.iet
'Nta tutti li paisi e li citati, liiM
principiannu di la Capitali, 1 xu
preganu tutti li Santi avucati * §-d(ìi
chi Diu nni libirassi di stu mali.
Li santi sacerdoti, travagghiati, |^j^nc
pirchi ogni strata ce' era lu spitali,
'ntra cunflssari e 'ntra cumunicari
lu tempu affattu 'un cci putia bastari.
Cu' si la scampa, avirà chi cuntari
di sta granni tragèdia chi vitti ;
ed eu sapissi scriviri e nutaril
gran cosi lassiria a li libbra scritti.
Hàmu vistu li morti strapurtari
'n campagna ^nta ddi lochi biniditti,
nudi, a catasta, oh chi feru spaventa !
la càscia e lu carrettu 'un avia abbentu.
Quantu suspiri, stròpitu e lamentìi
facianu li genti pri li strati !
Niscia lu Viàticu ogni mumentu,
jia purtannu cunforti a li malati.
* ^Avacatu usa generalmente il popolo, più ch^ ^
che registrano i Vocabolaristi.
'"■'TU
^:\
;riiiii
■5r:
LA CULERA DI LU 1837. 311
unu, cu' dicia: — Mali mi senta, —
era 'spostu pri V eteraitati ^ ;
nnu attaccu di granchi e duluri,
lorti era certa 'ntra poc' uri.
[nedunu avvilutu di timuri
i Morti cu r occhi la vidia ;
nu : — Guraggiu I — li dutturi ;
)hi curaggiu cu ^ta pesti ria ?
ledicu girava cu trimuri,
vannu un malatu s' avvilia ;
La di li cògniti e mustura ',
li era, eh' era junta V ura.
àai nni mureru di duttura
muri di succùrriri a li genti,
iru ammagistrati e principuna *,
i dotti e giuvini scienti ;
•gini munacheddi in sepurtura
anu cu r àutri 'nnuccenti ;
Drti mitia tunnu e nni livava,
sa di Riguanti 'un la truvaval
certu, 'un era mali chi 'mmiscava,
asinnò lu munnu si flnia,
mu vivu di chissi arristava
s chi amici e parenti sirvia.
stu, diposto, avviato.
Ui, medi cine in soluzione. *Mtt8tura , mescolanza di
^amenti.
lagistrati, magistrati. Principu7ia, principoni.
312 LEGGENDE POPOLABI SICILIANE
L' omu in bona saluti si truvava,
scoppa di boUu yòmilu e diarria :
mègghiu muriri sparannu, sparannn,
e no muriri cacannu, cacannu * !
Lu dannu è forti, e comu si cumporta?
Forza cci voli e curaggiu tinaci;
ma la forza d' 'i cori è tutta morta,
lu populu si stradi senza paci.
Saragusa, cita valenti e accorta,
idda r ha vistu la cosa viraci;
Saragusa a li 'nfami V attirriu,
vuci di pòpulu, vuci di Diu * !
Diu di paci, libbranni stu 'ngannu,
stu tradimentu cu la tò putenza ;
r afflitti puvireddi a niiddu hannu,
sulu la manu di la tua climenza !
Nu' semu persi V annata d' aguannu,
si nun nn' ajuta Diu, nuddu cci penza:
lu populu la forza V ha pirdutn,
vÀ stu mali rha spersu e T ha avvilutu.
Maria d' \i Rimiteddu, danni ajutu *,
o Matri, cà tu si' nostra avucata,
* Questi due versi, che contengono una terribile minacciaci
ribellione, si ripetevano da tutti al 1837, ed in varj Comuni 8i
lessero scritti su' muri a lettere da speziale.
' Accennasi alla rivolta di Siragusa, poi repressa ferocemente
da Delcarretto.
^ Maria SS. Addolorata, col titolo di Maria del RomitellOì^^^
Patrona di Borgetto: per intendersi bene il quarto verso di questa
ottava, è da sapere ch'essa è dipinta col Cristo morto sui ginocchi*
LA CULERA DI LU 1837. 313
prègalu tu chi nni facìssi scutu
ssu Figghiu, chi susteni adduliirata.
Tuttu lu Regni! di nìuru è vistutu,
jetta làrmi di sangu ogni cuutrata ;
la stissa terra si lamenta e doli
cà echiù catàuri ricìviri 'un voli.
Maria piatusa sarvari nni voli,
Maria ca è la matri di duluri,
va nni V eternu Figghiu e si coi doli :
— Figghiu, e fallu tu pri lu me' amuri !
Sta Terra risblinnia comu V aurori
china di paci, di gioja e d' amuri,
sta forti dragunara Tassar tau,
scura e diserta e persa la lassau I
— Lu piccatu m' ofiìsi e profanau,
Matri, ca 1' haju ruttu la cuncòrdia.
-— Figghiu, la pena è summa e trabbuccau,
tu si' lu Patri di misiricòrdia.
E fallu pri tò Ma' chi ti purtau,
sia livata chista miniscòrdia ;
fallu pri chiddu latti eh' appruntai,
pri li peni e dulura chi pruvai ! —
La vuci di Maria è putenti assai,
lu summu Redenturi accunsintiu ;
r eterna Matri nun la sdici mai,
viva Maria ca nni redimiul
Maria d' 'u Rimiteddu è granni assai,
pr' Idda, tuttu lu Regnu 'un si pirdiu;
314 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
chistu vi dici un poviru viddanu :
cu' si vota a Maria, nun spera invanu.
Vu' cumpatiti a ^Nniria Albanu,
ca cci manca la littra e lu talentu;
nisciu sti parti e lu cori 'un è sanu,
battuta di la morti e lu spaventu :
e quali pò resìstiri cori umanu
cu la Morti chi meti a centu, a centu ?
La sacc* iu 1' orribuli me' pena,
mi livau li parenti sta culera!
A Diu r offrìsciu cu fidi sincera
tutti li chianti, li peni e l'affanni:
cci ponza Diu, cà la cosa è vera
ca vinniru di 1' omu sti malanni I
L'annata signu lagrimusa e fera,
milli ottucentu cu trentasett' anni;
a tutti uni strincìu d' amari lutti,
un chiovu 'ntra lu cori lassa a tutti !
(Borgetto),
Annotazioni e Riscontri.
A chi non è nota la tremenda e innarrivabile moria del 1837 in
Sicilia ? La sola città di Palermo fu priva, in tre mesi, di oltre a
sessantamila abitanti: la cifra reale è ignota, perchè quando il
cholera giunse a far piìi migliaja di vittime in un giorno, gli am-
monticchiati cadaveri si bruciarono senza contarli. Il fiore della
cittadinanza e degli ingegni siciliani soccombette al morbo fu-
nesto, e basti per tutti ricordare i sommi Scinà e Palmeri *•
* Consulta in proposilo : Biografie e Ritratti d' illustri Siciliani morti *"'
cholera Vanno 1837 (Palermo, 1838).
LA CULERA DI LU 1837. 315
La presente storia, stupenda per passione e vivaci e varie
immagini poetiche, è inapprezzabile documento delle idee e degli
irrori di quel tempo sul fatalissimo e nuovo morbo, idee ed
irrori che in Sicilia, come già in altre parti d'Europa, produs-
sero uccisioni e rivolte popolari, e che disgraziatamente ebbero
presa eziandio su le menti più elevate e più colte. Chi ha va-
ghezza di minuziosi particolari o degli speciosi argomenti su
cui questi falsi pensamenti reggevansi, ricorra all'importante
XDiario del penoso anno 1837, in continuazione degli Avvenimenti del
t-3 Luglio 1820 sino a tutto Dicembre 1836 di Giuseppe Lo Bianco
nativo di Palermo {li 4 Agosto 1783), che si trova ms. alla Co-
naunale palermitana, ai segni Qq. F. 164.
L'autore della poesia, Andrea Albano, fu un povero villico
<li Borgetto, dabben uomo e analfabeta affatto, ma d'ingegno
'^ivo, pieghevole, argutissimo. Improvvisava con facilità mara*
"tigliosa; e la sua canzona satirica, sempre pronta e inesorabile
per tutti, spesso archilochea, gli procacciava un rispetto insolito
^ra' suoi compagni di lavoro, che non amavano di rimanere
proverbiati in versi, che ottenevano sempre un successo popolare
incredibile. Menò vita di lavoro e di stenti non mai interrotti,
che si compi intorno al 1858. Era nato a' 5 febbraro I8I65 al
diciottesimo anno godea già rinomanza di poeta per una satira
contro Li zappunaredda ziti , poesia curiosa e incisiva , eh' io
serbo inedita. Fu grande novellatore ; e le tradizionali fiabe
acquistavano dal suo labbro un colorito , una movenza , una
vita, che lasciava ammirati. De* suoi canti, non mai scritti, si
leggono alcuni nella Raccolta mia, ai numeri 657 , 658 , 660,
690; altri, che n' ho racimolati dal popolo qua e là, attendono
la occasione propizia di venire alla luce. E curioso questo, che
la storia del cholera si attribuisca in Partinico al poeta popo-
lare Antonio Oliveri, inteso Giuranedda, morto circa al 1864,*
ma il nome dell'Albano, registrato alla fine di essa, oltre agli
accenni locali di fatti e cose di Borgetto , leva ogni dubbio
316 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
r
suir autore: al quale, del resto, udiva io stesso recitare nel
1854 la storia sua , in occasione del cholera nuovamente ve-
nuto a funestarci in quel!* anno.
La moria del 1837, come flagello nuovo e terribile, scos&e
profondamente gli animi ed eccitò la musa di tutt' 1 poeti popo-
lari siciliani: in Pitrè {Bibliot, cit., voi. II, nnm. 922, pag. 176 e
segg.] si legge \b, storia che ne compose il campagnolo Vincenzo
Celeste da Noto: il valente poeta palermitano, il chiodajolo Ste-
fano La Sala, ne forni una anch' esso, tuttora non pubblicata :
io ne conosco varie altre, di Partinico, di Palermo, di Sciacca,
di Catania, di Monte San Giuliano, e non sono certamente le
sole che si trovan diffuse nell* Isola: ho preferito a tutte quella
di Borgetto, dell'Albano, perchè di maggior merito e di mag-
giore importanza. Quella di Monte San Giuliano è una specia-
lità, perchè opera di una donna, una tale Rosaria Candela, che
viveva al 1872. in età di anni 60. Quella povera e buona mas-
saia, dettando al mio carissimo U. A. Amico, a cui io la debbo,
la sua poesia, gli diceva commossa: ** che a comporla, quand'era
giovane, ci avea messo affetto e fatica ! „ [ai ed avia CLllammie(Uu).
Eccone qui le ottave che offrono maggiore interesse:
Di Custanaci chiamamu a Maria *,
e fu chiamata a tutti li citati;
d' unni chi 'n passioui si maria
l'ha mittutu 'n guvernu e sanitati.
Lu vò' sapiri pirchì si muria ?
Quasi eh' èramu tutti rinjati.
Ringraziamu a sta matri Maria,
chi semu vivi pri la so buntati.
Tutti foru tirati a trascinuni
chiddi eh' eranu 'nfetti di culeri,
' Maria SS. detta di Custoaaci è la patrona di Monte S. Giuliano.
LA CULERA DI LU 1837. 317
cu' parti misi 'ntra la carruzzuni
e la quacina vicinu a li peri,
jittati *Dtra la rina a munzìdduni
marinara, mastranza e cavaleri:
e chiamama a Maria cu primuri
chi nn' ha scansata di ddi brutti peni.
Peni patera assa' li Trapanisi,
morsi gran quantitati di pirsuni;
a lu Munti li guardi^, su' misi
cu dilicenza di li suprajuri:
Maria di Gustunacì si cci misi,
£rmau li porti di li peni scurì
ed ha sarvatu tutti li paisi;
dunca viva Maria e Nostru Signari !
Ora, chi cujtaru li coleri,
s* hannu partutu li Santivitari *
tutti a piduni e scàusi di peri
pr' a la Matri di Dia ringraziar!:
nni mòrsiru vintiquattru tutti assemi,
eh' eranu 'nfetti di ddu brutta mali,
e chiamannu a Maria chi li manteni,
a un momentu V ha ghiutu a libirari.
Poi nun vi cuntu di Casteddamari
d' unni chi 'n passioni si muria;
ogni criatura si misi a prjari:
— E chiamamu la vergini Maria ! —
Eranu 'nfetti di ddu bruttu mali,
tempu di pustulenza e mortiria 2;
a un momentu V ha ghiutu a libirari,
lu 'nfettu è chiaja, lu 'nguentu è Maria.
ìantivitari, abitanti di Santo Vito del Capo.
Mortiria, s. f., mortalità pestilenziale, moria.
318 . LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Di li paisi ogniduDa fujìa
d' unni eh' era appigghiata la calerà,
e chiamannu la vergini Maria
chi li scanzassi di sta brutta pena,
cà pri tuttu lu munnu si dicia
chi 'n' atra qnatru comu chistu 'un ce' era *;
Munti, ti pò' chiamari munarchia,
si' pussidenti di sta trisurera.
Cu atera vuci ed abbumianti lena
prijera chi cci fìciru a Marsala!
Li gràzii cci V ha fattu a leta cera
chìsta Matri (li Dia, cu' la chiamava;
d' unni eh' era appigghiata la calerà,
agghicannu Maria, cci la tagghiava;
3Iarìa di Custunaci è trisurera,
facci pri terra ognunu si jittava.
Ogni frusteri a lu Munti acchianava *,
lu so santa viaggiu cci facia;
quannu ehi la prijera accuminzava
in ringraziamentu di Maria,
r Arcipreti 1' artaru apparicchiava
e cu -torci, splinnuri e lumarla ^;
ognunu lu prisenti cci purtava
e pri lu Munti cci lu cunnucia.
Ogni jornu fistinu si facia,
hannu acchianatu milli Parmitani *
ringraziannu a sta matri Maria
chi r ha libratu di ddu brutta mali.
^ QuatrUi il quadro di Maria di Custonaci.
* Frusteri, forestiere,
3 *Lumarìa., luminaria.
* Parmitani, Palermitani.
LA CULERA DI LU 1837. 319
Tcmpu di pustulenza e morti ria,
o Matrì santa, nn' aviti ajutari;
si nua era pri vui, raatri Maria,
fòramu tutti a li peni 'nfirnalì.
Li pulsi 'un li sacci u dichiurari,
chi è r efFettu *un sapiri li nomi,
Alcamu, Partinieu e Murriali
unni chi si muria cu passioni:
lu 'nfettu è ghiuntu, *un avianu chi fari,
chi nun ce' era cchih mammi né figghioli;
cu' chiamau a Maria nna stu chiffarl,
cci desi a tutti liberazioni.
Lu cchih purtentu fu pri li Muntisi,
nni morsi dicissetti a la citati;
praticaru ammucciuni Trapanisi,
s' apprufittaru di robbi 'nfittati:
mòrsiru certu, comu già si 'ntisi,
a lu Milanu sunnu vurvicati *,
mòrsiru 'nfetti pri li tristi 'mprisi,
pèrsiru la filici libìrtati.
Li capi d' 'a cita (cunsidirati !),
lu Sinnacu, chi era cchiìi maggiurì,
quannu chi vitti st' aggenti 'nfittati
siibitu nulligian lu carruzzuni ':
a lu Milanu foni traspurtati,
ognunu cci fa fari lu fussuni;
si 'un era pri Maria di majstati,
e lu Munti mire' patia duluri.
Oh quantu peni, suspiri e duluri ! •
a Maria santa si voli prijari;
^iianUi località ov' è il Camposanto.
^ulligiaUi noleggiò.
320 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
la vergini Maria cu tanta amuri
lu 'nfettn nni lu fici alluntanari:
hannu murutu li 'nfìttati suli
chi jeru Trapanisi a praticari:
e laudamu a Maria cu gran fri v uri,
a 'u nostru Munti 'un avanzau lu mali.
Ch* èsti matri di Diu cilistiali *
e pri lu munnu si chiama avucata,
chi li gràzii so^ 'un ponnu mancari
chièsti matri divina 'mmaculata:
a lu so Figghiu l'ha ghiutu a prjari,
Maria di Gustunaci 'lluminata:
— Figghiu, oh quantu gràzii hèmu a fari * ,
li vogghiu sarvi, cà m' hannu chiamata. —
E pri lu munnu ha ghiutu la 'mmasciata
chi nn' ha sarvatu sta matri Maria;
unni ce' era la morti priparata,
chiamannu ad Idda, sùbitu abbattia:
a la bedda cita di V Alleata
ce' era sta pesti tinibrusa e ria,
Maria di Custunaci fu chiamuta,
un Muntisi la 'mmàgini un' avia.
Lu 'nfettu junci a la Pantiddaria
dunni ce' era Muntisi 'siliati ^ ,
chiamannu la gran vergini Maria
chi li scansassi di sta morti sgrati,
lu 'nfettu passa, abbatti la murìa;
comu, facci pri terra 'un vi jittati
sintennu li purtenti di Maria,
chi. nn' arristaru tutti spavintati ?
* L'esti, per è, è comunissimo nella provincia di Trapani.
' Hému, più comune hdmu, abbiamo.
■^ * 'Siliali, esiliati, conGnali.
LA CULERA DI LU 1837. 321
ju Papa a Roma, sua paternitati,
tennu sii partenti di Maria
utti li RumaDi su' infittati,
grano i 'nfettu abbàttiri 'an pati a,
la vùtatu a Maria di majstati
ìibitu abbattiu la morti ria;
ora ce' è 'na granni sanitati,
venerali stu vntu facia *.
apra st'otara lu cantu è finutu,
bu cu' è divotu di Maria !
ddimannu pirdunu arrisulutu
cJu la cunsunanti mi varia *:
t rgini Maria, dìinami ajutu
zaa* è lu fini di la morti mia!
di lu me' piccatu no' è alBnnutu,
iftorti e passioni chi patia.
pri la parti mia mi scusu ancora
bnl sta menti 'un è stata latina;
^' è mancanza d' accorcili palora ',
«du la cunsunanti 'un avvicina,
cci avia jutu a li stampigghi ancora * ,
^incu nni lu mastru di trutrina ^;
L i li fici vi lu dicu ora,
mata za* Rusaria Cannila.
'-« storia della Candela, come in quella dell'Albano
tutte le altre dianzi citate intorno al cb olerà, si ri-
^o/t. Generale degli Ordini religiosi.
cifi(t, s. f., Terso, rima. Varia^ varia, erra.
^\, qualche.
igghiy tabelle stampate da scuola, cartelloni con alfabeto; qui, preAo
CQole.
la, dottrina.
^g-j\Iarivo. — Leggende pop, sic, 21
i
\
322 LCGGEliNDC POPOLARI SICILIANE
pete la scena di Maria intercedente per il popolo presso il Fi-
gliuolo sdegnato, scena eh' io segnalai già a pag. 244 del pre
sente volume. Ma qui, ancora, veggiamo la poetessa ericina at:
trìbuire alla Madonna di Custonaci, patrona della nativa citt
e solo alla intercessione di Lei, la liberazione dell' Isola tut^
e perfino di Roma, dall' eccidio totale pel morbo: né divers
mente han fatto P Albano, che della grazia generale dà il m
rito alla sua Madonna del Romitello; il Celeste, che dice tatt
doversi al suo San Corrado; e gli altri ignoti cantori, che mi
gnificano sopra tutti le Madonne e ì Santi patroni del propri
comune. Santa Rosalia, vera e più universale soccorritrice d*
Siciliani nelle pestilenze, secondo la credenza, comparisce var
volte, in compagnia de' Santi patroni, innanzi a Dio; ma es8-s=;
speciale protettrice della sua Palermo, campeggia sovrana nel
leggende di questa città, sola ottenendo la cessazione della te
mentosa epidemia:
Rusulia, virginedda gluriusa,
cu cori vintu di la piatati
curri nni Gesù Crìstu primurusa
pri libirari sta so terra amata;
cu lì trizzi strizzati e lagrinàusa
a dda summa Majstà l' ha suppricata:
abbacò sta pidèmia turmintusa
sulu pri Rusulia nostra avucata.
E tutta la Sicilia è sarvata
pri grazia e putistà di Rusulia;
prjò a Gesù Cristu addulurata:
— summu Beni, fa' sta grazia a mia !
Palermitana iu cci sugnu nata,
oh Diu ! comu resisti l'arma mia ?
vidiri tanti morti pri la strata,
china la terra di tanta muria ! — ec.
LA CULERA DI LU 1837. 323
Il triste ricordo del cholera è rimuso iu più di una canzona
popolare: piacemi riportare la seguente inedita di Balestrate, la
eguale, conservando la erronea credenza del veleno sparso da
malvagità di uomini, finisce con una immagine sublimemente
poetica, pingendo il morbo indico come un uccellaccio di rapina
ohe da oltremare viene a devastare questi nostri campi fioriti:
Vuògghiu mnriri di *na muorti fiera,
basta eh' è muorti chi lu cielu manna,
cà quannu sientu diri .sta culera
triemu comu la fuògghia di la canna.
Non ce' è cchiìi la Sicilia com'jera;
lu Jhdici ha firmatu la cunnanna:
coma pusasti 'n mienzu sta ciurera,
aciddazzo rapinu di 'ddabbanna !
XLVII.
La dùdlci Jinnaru 1848.
A li dùdici jinnaru quarantottu
spinci' la testa ddu Palermu afSittu,
misi foca a la mina e fici bottu,
cu gròlia ha vinnicatu lu so grittu :
di vecchiu eh' era, accuinpariu picciottu,
spinci ]a manu cu lu piignu strittu,
lenta a Burbuni un putenti cazzotta :
— Tiniti, Majstà, vi V avia dittu I
Vi Tavia dittu cu la lingua sciota,
vi la pigghiastu pri 'na smafarata * ;
li dùdici jinnaru lu dinota
ca era pronta la grannuliata.
* *Smaf arata, s. f., fanfaronata. Accennasi alla famosa sfi'
lanciata al Borbone, designandogli il giorno e 1' ora del soli
vamento del popolo.
LU DUDICI JINNARU 1848. 325
Riali Majstà, vassa' lu nota *
ca stu jornu arristau scurunata * ;
fu tantu fera la botta sta vota,
ca vassa' già lu detti a la balata.
Ora la fazzu allegra la pisciata
misu a lu centru di la me^ funtana *,
cu la bannera mia tricculurata *
e 'n testa la curuna me' suvrana.
Li me' fìgghioli arrancaru la spata,
la Nazioni mia siciliana ;
ma cu cu' 1' hannu a fari sta tirata?
fujìu la truppa tua napulitana.
Li lìmmineddi cu li battimani,
dicennu : — Ad iddi ! — ficiru tirruri
a sti valenti to' Napulitani,
sti guapparusi mància-maccarruni '.
Nun cci putennu cu li paisani,
di notti si nni fujeru a 1' ammucciuni ;
hannu lassatu lu Gasteddammari,
e lu Palazzu e li so' bastiuni.
■• '^ViMaa^ {vo8sia\ vossignoria.
« ^Scurunatay scoronata, senza corona.
^ È celebre pel Samdda del Meli, la statua del Genio di Paler-
> in mezzo alla fontana della Piazza Fieravecchia; più celebre
renne per gli avvenimenti politici del 1848 e 1850, tantoché la
annia de' Borboni la tolse di posto e rinchiuse ne' magazzini
Ilo Spasimo. Il popolo, ritornato a libertà, nel 1860, la spri-
»nò e rimesse nell' antica Piazza, sopra inscritto piedistallo.
* ^Tricculurata^ a«ld., tricolorata.
•• Ouapparusif (da guappo)^ millantatori.
326 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Piddu Scurdatu cu lu so trummuni.
La Masa risei uiu e lu Miceli,
Tante, Carini, Di Bella e lu Brunu *
omini arditi e patriot ti veri,
cci hannu datu a la truppa un trantoluni *
pri fina din tra di li so' quarteri ;
cci hannu livatu scupetti e cannuni,
cci hannu lattu calar! li hanneri.
Mi scinninu li squatri a scheri a scbei^i
cu scupetti, pistoli e cutiddini.
Siciliani patriot ti veri
pri daii a Bumma la so trista fini.
Lu populu d'abbàsciu e cavaleri
cu tutti oniti li me' citatini :
— Viva Sicilia lihira e Don Buggeri • !
morti a Borbuni cu li so' sassini ! —
Puru a Più Nonu onuri si cci divi,
dd^omu 'nnimicu di la tirannia:
* Giuseppe Scordato, Giuseppe La Masa, Salvatore Miceli»
Angelo Tante, Giacinto Carini, Francesco Di Bella e Pasquale
Bruno furono tra' primi e più strenui campioni della rivola* i
zione. 11 La Masa e il Carini, uomini d' ingegno e cuore nobi-
lissimi e troppo noti perch' io ne parli, furon poi esuli e iodi
compagni di Garibaldi fra' Mille, e illustri per lunghi e ono- ;
rati servigi alla Italia. Il povero Carini, tenente Generale e Se-
natore, è morto pochi giorni fa in Roma (16 gennaro l880)i
tra il compianto di tutti. Al La Masa auguriamo lunga salute.
* Trantuluni, s. m., scossa, crollo.
^ Ruggiero Settimo, Presidente del Governo nazionale.
riali MaJsìJL T^esa' 'ir 2- ri^
ca Din s" ha 2z5si iìi ii jìSlTì: nii ?
Quantii lii^i 1- "z^-nrilr. ji:-' crii:;
guarda lìczrssci cid or' 4: ^ìii Ia tìi !
Smaccatu, dcurcmii r ser^a fniì.
scardali si la jo sii T«Ta ir.ìil
Sta Trira ha^ipi Ti:v:*ria g:»!:a *,
'ntra qca'.lra l>3tti £sa ^^^?r*^ :iriu ;
chiddi cai laa^ e la caraZliria ',
e lu treni: pcraDchi s" arrìrniu :
valenti cc'èran- pri 5;::iggniaji a
frbslàrìnii e sncazi 'n sazigu min ;
ma, sintennn la prima fra&taria.
lo cnraggin e la forza ccì n^urin.
Chissà è gìustn gicdizin di Din
pii vinnicari li me' >?nì e chianti;
Vialli prima fu chi s'altirriu %
ca vulia fari di spirtizzi tanti * !
di notti cu Di Maja si ani fuiìu *
e tutta la truppa so, ch'era bastanti;
* *Giidìaj add^ gioiosa, gìnlìa.
* ^Cafìuà, 8. m^ nome per dispregio dato alla £uiteria na*
ditana; Caotoecio, eoso.
' YiàXli , Pietro Vial , Mar^ciallo di campo Ctnaattdaaii^ l^
ippe borboniche in Palermo.
^ Spirtizzi tanti, prodezze maraTÌgliose.
' Di JlaJHj Lnigi De Hajo, Laogotenente d^l R<^ e Cowuui-
nte generale delle armi in Sicilia.
328 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
lu populu a r Olivuzza li battiu,
li campani sunàvanu fìs tanti *.
Gròlia nn'ha avutu cu tanta pradizza
lu dùdici jinnaru veramenti,
fu di stupiri la gran valintizza,
sùrgiri oniti tanti cummattenti.
Tutt* 'i paisi ce' è gran cuntintizza,
lu strudemu a Burbuni 'n tempu un nenti;
e Firdinannu nn'havi l'amarizza,
cci sgagghiau la Sicilia di li denti.
Tutta la genti prigàmulu a Dlu
stari tutti custanti, oniti e forti ;
nn* ha binidittu ddu gran Papa Più,
mancari nun pò cchiù la leta sorti.
Ddu malu Firdinannu già finiu,
Sicilia cci ha signatu la so sorti ' ;
vuci di populu, vuci di Diu :
— Viva la libirtà ! — sin' a la morti.
{Parco).
* Mancano qui cinque o sei stanze, che non ho potuto a^
se non guaste; narravano varj particolari del giorno 12 geni
e la morte di Pietro Omodei, primo a suggellare col suo
gue la vittoria de' Siciliani. 1 particolari cennati in questa, e
nelle altre ottave, sono storicamente accertati.
' Si accenna, pare, al celebre atto della decadenza dei
boni al trono di Sicilia, decretato dal Parlamento siciliar
Palermo addì 13 aprile 1848.
LU DUDICI JINNARU 1848. 329
Annotazioni e Riscontri.
mti , che celebrarono il glorioso ma sfortunato risorgi-
) del 1848, sorsero numerosi presso il popolo nostro, da
mo a Siracusa, da Messina a Trapani e Girgenti. Comuni
ta r Isola furono La Pahimmedda bianca e Li tri culuri'^
a, imitazione della notissima e popolarissima poesìa ita-
di Luigi Mercantini ; quella, originaria siciliana e di già
ta nella più volte menzionata Raccolta amplissima di canti
ari siciliani (cap. LVI, num. 5193, pag. 685). Impossibile
mettere insieme tutte le storie popolari, più o meno belle,
meno patriottiche, più o meno satiriche, che si cantarono
ì\ tempo fortunoso, che corse dal 12 gennaro 1848 al 15
io 1849, unitamente alle moltissime vernacole , semi-let-
e , che diedero incessante lavoro ai torchi siciliani : ma
Dtesse compire una simile raccolta, darebbe una copiosa
di documenti importantissimi e curiosissimi, che sparge-
rò nuova luce sui tempi, sugli uomini, sulle vicende, sulle
>ni di allora. Invito l'egregio mìo amico Dr. Giuseppe Lodi
scingersi a quest' impresa, lui, eh' ò tanto amoroso e accu-
sollettore di cose sicule e valente conoscitore di esse , e
;ome primo nucleo, può giovarsi della ricca collezione di
)e, che possiede, del 1848.
frammento d'una storia, che in bocca a cantatori di me-
fece il giro dell'Isola, è il seguente:
— Air armi ! All' armi ! — dìssiru
li dui Palermitani,
cu fazzuletta e sciàbuli
e poi cu battimani.
Di Porta Nova sbùccanu
Miceli e lu Scurdatu,
330
LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
riDciilaDu la truppa
di chiddu Re smaccata.
•:. t
V'
Talà chi la fa sèria,
ancora si fissla *!
Mischinu I 'un voli cèdiri,
Dun reggi cchiii, pazzìa.
Penza ddu beddu esercitu
di didici migghiara,
sbirri, centanni, ed àutri
spjuna a cintinara....
#
,:.<^
Un' altra storia, in tuono canzonatorio, cominciava col rivol-
gersi a Ferdinando II, che avea subita la sconfitta :
Firdinannu, Firdinannu,
dunni ti vinni stu malannu,
sta suUenni lignatuna
cu tant' omini e cannuna ?
Si la cridia so Majstà
ca la Sicilia cci jia ddà?....
In una terza poesia, di origine probabilissima letteraria, d
si presenta il Re Bomba che, disperato per la perdita della Si-
cilia e sfiduciato di riaverla per mezzi umani , chiama a con-
siglio il Diavolo, a cui narra l'onta patita e il discredito in
cui è caduto, massime dopo la perdita del Castello e de' bastioni:
— Onde (egli dice) io mi sento e tutti mi dicono che sono evirato;
e però la stessa mia moglie mi evita... — Il Diavolo lo sbircia
con ilarità egli risponde: — Ti buttarono sul lastrico? Ben ti
stia! perchè in Sicilia non regneranno mai re birbanti e scemi,
qual tu sei ! —
1 Si fissia, voce bassa e non pulita; sbraveggia. Si sottintende il soggetto, ck'è
il re Ferdinando.
LU DUDICI JINNARU 1848. 331
leggenda/che do nel testo al num. XLV^III, ci dice il misero
e le opinioni del tempo della guerra di invasione borbonica
li ultimi giorni di libertà siciliana. Sulla Vinuta di li Regii
'^mu lu 1849 si leggono due ottave presso il Pitrè [Bibl.
'oì, 11, num. 923, pag. 187) , che sotto apparente rassegna-
contengono la speranza e la minaccia della rivincita sul-
essore. Una canzona bellissima, che corse allora, mi piace
conoscere ai lettori, non essendo venuta in luce fin qui:
Chi pena chi mi punci lu me' cori,
r àsparu cci turnau 'ntra lu jardinu * !
1* aceddi grossi pigghiaru lu volu *,
li nìchi l'ha 'ncappatu a lu so nidu.
La festft, chi spirava, nun la godu,
cà nn' he laudari a Diu si sugnu vivu :
e st' armalazzu, ca nun havi modu,
macari dintra nni sentu lu gridu !
[Partinico],
, le varie narrazioni in versi della rivoluzione del 1848, che
ro a stampa, cito la seguente, che corse assai diffusa per
a: Riasauntu pueticu di la Rivuluzioni di Palermu successa
jinnaru 1848, puisia di Antuninu Marotta (Palermo, stamp.
i, 1848). Dopo dodici anni (Pai., stamp. Spampinato, 1860),
yre la ristampava con l'aggiunta di un cuntinuannu sinu a
SO, e vi narra gli avvenimenti dalla restaurazione alla li-
ione completa della Sicilia, con le vittorie de' Garibaldini.
sparui àspide. Qui simboleggia il Tiranno.
gli uccelli grossi sono adombrati i capi della rivolusione, che, più compro-
al riedir deli' esecrato Borbone esularono.
XLVIII.
La Guerra di la 1849.
La guerra accuminzà' a lu quarantottii,
lustru cchiù la Sicilia nun s'ha vistu :
ogni passu di via 'n* òminu mortu \
senza nicissità si fa delittu:
fari nun si putia nulla rapportu,
ognunu caminava a so caprìcciu.
Li Principi uni ficiru sta tortu,
mìsiru la Sicilia 'n pricipìziu:
mmalirittu sarà lu quarantotti!,
e chiiromu ca s' havi suttascrittu I
Nni scarzarànu tutti li nimici \
V omini 'nfami e li maleducati :
' *Ominu, uomo.
^ Scarzarànu, della parlata; scarcerarono.
LA GUERRA DI LU 1849. 333
nun vi cririti ca beni si fici,
chi troppu farsi fóru li pinzati:
a nui lu quarantottu mali fìci
chi r omini dabbeni su' 'ngustiati.
Villarosa cci dissi a lu Cunsigghiu *:
— Chista liti pri nui sarà un mitràgghiu ',
nni vinni a la Sicilia stu ripigghiu *,
e certu chi pri nui pigghiamu sbàgghiu. —
Navarra cci dicia : — Nun damu scossi :
li forzi di Sicilia sunnu bassi;
e damu accura nun jimu a la morti *,
fìniscinu pri nui li jochi e spassi. —
Catòlica dicia : — Sparati forti I —
Comu 'na sarda a mari s' arribbatti :
— Curàggiu, nun timimu cchiù la morti,
r awisu s'ha a mannari a tutti parti. —
Sèttimu cci dicia : — Vincemu forsi !
li Siciliani su' troppu riversi:
ma si la vinciremu, è la gran sorti;
^n Sicilia fìdiltati nun cci nn' esti. —
* Villarosa: il Principe di ViUarosa. Più sotto sono nomi-
,ti altri Magnati siciliani, eh' ebbero tanta parte negli avveni-
enti politici d' allora, cioè il Navarra, il Cattòlica, il Settimo,
San Marco.
* ^Mitràgghiu, s. m., lo stesso che Mitràgghia, mitraglia.
3 Miptgghiuj la invasione borbonica per ripigliar V Isola.
* Jlmu^ andiamo.
\
*SM LEGGENDA POPOLARI SICILIANB
San Marcu cci dicia : — Dìibitu forti;
nuii li facemu mi' chisti i)rutesti :
pinzàmucci; lu Re, eh' è veru forti,
ca e' un picuni nni rumpi li testi :
mancari ch'hàmu avutu nu' àutri ddotti*^
. Sicilia ristirà 'ntra tantu eccessu *. —
(Bronte),
Annotazioni e Riscontri.
La storia è un po' irregolare e noa intera; ma è viva y^
delle contradicentisi opinioui e della coafusione che re^
in quegli aneliti estremi della libertà siciliana nel ver
1849. Autore della poesia è il contadino Ignazio Salnitrr
tivo di Bronte e dimorante in Resuttano; a lui apparte
altresì La ViwUa di li Regii a Palermu lu 1849 e V -^
timpeata di Missina^ stampate dal Pitrè nella cit. Bihl.^ ^
num. 923 e 925, pag. 187 e 189 e segg.
* *Mancari<, s. m., mancamento, torto.
* *RÌ8tirh^ rimarrà vinta, soccomberà.
XLIX.
La quattru Aprili 1860.
iopp' ùnnici anni di gran tirannia
^ Burbuni tiranni crudili,
'icilia era junta a l' agunia,
•cchiava sutta li catini *:
Onti suspirava e cchiìi 'un riggia ;
'i^-mu si chiamò li so' fidili :
''ògghiu mi dati libirtati a mia,
>rza 'un manca, si ce' è lu vuliri !
• All' armi, all' armi pri lu quattru aprili,
Tu pri sangu nu' l' avemu a fari • 1 —
ilcinu l'amici e li vicini,
Icinu li frati e li cumpari :
'K^hìava, boccheggiava.
Kiàteudi: la rivoluzione.
336* LEr.GENDE POPOLARI StCILlANK
— All'Ordini cuteddi e cutiddini,
scapetti, baddi, prùvuli e lupari *;
sta setta impia Tavemu a lìniri,
la Sicilia ravemu a ILbbirari. —
Palermu pari un mari ca ce' è carma,
• la carma chi a marusu dipo' sbumma *;
lu populu 'n sigretu si va arma,
di ura in lira nni crisci la chiarina.
Sbirri e sarda ti, ca cci trema l' arma,
di li 'ncantini nèscina li bumma •;
fìlianu a squatruni pr'ogni banna,
sempri batti tammara e tocca tramma.
E tocca tramma, puzzati scattari !
nni rùmpina la sonnu di la notti :
un galantomu 'un pò cchiù caminari
ca rhavi supra comu cani corsi.
Chi mala vita, chi mala campari;
cu^ sapi si d umani sema morti ? I
sti carugnuna, àutru nun ponnu fari *,
pri li vii, vii nni dùnanu la morti.
La sorti veni, e pri nu' veni bona ;
veni lu focu pri la vostra rama :
* Lupari, sorta di muDÌzione di pallini grossi quanto un
proprj per uccidere i lupi (d'onde il nome).
* ^Sbumma^ sfoga, scoppia.
^ * ^Xcanthiìj propriamente cantine, ma qui magazzini d
nizione da guerra. Bumma^ plur., bombe.
* Carvgnuìia, vili, codardi.
LU QUATTRU APRILI 1860. 337
<;a ce' è a la Gància, oc' è cu' vi li sona,
senti ca spara, senti ca ti chiama.
— Viva la libirtà 1 nisciti fora I
tutti li sbirri ardèmucci la lana! —
Air armi, all' armi ìa, campana sona,
tuttu a la Gància In populu chiama.
E quannu all'armi la campana chiama,
s' arribbedda lu populu 'n Sicilia ;
pri tutti banni nni curri la fama,
e li squatri nni vennu a mìlia a mllia.
Fora, picciotti, cu la vostra lama,
la cutiddina chi fa tirribbilia;
pr'aviri libirtà la genti abbrama,
viva la libirtà di la Sicilia!
A centumilia surdati e sbirràgghia
cùrrinu tutti, e la cosa si 'mbrògghia;
cumenza lu cannuni e la mitràgghia
e trèmanu li mura comu fògghia.
Risu, cu l'àutri pocu, a la battàgghia *
stannu cu cori fermu comu scògghia;
trèmanu li surdati comu pàgghia
e la campana-air armi cchiù li 'mbrògghia.
Chi dògghia amara, ca lu suli è fora,
e nun putemu gràpiri purtuna !
* JSisu, cu ràz^rijpocu: il fontaniere Francesco Riso, r animoso
)0 deir infelice tentativo del 4 aprile alla Gància. Vedi Anno-
'ioni e Riscontri.
3AijOaiON£-MARiNo. — Leggende pop, sic, 22
338 LEGGENDE POPOLARI SiaUANE
crisci lu focu e li surdati ancora,
e nuddu, ajutu a ddi valenti duna :
air armi, all' armi la campana sona,
ma pari chi sunassi cu sfurtuna;
li Taschittara cummàttinu fora \
e nu' statu d' assèdiu e curduna !
Furtuna ! fammi vinciri stu puntu :
di tanti sbirri la testa vurria ;
a la tirata di V ultimu cuntu
su' la caciuni di la tirannia *.
Carugnuna, lu tempu uun è ghiuntu,
cà li cosi hanna a jiri pri so via ;
cci he jiri arre' cu la cuccarda *n frunti,
e tannu 'un cunta cchiù la vostra jinla '.
Com'era, supirò la Pulizia,
lu Baruni rf' 'u Càssam cacanti *:
* Taschittara: nome che fu dato alle spie borboniche, le quali
il quattro aprile 1S60 furono obbligate da' capi loro ad uscire
armati contro i rivoltosi, unitamente ai poliziotti e soldati) con
in testa il caschetto da birro. Dal detto caschetto (in siciliana
7iwc/i «,*.'!.•) nacque il loro nome.
* Caciunì. cagione, causa.
' Jimc. genìa.
* lìc.rone Ji^ C^ssal'o vuoto fu chiamato dal popolo il famosa
Direttore di Polizia Maniscalco, quando^ durante lo stato d'as-
soiìio ne* giorni che seguirono il 4 aprile, scendea pel deserto
Toledo ^(^V♦.'Crtrt.•' in carrozza, come trionfatore.
LV OUATTRU APRILI 1860. 339
forti Patri su' a la Vicaria \
àincia l' annittaru triunfanti *.
Lscalcu si misi in fantasia,
i^rò li battàgghi tutti quanti *;
si, ca ^nzirtau la giusta via,
Sarzana nni sunnu listanti *!
sbirri nni passjanu davanti
tutti nni talìanu ad occhi torti ;
atii chiusi e li strati vacanti,
^nunu sta cu dùbbiu di morti.
i?il lu quarantottu 'un fu bastanti?
L Pantanu scurdàstivu la sorti ' ?
ì a turnari lu tempu scuttanti %
ia vinnitta grida a vuoi forti I
forti. Patri, i Monaci del convento della Gàncìa.
ittaru, nettarono; ha qui doppio significato, cioè, sba-
) la Gància de' rivoltosi (patriotti e monaci) e fecero man
tutto ciò che vi si contenea, mettendo a ruba perfino
rredi e gli altari,
iscalco, per impedire i tradizionali rintocchi della cam-
ehiamava air armi i cittadini, dopo il 4 aprile fé to-
sequestrare ìuWì battagli delle campane di Palermo.
aita: il Generale Salzano, comandante le truppe bor-
n Sicilia.
nnasi alla inumana uccisione de' birri in Palermo al
la località del pubblico macello detta il Pantano. la-
'odio implacabile e alle fiere vendette sui birri, vedi
di li Sbirri a lu 1860, più innanzi, al num. LI.
tlanti, add., espiatorio.
340 leggende: popolari siciliane
Cu' morti e cu' limti li pigghiaru
li forti chi a la Gància cummatUanu,
ma la ribbillioni 'un l' astutaru,
viva supra li munti la vidiauu *.
Palermu spera, ma fa chiantu amaru,
ce' è li Judei chi lu fraggilllanu *;
e fraggillati I cà nun su^ luntanu
li jorna ca dipo' vi marturianu.
Li sènzii mi smaniauu, e lu sacc' eu
di quantu feli ce' è a lu cori miu :
sbirri e surdati fannu giubbileu,
ficilanu a 'nnuccenti comu Diu:
ma vinirà pri vui lu ciuciuleu • !
miatu cu^ tasta di ssu sangu riu !
e tannu 'n' àutra storia vi fazz' eu,
tannu palisirò lu nnomu miu.
(Palermo),
Annotazioni e Riscontri.
Questa e le seguenti narrazioni di fatti memorandi, acc
sotto i nostri occhi, non hanno bisogno di lunghe note. '
tocchi della campana della Gàncìa, neir alba del 4 aprile
* Vinta in Palermo , la rivoluzione fervea nell' interne
r Isola : i Palermitani vedevano confortate le loro speranz
fuochi, che miravano accesi ogni notte sulle circostanti moni
* *FraggiU\anu^ llagèllano.
^ ^GiuciuUu^ s. m., baruffa, serra-serra, ammazza-ammas
IO ormai edcbri e scea.Uf> :i im.',! il scruna dì -a.' òa
▼ella per la Sìdliau U arila«as.»r: JKT.-a.T'er* Fraacesiri Rùol
pò di qaei prodi che ^rjiL -r^nchriai: il 1-ir? saiL^vif &I ISU
r la libertà e imita «ifLI^i. ^eu/ia. . ,:ailii£ 5*7".!.^ i 3L:ir:« : Gri-
ppe CordoDe, Daauaso Fi* .ci * FnaiMSM 3l:.r-:re r»»rir*3Biij
n r armi in paga'sc 5e'"«tff-iai o 'r.i.Ti.irr:»ii»- ITaiiiw C" !f socia.
ietro Vassallo, MfieSbele FiiAr^ A ii .•«:>. C-if&r:- •jiiTacii Bfst?,
ioseppe TeresL Fra&«*:::- ^-kiilil ì -i. lCl»ii»i*a^ffi[3 Bario»?-
iborio Vallone, Si-^i^Ia Tri liiniii:. Oì-'-iìilì dianzi r^ e Cxu>
uieerì, arrestati alla Gàs^>;Li. ▼■iaiirs ftilac r«7i dietro £1 Ca-
ello, a' 13 a|inle. Gaija^"* 3>:«li * Ti.lzz*y PaSsf sl alTarrao
ale casse mart^a^I^•i■in^5•:;J*r•■L-•»a^^K*:I:a^a d*I C:aTen»,
qoasi monl»a'ii ^er f*ci* fir:-: ialTiiif ii^o eìi^a* dL^oa
abile e pericoloso *>»or*> ci *l^z.: cooolaa: *.
Intorno alla cattura de^ b^R^ri: ^<tL!e cam^a=.e.:- ri inaia da
Uìiscalco con V infelteiséiio z^z.i'x^'y «ii ic^ìl^re il :z.«zzo dì
pello ai liberali, corse elaa-i^s'Jsa fa •'^oei gior:: n=.^ ^«r^^ia:
arrei£« di /< Baiiòffj\i.z..'zz^ -il i^lt ^:l.\zj. Terrnin^va cosi:
E Maniscalea mi.^:
(o dormi o Tl^gbii. :■ ni- •:%
darrerì. la lerriM;:
battàgghÉa di !a G-^^-ria!
Ina satirica Storia di h BrJUcj^.^.i T^sac in luce, anch'essa
ID foglio Tolante. dop'> il ^ za^zziy.lì Mabotta, ziel cziato
i9tmniu ymeiicu, pag. ^. ncri^k :s doe onare 215 e ^IG""' la
ponia dei battagli, e dcee cLe I'&ier;no «i ridea del meschino
ed lente, perchè i patriot::.
anchi senxa battàgghi. a In camannn.
ca marteddi e co staogL: Suniraano.
iS Storia di luqmmltrM aprili. d^V^\ernìo, ore nair-:ie« sì dìl^
Sai 4 «prìle e mIU talTaziose de! BiTo«a e del Patti p«bK'<0 kk {tw«M«
rato il FroC S. Malato-Todabo, col citor>: La iacd irUi sa.'rvTTA vJt«^
t popolari; Pslenae, IKI, pag. f e s«g^.).
342 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
fase rapidamente per V Isola ed era notissima p
rivo di Garibaldi. Un* altra, suir argomento istes:
vano i Cantastorie; ho memoria soltanto di que
Canta chidd' ammirabili
orribili spaventa,
bisogna Palerma smòvisi
a sta gran tradimenta.
£ pri la Gància partina ;
la santa fa sgarrata :
sbirri e gennarmi arrivana,
la foca hann' attaccata.
Poviri Mònaci ! fora arristatì,
a la Casteddu fora partati,
a cansigghiu di gaerra li misira gi
L.
La Rivnlaxioni di la 1860.
Doppu lu milli e lu seculu ottavu,
r annu di lu sissanta s* avvirau
chi Franciscu secunnu arristau scavu,
la sua suvranità sj degradau.
Finu a li tempi di so Nannu avu *
nni prummlsiru tantu, e pò* nigau;
ora, ca fici Ija cu Più Nonu,
vitti lu lampu cu tuttu lu tronu.
Lu populu nn' abballa senza sonu
pirchi nni spera la so libirtati,
junci 'Aribaldi in maistà di tonu'
ed onta liei a tutti li surdati.
^ Ferdinando, IV di Napoli e III di Sicilia , e indi P delle
le Sicilie, che giurò e poi tolse la Costituzione siciliana.
* 'Arihaldi, Garibaldi.
344 ^ LEGGKNOE POPOLARI »1CILIANB
FrancischQddir è caduta di lu tronUy
tutti li so' Ministri sdirrubbati.
Comu sbarcaru li Piamuntisi,
hannu fattu triunfu ogni paisi.
'Aribaldi a lu Regnu cci prummisi
ricchizza, libirtà e tranqnillitati:
Franciscu li so' truppi 1' happi prisi
ed anchi un grossa uùmaru ammazzati:
Calataflmi, assa' nni foru occisi;
a Partinicu, forti stroppiati ':
ma era cosa ca avi'a locu,
sbinciàrisi facennu saccu e focu^
Lu Ginirali dava chistu vocu *
e camannava a li so' rigginienti:
— Comu jiti 'ncugnannu, a pocu a pocu
bruciati tuttu e nun lassati nenti;
dunni passati, attaccativi a focu,
lassati a tutti 'nlìlici e scuntenti. —
Una simuli cosa 'un la dicia
dda stissa Francia di gran tirannia • I
* Si accenna alla battaglia dì Calatafimi (15 maggio) e al i
cheggio e arsione di Partinico (16 magj^io), ove però i ba
glioni regii lasciarono 18 morti e parecchi prigioni.
^ ^Vocii, s. ra. (pili comunemente Voca, s. f.), spinta, ecc
mento. Generale di quella colonna, che combattè a Calatal
e arse Partinico, si sa, era il Laudi.
'"* Cenna alla tirannia angioina, rimasa proverbiale in Sìci
LA RIVOLUZIONI DI LU 1860< " * 346
Veni 'Aribaldi e la so cumpagaia^
eh' è chiddu chi la Tàlia ha diiìsu;
cu li so' piani e la so valintia,
lu 'nfernu l'ha riduttu nn paradisa.
D'allura, ogni popnlu dicia ^:
— Nui semu tutti cu Tarma suspisu. —
Doppu, si vitti ca st' Omu di ^ncegnu
a quattru corpa trasiu ^nta lu Regnu.
'Aribaldi ha statu lu sustegnu
contra la tirannia di li Barbona,
omu di spirienza e omu degnu
ca pri lu munnu la so vuci sona.
Lu populu a Franciscu T havi a sdegnu
pirchi la so cunnutta 'un era bona;
la cosa era veru mala misa,
vinnia li so' vassalli a spacca-e-pisa.
Appena cci lassava la cammisa
e l'occhi sulu quanta lagrimava;
un poviru, chi stava quantu pisa %
'un pagannu li tàsci, V abbruciava *:
anchi nn' avìamu la pirsuna offisa
quannu unn, a li tanti, si lagnava*:
* *D'oWtiro, da principio.
* * Stari quantu pisa, possedere solo tanto, quanto basti a non
orìr di fame. •
' Tàsci, tasse. *Abhruciari, v. a., ridnrre al nulla con pro-
dimenti fiscali, pegnoramenti, ec.
^ A li tantiy modo avv., qualche volta, dì quando in quando.
346 LEGGENDi: POPOLAHI SICILIANE
èramu siUtamisi for tementi
di stu 'iifami tirannu priputentL
Ma ora cci pinzau rOnniputenti
e di lu celu mannaii lu riparu:
comu vinni 'Aribaldi lu valenti,
li truppi di Barboni s'appagnaru;
cu' pigghia a lu livanti e cu' a punenti,
cu' si petti sarvari, si sarvaru;
pirchì ognunu dicia: — Peddi pri peddi,
mègghiu la sua ca di li puvireddi. —
Vidiavu ad ogni cruci di vaneddi
li poviri chi ghìanu gridannu:
— Sti cafuna si fannu ricchi e beddi,
e nui lu pani jamu addisiannu M —
Tuttu lu munnu addivintau purteddi,
la quasanti stu Re tantu tirannu,
ca pri l'eccessu di la tirannia
persi lu Regnu e la paci ch'avia.
Franciscu tuttu chistu lu sapia
ca lu populu so fu angariatu,
e nun cci fari nudda curtisia,
nun cci fari nenimenu un attu gratul
Ora è caduta la so dinastia,
scutta lu tristu tempu eh' ha rignatu;
lu populu cci grida a vuci forti:
— Fora Barboni ! chi vaja a la morti I —
* Si allude al sacco fatto dai soldati borbonici in varj pj
deir Isola.
LA mVULUZIONI DI LU 1860. M7
Hiali Majstà, vùtau la sorti,
chiancemu anticchia pr' imu a la sbintura *;
li so* Ministri, ca parianu accorti,
cci hannu scavata la so sipurtura.
Nui nni pruvamu assaccuna di morti!
Majstà, ora viiini la so ura:
eu cci lassù sta muttu apprupriatu:
« Cu' troppu si lidau, s' asciau 'ngannatu. »
Ora ha trasutu lu gran pisci spatu,
chiddu ch'ha occisu tutta la tunnara;
lu pisci grossu lu nicu ha manciatu,
la petra si truzzau cu la quartara:
di facci, Majstà, cci l' ha pagatu * !
tirava se' ducati e fìci zara!
Ora gridamu tutti iu unioni:
— Vivala Tàlia e la Custituzioni ! —
genti chi guditi opinioni,
vògghiu eh' esaminati sLu trattatu:
'nla quattru jorna, e nun è finzioni,
tuttu lu Reguu he vistu arrivùtatu;
ogni valenti a la guerra s'esponi
pr' assicurari lu gran risultata,
e Pepe cu la sua pussenti armata •
l'ha avutu bona la grannuliata.
* Antiochia, an poco, un tantino.
* Di facci,.. V ha pagata^ ha pagato il fio, ha perduto tutto.
* Pepè^ nome di uno scimunito, rimaso proverbiale in Paler-
[> e in molti paesi di Sicilia, tantoché oggi si adopra Pepe
348 LEGGENDE POPOIAttI SICILIANE
Sicutannu la guerra sparaggiata,
'Aribaldi nni fu pirsicutatu ;
cci liei a Boscu 'na vota-canciata *,
trasiu 'n Palermu e si nn' ha 'mpusissatu :
fu tutta la citati barricata
pirchì 'Aribaldi st' ordini V ha datu ;
comu a Porta di Tèrmini trasiu,
la truppa di Franciscu s'attirriu.
E quannu a lu Preturi arrisidiu *
cu tutti quanti li Piemuntìsi,
r omini di lu Regnu riuniu,
cà ce' era squatri di tanti paisi.
Cu tri ghiorna di focu la liniu;
cci foru chiddi morti e chiddi offisi;
po', comu tirminau lu muncibeddu ',
si pigghiau lu Palazzu e lu Casteddu.
invece dì loccn^ baggeo. Il nome di Pepe fu applicato nel 1859
a Francesco II di Napoli; e corse dì lui per tutta l'Isola que-
sta strofa canzonatoria:
Pepe nascin,
so niatri muriu:
si maritau,
so patri scattau;
si fici Re,
ristau Pepe !
* Boscu, il Colonnello Generale Bosco, mosso a inseguire Ga-
ribaldi verso Parco e Corleone. Vota-canrÀata, giravolta.
^ A lu Preturiy al Palazzo Pretorio o Municipale.
^ '-^Munciheddu^ il Mongibello. qui lia il semplice significato
*li fuoco, guerra con armi a fuoco.
\
LA RIVULUZJONI DI LU 1860. 349
Amara di Franciscu puvureddu,
e cu' cci la purtau ssa mala nova?
Ha statu 'Aribaldi lu marteddu,
ca niscìu 'n quinta e cci 'ncarcau li cMova :
cci ha purlatu li truppi a lu maccddu ;
ora lu vidi a chi puntu si trova :
Majstà, quann' è tempu di mal* ura,
cu' r havi, si la chianci la vintura.
'Aribaldi la forza s* assicura
e 'mbarca pri lu portu di Milazzu
cu varchi in quantitati e cu vapura,
omini cu li varvi e lu mustazzu ^
Ognunu si purtau la so armatura
pri dari a ddi cafuna lu strapazza:
chiddu chi cumminau lu Ginirali
paria di notti 'n' armata navali.
'Aribaldi suffriu li primi mali,
happi fatta 'na scossa a tradimenLu.
Doppu, arrancaru tutti li pugnali *,
curreru cu 'na fùria di ventu;
a lu cumannu di lu Ginirali •
si vitti 'ntra Milazzu un gran spaventu,
e dd' afflitti e mischini Milazzisi
cci ha fattu sacchiggiari lu paisi.
L' 'Aribaldini fidili e curtisi,
ubbidienti sutta lu cumannu;
• Uomini scelti tra' valorosi.
* Sottintendi i soldati borbonici.
3 Del Colonnello Generale Bosco.
S50 LEÌ6GEM>E POPOLAUl SICIUANE
e Caribaldi in tutti li so' 'mprìsi
sempri ha circatu di lu meaii danau:
DUO voli genti morti e mancu offisi,
fa li piani 'ncignusi e va 'ncugnannu,
e quannu V bari sutta la so spata
cci fa 'na sanguinusa scarricata.
Comu vitti la truppa rinculata,
eh' avia supra lu mari la erueera,
e tannu cafuddau 'na ciancunata
e fìci di surdati 'na tragera.
Avanti chi sunau la ritirala,
'Aribaldi spinciu la so bannera;
foru tanti li morti e li lìruti,
ca a Milazzu ristaru seuraggiuti.
Cc'eranu tanti di li ritinuti *,
li Principi e li Nobili 'migrati,
li squatri di lu Regnu risoluti,
chi ghianu tutti contra li surdati.
Franciscu cci ha appizzatu la saluti
sintennu sti scunfìtti scunsulati :
stu muunu parti è a risu, parti a lutti,
Majstà, 'na vota pr^omu, tocca a tutti.
Majstà, pri sta vota si V agghiutti,
voli fari di Diu la vuluntati !
cà li Siciliani uniti tutti
gridanu forti : — Viva 'a libirtati ! —
* '"^'Ritinutiy detenuti. Qui si intende de' già detenuti sotto »'
Borbone, messi in libertà con le vittorie di Garibaldi.
LA RIVULUZIONl DI LV 186Q. 351
Nun cci sarannii cchiù ddi cosi brutti ;
nni ridiraimu tempi cchiù biati;
nu' vecchi nn'hàmii avutu danni e gnaj!
cu' campa ed è picciottu, godi assai.
Li danni di Barboni e feri guaj
scurdari nun si ponnu onninamenti,
Tabbusi e tirannii crudili assai
chi làgrimi sprimeru a tanti gentil
Din nni detti la grazia e cci arrivai
vidiri subbissàrilu 'ntra un nenti ;
li tri cuiuri a la bannera aviti,
Siciliani e Taliani uniti.
Cari fratelli, partiti, partiti,
marciati pri lu por tu di Missina,
facili forza qiiantu cchiù putiti,'
nun vi scantati di la culumbrina I
Marciati allegri e nun vi scuraggiti,
jiti azzai*dusi, faciti mina ;
ce' è Garibaldi eh' havi tanti menzi
e Tappròvanu tutti li Putenzi.
Franciscu ha avutu dùmila 'nclimenzi *
quantu nun cci ha pututu riparari;
nni sin tira la pena di li senzi *
lu Re putenti e riccu di dinari.
* ** N'climenzi, avversità.
* Cioè, diverrà pazzo.
352 LEGGlC.NDfi POPOLARI SICILIANE
Li populi jittàvanu sintenzi *,
jeru la Citatedda a 'ssidiari * :
'na parti di surdati si uni jeru,
e lu restu 'n Sicilia s' arriiineru.
S' ha vistu cu la prova, certu e veni,
li truppi di Franciscu s' appagnaru ;
cci foru ddi 'ntìlici chi mureru,
cu' cci potti scappari, cci scapparu :
a Tràpani, ca mancu si batteru ;
a Palermo e Milazzu s'attaccaru:
comu trasiu 'Aribaldi a Missina,
squagghiaru tutti comu l'acquazzina.
(Partinico).
Annotazioni e Riscontri.
Autore di questa poetica storia è Antonino Oliveri, sopran-
nominato Oiuranedday povero campagDUolo di Partinico, morto
vecchio circa al 1864. Compose molte canzone e storie, le piì^
di sacro argomento , che godono di molta popolarità : degno
di speciale nota ò Lu Tistamentu^ poesia affettuosa intessuta di
proverbj e composta poco innanzi eh' ei morisse, per istruzione
e avvertimento a' suoi figli.
Moltissime storie e canzone celebrarono la rivoluzione del
1860 e i suoi episodj : oltre a quelle che io stampo, ricordo L*
cnmmattimentu di Calatafimi^ Lu shàrchitu di Canibardi a Ucf
* Jitthvanu sintenzi^ imprecavano, maledivano.
* La Cittadella di Messina.
LA RIVULUZICNI DI LU 1860. 353
Eay Lu saccu e focu di Carini , Lu aaccu e focu di Partinicu ,
ft trastua di Canibardi a Palermu^ Lu bummardamerUu di Po"
*«tt< , La caduta di Franeischeddu , La acunfitta di Pepe, ecc.
e.) storie oggi ia gran parte dimenticate, ma allora diffuse
•pertatto dai Cantastorie. Altre molte, pure in vernacolo , ma
»ii di popolo , ne vennero a luce in fogli volanti , ed hanno
ch'esse speciale importanza. Nella mia raccolta di Canti po-
lari (nnm. 740 e 741, pag* 286-287) se ne leggono due intomo
la rivoluzione e alla venuta di Garibaldi ; altri due se ne tro-
no nella cit. ItaccóUa ampliaaima (cap. LVI, num. 5205, p. 686,
5245, p. 689). Uno stornello, inedito, ricorda la coccarda tri-
lore e la camicia rossa garibaldina di que' giorni lietiefortu-
si dell' està del 1860:
Giuri cncuzza!
£ ora l'amurì miu lesu mi passa
cu la cuccarda e la cammisa russa!
{Palermo).
>aLiOMONe-Mabivo. — Leggende pop, aie, 23
LI.
La finuta di U Sbirri a lu 1860.
Eranu misi tutti in alligria
li Sbirri tutti uniti e triuufanti
ed ognedunu gran festa facia
pirchl la 'nfamità passava avanti ^
Suggettu ogn'omu 'ntra la tirannia,
s' era giustu, passava pri birbanti,
ch'era patruna ccà la Pulizia,
lu Diretturi furmava rignanti.
Era birbanti assa' lu Diretturi,
'n pu litica facia dd' amur usanza ';
e Franciscu l'aveva pri tirruri
ca tinia la Sicilia 'n valanza;
* * 'Xfamit\ spionaggio. Più sotto, alla stanza 5, vale infw^
' 'y pulitieay per apparenza, per accortezza.
LA FINUTA DI LI SBIRRI A LU 1860. 355
cci dava gradi e ccì assignava onuri,
midagghi di valuri e di sustanza;
cu carta bianca, Nubiltà e Signuri ^,
a fari mali assa* cci detti anza.
Maniscalcu, unn' è Tanza e lu talentu?
Lu munnu ti traversa ad ogni cantu;
nun sempri dura, no, lu gudimentu,
lu tantu risu po' ritorna in chiantu.
La tò vita sarà lu stissu ventu,
a tutti arrivirà ddu Cristu San tu »;
furmavi gran tirruri e gran spaventu,
ed ora stai trimannu di lu scantul
Carreca, tu si' tantu trasfurmatu * I
'n Sicilia ti cridivi senza pam !
e quantu ossa a poviri ha' stuccatu
quannu sutta vinianu a lu tò scaru I
eh' eri Tignanti in Cummissariatu,
ti sintivi cchiù forti di Tazzaru:
lu Gelu lu so sdegnu t'ha mustratu,
la sintenza è di morti, ^un ce' è riparu.
Puntillu, lu succaru quannu davi
cu tanta 'nfamità, cu tantu abbusu,
' *8ignuri, s. m., Signoria.
' Cioè, a tatti arriverà Torà estrema in cui avremo a rispon-
e a Dio di ogni nostra colpa.
' Carreca, e Pontillo, Ferro, Sorrentino, Duchè, Denaro, Seri-
IO e Brano, notati piii sotto; nomi di celebri Birri, Ispettori e
nmissarj di Polizia al 1860, odiosissimi al popolo.
356 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
supra r umanità t'allianavi ',
o pezzu dì carogna e schiliusu I
Lu tempu quali vinni *un V aspittavi,
ti cridivi lu Celu essiri chiusu !
e chiddu tempu, quannu billiavi ',
ti cagiunau la morti e si' cunfusu.
Certu, nuu t'aspittavi stu marusu,
ti cridivi 'n Sicilia patruni ;
'nùtuli, surci, ora cerchi un pirtusu •,
cà nisceru li gatti di tirruri.
A tia, cu Tàutri surci, o schifiusu,
v'hàmu a tagghiari li testi e li curi;
fìniu lu tempu vostru putintusu *,
ora si grida : — Morti a li sbirruni 1 —
Spitturi Ferru, Piddu Surrintinu,
Duchè, Dinaru e Pitricchiu Scrivanu,
v'ha ghiunciutu di novu lu distinu,
v'aspetta ognunu cu lu ferru 'n manu.
E Cìcciu Brunu, lu gran malantrinu,
si cridia chi lu munnu fussi 'n chianu;
eh' èravu lecchi o puru misi a vinu ?
vi scurdàstivu forsi lu Pantanu ?
* T* allianavi, ti divertivi.
' Billiavi, godevi, ti facevi beUo.
' Sorci furono chiamati i birri, e indi anche tatti i borb(
e codini. Gattif per contrapposto, sono i liberali.
* '^PutinttMUj add., potente.
LA FINUTA DI LI SBIBRI A LU 1860. 357
Nisceru 'n chianu anchi li Taschittara,
tutti li suttirrànii spiuna;
ma su' ridutti cu la vucca amara
cà li baddi cci f Orman u curuna.
La sintenza nisclu cu lingua chiara:
«Ramii sigretu e classi di Sbirruna
«ccà cu festa 'n Palermu si cci spara,
« e accarpànnusi Sbirri, 'un si pirduna ».
Sbirruna, riuniti lu barattu ^
pri li vostri cajordi ora ce' è luttu:
oh* un ròtulu du' ra' la carni accattu *,
tantu lu Sbirru è porcu, vili e bruttu.
Pri li Sbirruna cu cori cummattu,
sta vili razza, mora senza fruttu;
di quantu 'niamità eh' aviti fattu,
la sintenza nisciu: «Sutta un cunnuttu * ».
(Palermo).
Annotazioni e Riscontri.
"Fierìssimo era nel popolo {di Palermo) V odio contro ì birri per
' i soprasi, li insulti e le torture sofferte: erano costoro mostri
" a viso unaano, che nel tormentare i loro simili deliziavansì,
* *Eiuniti lu barattu, fate camorra! qui detto ironicamente.
* -Dm' ra*, due grani (centes. 4).
' Cioè, la sentenza uscita per voi è questa: Morire scannati
Cromia fogna. E di fatto, parecchi birri al 18G0 furono sco-
perti e ammazzati entro acquidocci, ove cercavano di causare
''^fa e la vendetta del popolo in arnoi.
358 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
^ che di non aver pietà dayansi vanto, che la loro gloria ri*
** poneano nell' essere esecrati e temuti. Segno ali* odio di tatti,
** e alle vendette di molti, i birri combatteano nella rivolnzioBe
** come chi sa che combatte per la vita, imperocché il popoloot
** magnanimo co' soldati napolitani, che dicea nemici, inesontHk
* co' birri siciliani, che dicea traditori e carnefici della patria |.
Queste parole, che Giuseppe La Farina scrivea pel 1848 (/Mi
docum. della Rivoltusione sicil,^ cap. Il], ben possono ripetersi e
con pili ragione pel 1860: e il popolo siciliano, nei giorni che
seguirono il 27 maggio , disfogò l' ira e 1' odio con vendette
inumane e fiere : V autorità di Garibaldi impedì, però, che fi
venisse agli eccessi del 1848.
Nel luglio del 1860 in un foglio volante venne a stampa, col
titolo: La acunfiUa di li Sbirri, la presente storia, ma con uni
stanza di meno (la 6*} e con molte varianti, certo non preferibili
alla lezione eh' io ho raccolto dal popolo. Vi si legge, sotto, il
nome del poeta, un Pietro Quatrino; dubito forte però di que-
sta paternità, perchè la storia corse anonima prima che si stam-
passe, e perchè d' ordinario le storie politiche, e massime del
genere di questa, difficilmente portano nome d' autore. Un Fran-
cesco Quatrini, poeta popolare, viveva circa al 1842 in Palermo»
ed io posseggo una sua Storia di ** SuW onuri „ , stampata in un
foglio volante. Chi sa che a questo Quatrini, con nome sbagliato,
non toccò ad essere il padre putativo della Fìnuta di li Sbirrif
Al 1860 vennero ancora fuori sulT argomento, sempre info*
gli volanti, le seguenti storie poetiche semiietterarie: Palerw»
nun avrà cchiii Sbirri'^ Li Gatti niaceru e li Surci fujeru^ A Mtr
7iÌ8caZcu ed a tutta la Sbirragghia; La nova riginir azioni italiaM*
la morti di li Sbirri burbuniani, innudi requiem aterna alVinfi^t
ed altre che più non ricordo.
LII.
La Battàgghla di Milaxxu a la 1860.
Discurru non di primu e non di fini *,
cuntu di Caribardi lu talentu:
vicinu di Milazzu, o miu Carini ',
vintunu lugliii fu cummattimentu.
Ju comu ir haju 'ntisu su cuntentu,
fujeru settimila Napulitani;
riccuntari vi vògghiu hi talentu
di du' mila cincucentu Taliani.
E Caribardi, primu Generali
ca d'ogni guerra porta vincitòria,
^ He il principio, uh la fine delia guerra del 1860, ma una
la parte.
' Il Generale Giacinto Carini. Vedi Annotazioni e Biscontri,
360 LEGGENDB POPOLARI SIOLIAKE
cci ha jiutu 'n puppa a li Napulitani \
arristirà a sta munnu pri memoria.
Li Taliani pòrtanu vittoria
ccu tutti pari li Siciliani,
Gesù Cristu cci ha datu tanta glòria
di vinciri a sti rei Napulitani.
Mentri chi Boscu si duna di fari
e duna focu a lu forti cannuni,
intra di nui nni mintemu a parrari
di Caribardi e di lu so valuri.
Sintiti, ca vi cuntu li tinuri,
cà ju jera a Catania e lu 'ntisi,
partièru di Missina li 'nfamuni*
pri dittu di lu Cùnsulu francisi.
Ju allura livai V ànguru e mi misi *,
partii di Catania 'nta un mumentu,
a bista di Milazzu mi ji a misi,
pi bìdiri lu forti attaccamentu *.
Dora criditi Ju cummattimentu,
e Caribardi ca cci avia la sorti,
cummattèvanu cchiù forti di lu ventu,
e r haju vistu ju ccu li me' occhi '.
* *Jiri *n puppa, buggerare, danneggiare grandenaente.
• Li *nfamunii i soldati napolitani.
• *AngurUf s. m., àncora. Mi misi, mi messi in viaggio.
* * Attaccamentu, s. m., attacco, battaglia.
^ Mancano un 15 strofe, che il poeta stesso ha dimenticate.
LA BATTAGGHIA DI MILAZZU A LU 1860. 361
Lu Capitami vuleva turnari,
e Caribardi coi chiusi la strata;
lu so cavallu cci ha jiutu a pigghiari:
— Arrènniti, o arma scelerata I —
Lu Capitanu sfòdera la spala,
a Caribardi vuleva ammazzari;
ma Caribardi ca paria 'nua fata,
lu corpu si lu sappi arriparari.
Caribardi la sciàbula vùtari
fici 'nta un corpu comu la Giuditta,
e mortu 'n terra lu ilei cascari,
d' 'u Capitanu uni ilei minuitta.
Quattru surdali ccu 'i sciàbuli addritta
jèvanu centra di lu Generali;
ma Caribardi ccu la so listrizza ^
morti ddà 'n terra li liei cascar],
Qu osisi jera, e 'n'àutru Generali *,
manu a dui surdati cci jttàu;
morti pri terra li liei cascari,
lu cavaddu a lu terzu cci ammazzau *.
(Fieri).
* *LÌ8trizzaj 8. f., agilità, lestezza.
* Il Generale Cosenz {Quòsisi} e il Missori.
s MaocaDO parecchie altre quartine, nelle quali ìlpoeta de-
i veva " r attaccu *nta ^u cannitUj quannu, ce* un corpu di can-
lij di cinquanta nn* arristaru cincu , quattru firiti , e a Cari-
'di cci caacò la sola di la scarpa „ etc. etc.
362 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Aimotftsioiil e Riscontri.
Mario La Fata, villico analfabeta nato al Fieri (Etaa) al 1838,
è r autore di questa storia , eh' egli verseggiò in Catania in
luglio 1860, dopo aver sentito leggere una Corrispondenza d'im
Giornalista, diretta a Giacinto Carini, intorno alla battaglia di
Milazzo. Grazie al mio egregio amico G. Lodi, io ho sott* occhio
la Corripondenza, che fu dal La Fata messa in versi: La hatiaglia
di Milazzo: lettera di Alessandro Duicas ed Brigadiere Giaeifito
Carini^ Ispettor generale di Cavalleria (Palermo, Stamperia Meli;
in 4^ di pag, 4), e reca la data di ** Milazzo, Sabato 21 luglio
sera „. Confronta ancora, in proposito: La campagna di MUaau
nella Gueì-ra d* Italia dell* anno 1860, deteriUa dal bar, Giusxppk
Piaggia (Palermo, Tip. del Giornale Officiale, 18G0).
LUI.
Sangu lava sangu.
Lu portanu a la clèsia
supra lu catalettUy
li vrazza misi 'n cruci
'nta lu firutu pettu ^
Gei veni la Giustizia :
— Cui fu chi cci sparau ?
— Signuri, nun lu vittimu
cà sùbitu scappau. —
'N menzu la chiazza pubblica,
Tura di menzu jornu,
e nun T ha canusciutu
nuddu di lu cuntornu !
* Era costume, fino a qualche anno fa, di adagiare sai ca-
aletto i morti colle braccia incrociate sul petto.
364 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Lu mortu è cu li morti,
nun si nni parrà cchiui.
Ma ce* è cu' nun lu scòrdanu,
pustlanu a cu' fui * :
'n menzu la chiazza pubblica,
a menzu jornu a picu,
'n menzu a 'na guerra d'omini »
spàranu a Giusippicu.
— Gesù I chi beddu giuvini !
cui fu chi l'ammazzau?
— Va cèrcalu ! va tròvalu I
— Cu' sa' dunni pigghiau ! —
Gei veni la Giustizia,
ognunu fa lu mutu:
dici : — L' he vis tu fùjiri,'
ma nun Thè canusciutu. —
E nuddu cchiù nnl spianu,
passau pr' acqua di tempu *.
Ce' è 'n' àutru micidiu,
va puru cu lu ventu.
Lu sangu lava sangu,
nova minnitta veni *,
* Pustlanu a cu^ fui^ tengon la posta, fan Tagguato all' omicida.
* Una guen'a d* emini, un gran numero di persone : ho già
citato la frase simile di Dante: /' esercito molto {Tr\f,, XVIII, 28).
^ *Passari pri acqua di tempu, passare inosservato, come la
pioggia che viene nella stagione appropriata.
* Minnitta^ vendetta.
SANGU LAVA SANGU. 365
li casi s' aiTuinanu,
pèrdinu vita e beni.
Cu' pigghia pri li vòscura
facennu lu sbannutu
pri megghiu minnicàrisi
di lu 'nnimicu astutu :
cu' va 'n menzu di quìnnici
di carrubbini armati,
e vannu a càccia d'omini
fìnu dintra li casi.
Oh Diu I quantu vlduvl !
quant' òrfani cci sunnu !
qnaut' armiceddi in ària
girìanu lu munnu ^ I
E nuddu cci rimèddia?
E nuddu si fa avanti ?
'Ntra cincu misi appena,
su' morti centu e tanti I
Cci dormi la Giustizia,
cà la so forza è nenti
quannu nun sapi reggiri
lu frenu di li genti:
^ È credenza del volgo che le anime degli ammazzati restino
irovaghe per l'aere per tatto quel tempo che ancora aveano
compiere entro quel corpo, che animavano, secondochè in
ielo era prestabilito: compi a to il tempo, vannosene poi al loro
remio o castigo.
366 MMOGEam, roroLAU skbja^e
oci dormi la Giustizia,
cà tatti r orna fauna ' :
regna la pricipizìa,
ce' è sanga sapra sanga.
Cchiù sicarizza 'nn tròvana
li boni citatini;
niscenna, a tatti trèmana
li gammi ca li lini :
mscennUy a casa dicina :
— Prjati a Dia pri mia ;
ca' sa', si mi piscàssira
pri scància o bizzarrìa '! —
Figghioli, canvirtitivi,
prjati a Dia sapranu
chi a sto paisi misara
cci spincissi la manu •;
* *Fari V omu, avere omertà, tacere il delitto che si è visto o
saputo , e il nome del malfattore : uno de' canoni della màfi^t'
^ Dicesi ^Piscatu a scànciu, chi rimane colpito in cambio di
un altro, o per accidente o per isbaglio. Quanto al poter essere
colpiti per bizzarria, ì\ poeta avea forse in mente P esempio di
dae celebri assassini di un mezzo secolo addietro, i quali, pef
semplice capriccio, si davano il divertimento di uccidere un po-
vero cavallaro per far prova della precisione dei loro tiri , o
nn povero padre di famiglia per non tornare a casa con I>
carabina carica. £ questi feroci mostri, il cui nome non merita
ricordo, avcano effigie d* uomo, e sapeanu leggere e scrivere !
Spìnciri (o jisari) la manu a unti, perdonarlo.
^
SANGU LAVA SANGD. 367
prjàtilu, prjàtilu
chi lu salvassi allura :
cu' campa, havi chi vìdiri
si sècuta sta mar ura.
Dicu, pri cu' havi a nàsciri,
lu tempu sciliratu,
lu tempu sangunàriu
eh' a tutti ha ruinatu :
lu milli ed ottucenlu
cu l'annu sissantunu,
lu Celu chi nni libiri
a mia e ad ognidunu 1
( g* u/ »*< u# V
Annotazioni e Riscontri.
È nn triste bozzetto, questa poesia, che ci mette innanzi la
plorevolissima condizione delle lotte intestine per animosità
partiti e inimicizie di famiglie, nelle quali 1' odio e il desio
vendetta passano col latte ai figli e nepoti. Se non fosse
Biatorità del Governo, oggimai stabile, in quanti Comuni dei-
isola non s' avrebbe forse a ripetere l' arciverissima storia
1 Sangue lava sangue!
Confronta 1 Canti corsi del Tommaseo per le inimicizie e le
Q^ninose vendette private.
I
LIV.
La Guerra di la 1866.
L* annu sissantasel miU* ottucentu
Vittòria nni liei la chiamata U
« Ogni surdatu a lu so Riggimentu,
« punì li cuncidati ctii su' a casa. »
Cunsidirati chi beddu mumentu,
lassari la famigghia angustiata!
li matri, ca facìanu lamentu,
e pri li patri fu 'na cutiddata.
•Nni dicìanu :--Cori allegru! fati strata,
cà ora pri la Tàlia si cummattil
cu r Ostréci hàmu a fari 'na sbinciata ',
hàmu a ghiri a Vinèzia a chiddi partii —
* Vìttòriu, Re Vittorio Emanuele II.
^ *08tréci, Austriaci. *Sbinciatay vendetta, vendicazione.
LA GUERRA DI LU 1866. 369
Nn' accumpagnava a nui la musicata
e: — Viva! — uni dicìanu ad ogni parti:
nu' rhàmu fattu 'na bona marciata,
tri ghiorna di cuutinu a longhi tappi.
A menza notti s'happi ordinativa:
« Màrcia di cursa, oji ce' è battàgghia ».
Ddi tanti Ginirala a cummitiva
parraru, e dipo' ognunu si sparpàgghia.
Lu Gèniu e lu Trenu chi curriva
cu li cannuna parati a raitràgghia;
li Virsagghieri gridàvanu: — Evviva 1 —
currìanu di cursa a la battàgghia.
E cu' cci 'ngàgghia, amaru mischinul
tinta dda matri chi lu ligghiu cci havi!
Lu Trenu cannuniava di cuutinu,
àutru nun ce' era chi scupi Ltiari:
avia cu tri uri di matinu,
àutru nun ce' era, marciari e sparari;
arsi a lu suli, senz'acqua uè vinu,
cu lu pettu a li baddi avìamu a stari
Jàvanu e vinèvanu li Ginirali,
dicianu: — Avanti 1 facitivi onuri I —
E la Cavallaria riposu 'un un' havi,
curria a tutti banni cu valuri.
Li primi chi cadianu, Of&ziali;
di li surdati assa' mòrinu puru:
st' Ostréci, arrabbiati comu cani,
paràvanu e sparàvanu a fururi.
«
xomovb-Masiso. — Leggende pop, sic. 24
370 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Tanta la cunfusioni e V attirruri,
e la trumma ca mancu si sintia;
bummiava dda vucca di cannuni *,
truppa e cavaddi e àrvuli abbattia.
— Avanti! — cumannava lu Maggiuri;
quasi eh' è spersa la so cumpagnia;
li surdati cadianu abbuccuni,
ca mancu putìanu diri: — Gesù ! Maria I
'Na simuli traggera 'un si cridia;
ce' eranu tanti Riggimenti armati,
li Virsagghieri e la Cavallaria,
lu Trenu e Ginirala ammintuvati !
Viltòriu a lu campu puru jia
pri dàricci curaggiu a li surdati;
li proprii so' Figgili ddà Pavia
cu lu pettu a li baddi ssa jurnata.
Jurnata chissà fu sìngaliata,
vintiquattru di giugnu, San Giuvanni,
chi uni purlaru a la mala passata;
quantu nui mòrsiru flgghi di mammi !
Quannu dipo' sunau la ritirata,
li nostri mancamenti foru granni,
chi ristaru a lu campu e pri la strata
dda giuvintù 'ntra hi ciuri di 1' anni.
Assai foru li morti e li danni;
pri li fìruti jìanu li dutturi,
* ^Bummiava^ rimbombava, tuonava.
LA GUERRA DI LU 1866. 371
chi CU *nguenti e cu fasci a tutti banni
stagghiàvanu lu sangu e iu duluri.
La festa 'un rispittaru a San Giuvanni,
ca è gran Santu eh' è dignu d' oniiri *;
cu' lu prijau di cori a ddi malanni,
la vita nn'accanzau 'nta ddu fururi.
San Giuvanni, chi fu lu prutitturi,
mi detti a mia la sarvazioni;
la Matri di lu Ponti e lu Signuri *,
r he chiamatu cu lidi e divuzioni:
cu tanti scanti, priculi e duluri
su ccà, cu li me' genti in unioni *;
quannu penzu a ddu jornu di tirruri *,
tutti ddi morti li vju 'n visioni.
[Partinico).
Annotazioni e Riscontri.
Mi viene assicurato essere, la presente storia, fattura del vii-
se Giovanni Geraci da Partinico, il quale la compose al suo
torno in famiglia, finita la campagna del Veneto, ov'ei si trovò.
)n ho potuto avere altre notizie di lui: i versi raccolsi dalla
»cca d*un contadino, già suo compagno ne' lavori campestri.
* Dunque, il non rispettare la festa di San Giovanni fu causa
l doloroso disastro di quella giornata !
* La Madonna del Ponte è la patrona di Partinico.
' Ghnti^ i parenti, la famiglia (alla maniera latina).
* A quel terribile giorno del 24 giugno.
LV.
La Sicilia a lu 1866.
Oh chi m' abbinili lària
1' annu sissantasei I
La mula junciu a lu fùnnacu * ,
juncemu a li nuvei '.
lu, doppu tantu pàtiri,
lu juvu mi livai;
cuntenti ca era lìbbira,
cu un si mi maritai.
Sàcusu a quannu fui ' !
turnai a la catina.
* Junciu (o Arì'ivau) la mula a lu fùnnacu^ non si può andar
più in là, si è giunti al termiue, tutto è finito.
* *Juncemu a li nuveiy siam giunti air osso, siamo al verde.
* MaV abbia quel dì ! Fui, fu.
LA SICILIA A LU 1866. 373
— A terra I A terra ! — dissim
la razza marranchina :
e sùbbi tu mi scìppanu
la gulera e li circeddi,
la spatuzza d' argenta
e puru li me' aneddi;
lu man tu mi lu stràzzanu,
si pigghianu la vesta;
cu bastunati orrìbuli
di mia lìciru festa.
La genti chi mi vldinu
sta cammisedda sula:
— Cu' è st' amara fìmmina
chi va chiaucennu nuda ? —
E quannu po' mi vittiru
li carni 'nsangunati :
— Oh povira Sicilia 1 —
chianceru di pietati.
Riddutta a la limosina,
morta di friddu e fami,
la strata haju pri lettu,
quant' ha' eh' 'un vju pani !
Nun cchiù bedda Sicilia
grassa, valenti e leta ;
matri di fami e trivuli,
ognunu mi 'ncujeta.
374 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Ora, tutti mi nòcimi *;
mancu a ^na donna trista
cci vennu sti 'mpropèrii,
'na sorti comu chista !
Ddu spusu me' amabuli
ca mancu mi talia ;
cchiù nun mi guarda e veni,
cu àutri billia *.
Li ligghi me' auiurusi
cu iddu si r ha purtatu ;
r ha spersu a loca stràniu,
li brazza m' ha tagghiatu.
Luntanu, ddà, nun sèntinu
lu chiantu chi fazz' iu ;
cu' sa, la guerra barbara
quantu mi nni strudiu I
Li Re godinu a tavula,
lu cori so è cunteuti,
a zicchinetta jòcanu •
lu sangu di li genti.
Mi vùgghinu li sàngura
binchi dèbbuli tutta,
nun manca, no, lu spìritu
binchi la forza è rutta.
* Variante: La fnrca è i^ri la lìovirn.
* *Billìa, amoreggia. Autri, altre.
* Zicchinetta^ noto gioco a carte, rovinosissimo : a to]
LA SICILIA A LU 1866. 375
Dari 'na forti scossa :
ha' a vèniri ssu mumentu !
E comu si i^ò sòffriri
stii granai tradimentu ?
Su* tanti r angarìi * !
Fruttatu e funnuària *,
tàscia ricchizza mòbbili,
pòlisa strafaiaria * !
Li gran pezzi di dùdici *
vularu a chiddi parti;
gran cànciu chi mi dèttiru
cu sti galanti carti I
Lu tempu è fattu niuru,
vinniru arre' li lutti :
comu si pò resistiri?
hàmu a liniri tutti ?
Sentu friscura d'àriu,
lu celu è picurinu * ;
'nca ce' è spiranza, populi,
la burrasca è vicinu !
(Monreale)
^Angarìi, gravezze, imposte: nome rimasto de' tempi della
aazione angioina.
^Fruttatili canone, censo.
^ Pòlis a j s. f., dazio del macinato.
311 scudi d' argento da tari dodici (L. 5, 10).
Un proverbio dice : Celu picurinu, ai ^un chiavi oggi, chiovi
matinu (cielo a pecorelle, acqua a catinelle).
376
LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Annotazioni e Riscontri.
È questa la più discreta e pubblicabile delle storie, che cor*
sero presso una parte del popolo nel 1866, e massime in agodo
e settembre, rivelatrici di grave malcontento contro il Goveitt
dell'unità; malcontento fomentato allora da' borbonici, ebe
nelle novità cercavano alcun raggio di speranza, e secondato di
pochi forsennati, gente abjetta e malvagia e venduta. Qaette
storie precessero il sollevamento della plebe di Palermo nel
settembre 1866, e lo spiegano in parte. 11 vero popolo, che
le udì attonito allora e spaventato « le ha oggi quasi affatto
dimenticate; e questo T onora. Quella, che io pubblico, la do
come documento di giorni e di errori deplorevoli, che disgra*
ziatamentc non si possono cancellare dalla storia. Qualche
canzona, riferibile a quel tempo, si può leggere in 'Pnitt^Biìi
cit., voi. I, num. 575 e 576 (pag. 405-406) e neWa Raccolta m-
pliaaima cit., cap. LVI, num. 5206, 5207, 5208, 5209, 5217,5236,
5240 (pag. 686-68^): altre ne serbo inedite io.
LVI.
La SeUl-e-menza \
Lu vìttimu, lu pèrsimu di vista,
lu Setti-e-menzu durò veru picca,
ca mancu è bonu chi si nota a lista * !
Morsi affucatu comu gatta licca!
Gridàvanu : — Reprùbbica I — a la vista * ;
fu pri spngghiari la genti cchiìi ricca ;
cà nisciu *n menzu chidda razza trista
chi cu la robba d'àutru cci licca *.
* II sollevamento della plebe in Palermo al 186G, comìn-
^to a mezzo settembre e durato giusto sette giorni e mezzo, rì-
•^ette dal popolo il nome, ormai storico, di Settl-e-menzu. Vedi
^'notazioni e Riscontri,
^ Che neppar merita figurare nella serie dei sollevamenti bx-
ì«ni. Si noti la sottile ironia, che anima il cominciamento dì
lesta storia.
z A la vistOf apparentemente.
* Licea, fa all'amore.
378 LEGGENDE POPOLARI SICILUNB
A i)icca a picca vi vurra' cuntari
conformimenti tuttu lu tinuri;
li spezzacoddi misiru a 'ncugnari
di li Purrazzi 'mmeri li nov' uri * :
ddocu, vi cnntu, misiru a sparari,
pigghiaru lu fujutu li custuri •;
li porti aperti cci jeru a lassari,
e traseru 'n Palermu li bircuni.
Tutti li strati su' misi a rimuri
jurnata di duminica matinu ;
giranu fora chiddi Suprajuri *,
vannu appillanuu ogni citatinu.
La quasanti uni fui lu Custuri *,
jucau cu la prùli e lu cirinu ';
la morti di triccentu cria turi "
cci ha' a pisari a lu cori di cuntinu.
Li baddi chi chiuvìanu sicutivu "^
di tutti li vaneddi pari, pari.
* Purrazzi^ nota località al sud di Palermo.
* '*Custuri^ Questurini, Guardie di pubblica sicurezza.
3 Suprajuri, le Autorità municipali.
* ^Custuri, Questore: era allora il Pinna, d'infausta mei
^ Scherzò con la polvere da fuoco e i fiammiferi. *
polvere pirica.
® 1 militari uccisi ne* combattimenti della infausta setti
sommarono propriamente a 375, comprese le Guardie di
blica sicurezza.
' ^Sicutivu, avv.. di seguito, continuamente.
LU SETTI-E-xMENZU. 379
Lu Sinnacu, di veru citatinu \
jia appillannii la Guardia Naziunali :
li Granateri, misi di currivu,
cummattìanu di veri militari,
e forti a lu Prituri li vidivu
cu chiddi Bavarisi cumunali *.
Tutta la truppa a Palazzu Riali
pinzàvanu difèaniri la citati;
'n'àutra partita a lu Gasteddammari
ed a la Vicaria su* divisati *.
Li squatri si vidianu annavanzari *
e ghianu facennu barracati :
quann' un Carrubbineri jianu a 'bbistari,
cci tiravanu senza pietati.
Facìanu mina li carzarati
ca di la Vicaria nèsciri vonnu,
e li Mnrrialisi a scupittati
dda forti Vicaria gràpiri un ponnu.
* Era allora Sindaco di Palermo Antonio Starrabba Mar-
lese di Rudinì, ed è nota la bella parte eh* ei rappresentò in
le' giorni in favore dell* ordine e delle istituzioni.
* Le Guardie daziarie del Municipio di Palermo ebbero presso
popolo, fin dal 1860, il nome di Bavaresi, perchè rivestiti coi
olii uniformi lasciati qui da' soldati bavaresi al servizio del
>rbone, quando, per le vittorie di Garibaldi, imbarcarono. Esse
lardie, nel settembre 186t), ditesero il Palazzo Municipale
Vtturi) insieme ai Granatieri reali.
' *DivÌ8atii distribuiti, compartiti.
* Squatri, le bande armate de' rivoltosi.
380 LEGCOiNOK POPOLARI SICILIANE
Mali coi abbinai pr' essiri ostinati,
Miceli ddà cadiu, a ddu cuntornu,
cà tuttidui li gammi cci ba livati
'na badda di cannuni a capustornu ^
E Luttu 'ntornu li strati vugghianu
di chista genti mala e marrancbina,
e : — Viva la Reprùbbica I — dicianu
pri fari a li palazzi cchiù rapina.
Supra di li Batii si mittianu
sparannu sempri a la diavulina * ;
a li boni citatini Tattimanu,
sti sqnatri eranu echini di la rina.
Agghiurnannn lu mercuri matina
vinniru li vapura taliani,
vinni truppa di Napuli e Missina
pri dari centra, tutti, a sti scarani:
e ficiru 'na granni sparatina,
li granata abbiàvanu di mari:
lu vènniri cci dèttiru li pira *,
sparannu s^avanzau lu Ginirali *.
Iddu avanzau pri Palazzu Riali,
a r Alivuzza ficiru V attaccu;
* 11 famigerato monrealese Miceli, uno dei caporioni d
belli, ebbe tronche le gambe da un colpo di artiglieria
settembre , mentre tentava con forte squadra un assalt»
Grandi Prigioni. *il capustornu^ a traverso, di sbieco.
"^ A la diavulina^ senza posa e senz' ordine.
^ Diedero le batoste, le pesche (ai ribelli).
* Il Maggiore Generale Luigi Masi.
\
LU SETTI-E-MENZU. 381
li Birsagghieri a forza di sparar i
a ddi squatri cci dèttirii lu smaccu,
ca mancu si pò esprimiri e cuntari
la granni fùria di ddu ferii attaccu:
li citatini tutti a giubbilari,
la truppa, di ddi tristi nni fa maccu.
L'uitimu attaccu nun cci arrinisciu,
r hàppiru bona la vattuliata \
ognedunu, lu sàbbatu, fujiu,
Palermu salutò la paci grata.
Po', lu Cuvernu a tutti li cugghiu
e cci detti la junta ben furmata;
tuttu Palermu cci turno lu briu,
ogni famlgghia si vitti sarvata.
Ora viditi chi catapanata *
pri sta matta di latri marioli * !
fari guerra contru la nostra armata
comu si nun cci avissimu fìgghioli!
Quann'iu li vitti passari la strata,
nun happi àlica a diri dui paroli;
po', comu 'ntisi 'na Guardia sparata*,
di lu duluri mi mancò lu cori.
Sti crudi cori su' razza surcigna,
vonn' jiri spirtusannu macaseni
*VaUuliatai s. f., percossa, batosta.
Catapanata, avversità, disavventura.
Matta, quantità, massa, matta (Castiglione): spago, mata.
Un Guardia municipale ucciso.
\
382 LEGGGNUE POPOLAIU SICILIANA
e fari la ricóta e la vinnigna '
a li costi di r omini dabbeni:
ma lu tempii liniu di la gramigna *,
fìniu lu tempu vostru e cchiii nun veni,
cà lu sissanta a ssa razza mali«4;na
I
o'
r ha subbissata cu li so' banneri.
La Tàlia teni àuti li banneri,
r addifènninu tanti Ginirali
oniti a tanti patriotti veri
e cu li nostri truppi tantu bravi:
e ce' è chiddn re nostru Manueli
ca di li populi si fa rispittari;
lu tempu eh* è passatu cchiù nun veni,
la tirannia si jiu a vurvicari.
:n
\nnotazioni e Riscontri.
Questa istoria mi dettava, nel maggio del 1879, Vincenzo Dì
Giovanni, pizzicagnolo nato in Palermo al 1827, che n'era
autore. Uomo senza lettere , iia svelto, penetrante e vigoroso
l'ingegno, come aitante il corpo e sì florido, che a 52 anni non i
se gli potrebbero assegnarne che 30 appena. Di spiriti since-
ramente liberali, avea combattuto per la libertà al 1860; poi
* *Eicòtay s. f., il raccolto del grano in està.
^ Gramigna^ s. f., ha qui doppio significato: gramigna, noti
erba fresca, ingrassante, e furto con inganno, levaldina.
** Lu sissanta^ l'anno 1860.
LU SETTI-E-MENZU. 383
in famiglia, tra' cinque figli, al cotidiano lavoro. In
1866 fu vittima della ribellata bruzzaglia, poiché, vie-
3vette apprestare senza danari i suoi caci e salami
arrava con orrore la uccisione di un Guardia munì-
venuta in via Candelai, ov' egli teneva bottega: l'ac-
a storia poetica, alla stanza 11\
orosi avvenimenti del Setti-e-menzu ^ oltre alle Rela-
iali del Prefetto, del Sindaco, del Questore, dell' Arci-
ionsulta: Storia di sette giorni, ossia cenni storici degli
li seguiti a Palermo nel settembre 1866, Seconda edizione
A. Di Cristina, 1867): — Le sette giornate di Palermo
M. Amenta, 1866): — Vincenzo Maggiorani, Il solleva^
a plebe di Palermo e del Circondario nel settembre 1866
ediz. (Palermo Stamp. militare, 1869): — Giuseppe
;a«i di Palermo, cenni storici sugli avvenimenti di set'
S (Palermo, G. Priulla, 1866): — Giacomo Pagano, Av"
iel 1866: sette giorni d* insurrezione a Palermo; cause ,
li (Palermo, F. Lao, 1867), ec. ec.
( *
'"''>* ...'i
(
Hi
LVII.
Il' Jiblnica.
Guarda chi sorti d' èbbaca birbaati,
chi r omu nn' ha¥i tanti patimenti,
chi l' omu campa 'nta suspiri e acanti,
a lu sittanta 'nta milli spaventi *:
a Din 'un si cridi cchiù, mancu a li Santi,
Diu nn' arricivi tanti tradimenti:
cuntari coi lu vògghiu lu ristanti,
vògghiu chi stati accortu cu' mi senti.
Vidi 'a manu di Diu quant' è putenti,
sta attentu, grapi Tocchi, prutistanti •;
lu vidi ca d' assai si torna nenti,
nun siari fìlòsifu 'gnuranti ":
* A lu sittanta] al 1870.
' *PrutÌ8Canti, qui nel senso gener. di incredalo, irreligi(
^ /Start, essere. *FilÒ8Ìfuj filosofo.
l' èbbuca. 385
Napuliuni tantu priputeuli
cu li truppi soi troppu bastanti
ha purtatu a la morti tanti aggenti
e liniu 'ntra li càrciari scattanti *.
Si màrcia avanti senza cchiù tardari ;
ma tutti centra Diu su' li siqueli ' ?
pri la santa Fidi vuliri livari
la Tàlia spincìu li so' hanneri » :
lu focu a Roma cci jeru a 'ttaccari
li truppi, Birsagghieri e Granateri;
lu Papa santu vonnu discacciari
pri rubarci la chiesa e lu pinzeri.
Guarda li celi a Diu, la so putenza,
vidi ch'ha stata grossa ]a mancanza,
fari a lu Papa tanta ristimenza *,
vidi ca 'un campi cchiù, nesci di sprànza.
Vùtasti 'n facci a Diu cu viulenza?
Ma misi a trabbuccari la valanza :
miatu cu' ha' cu Diu la cunfìdenza,
a lu punta di morti oh quantu accanzai
* *ScuUantii add., espi ante.
* *Siqueliy iuseguimenti, persecuzioni.
' Superfluo avvertire, che questa idea spargevano nel popolo
giornali clericali ed i preti. Si accenna alla memoranda en-
ftta degli Italiani in Koma , il 20 settembre 1870.
* *RÌ8timenza^ s. f., aggressione e soverchieria. Forse, in o-
pne, la voce fu corruzione di Eistinnenza^ che è metatesi un
' guasta di JRisistenza.
Salomne-Màriko. — Leggende pop. sic, 25
386 leggkndr: popolari siciuane
S'avanza ognunu a parrari scurrettu:
ma tutti centra Din ficiru Tattu?
pri r omu cristianu è un gran difettu;
ora vi cuntu comu va lu fattu.
Di nùvuli spranatu e tempu nettu *,
di focu sangunusu fu ad un tra t tu :
iu populu ha pinzatu a lu Burgetlu
di nèsciri a Maria, lu so ritrattu.
Lu ritrattu di Diu jeru a pigghiari,
li làrmi cci arrivàvanu a li pedi,
chiantu ch^ 'un si putia cchiù cuntari,
li surdati chiancianu e lu Brjateri ^ :
lu focu, chi paria naturali,
paria chi cadissi di li celi I
Bonfardeci arricósi li dinari *,
la vuci cci assinnau e li so' liqueri *.
' Spranatu e spianatu, add., sgombro, libero, terso : S(
tendi il soggetto , eh* è il cielo. Si parla qui e nelle seg
stanze dell'aurora boreale, apparsa nella sera de' 25 ottobre
che destò tanto spavento nell* ignorante popolo e fu cred
detta castigo divino. Quel che accadde in Borgetto e Partini
che la poesia ricordi», accadde anche in molti altri comi
« *BrJateri, il Brigadiere de' Carabinieri Reali.
' Bonfardeci, Francesco Bonfardeci, de' militi a cavalh
morì poi ucciso da' briganti al 1873. Egli in quella sera
stuava denaro dal popolo piangente e atterrito giacche si
celebrare una festa votiva a Maria SS.
* *As8Ìnnau, spese, lasciò. *Liquera<i s. f., voce, loqueli
vale anche eloquenza e persuasione.
l' èbbuca. 387
Tutti un pinzeri si truvaru pronti
Taggenti a Partinicu tutti quanti;
li casti] di Diu vennu a lu spronti *,
lu focu chi paria ddà davanti :
la Vergini niscerii di lu Ponti,
rigina di li celi triunfanti;
di gràzii Maria nni teni un fonti,
imi scanza tirrimoti, [leni e scanti.
'Ntra mentri, arriva un surdatu birbanti
amicu di la setta puzzulenti,
un corpu detti a Maria prest' a V istanti
cu la so bajunetta Irapnncenti *.
Chiddu chi 'un cridi a Diu, inaucu a li Santi,
*n paradisu 'un cci vani certamenti • ;
pirdunàtilu Vui st'omu 'gnuranti,'
Higina di li celi risblennenti !
La sira fa l' aurora burlali ?
a mia mi pari un munnu a la riversa;
eu 'nta iu munnu 'un l'haju vistu mai
^nta r àriu, di notti, sta cuncressa *.
Cu' li casti] di Diu ^un vonnu aggrigari *,
'nca 'un lu viditi ca la Fidi è persa?
* •il lu spronti^ inaspettatamente, improvviso.
* ^Trapunctntiy add., pungentissima.
' Vàni^ paragoge, va.
* ^Cuncressa, s. f., confusione, disturbo atmosferico.
* * Aggrigari, v. a., credere : bella voce ; quasi aggregarsi ,
similarsi la fede.
388 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
La setta di Mazzini principali
'un ve' chi fa pinitenza Tanivei^sa ^
Dda sira stessa cci fu dd' ammuinu *,
tutti chiancennu d' ogni cristianu
vidiri focu a lu cela divinu,
la vergini Maria fu lu riparu :
prèdicanu li Parrini di cuntinu :
— Livamu lu picca tu di li manu !
Si sicutamu a lu malu caminu,
lu munnu si vidirà a cuntirranu * I —
Di li castij di Diu stamu parrannu,
nun sàcciu s*iddu pìgghiu un sbariuni;
'un fari tradimentu e mancu 'ngannu,
lu 'ngannu cadi pri lu 'ngannaturi.
Gr'm ca ogni omu pati dannu
cu^ si la pigghirà cu lu Patruni:
Roma si trova 'nta spaventu e fangu,
si trova divorata di iu ciuini *;
chi la me' meati si sta rammintannu
quannu Mosè battia cu Farauni.
La Prussia nn'avia troppu ragiuni
pirchi nni fu 'nvitata a lu duellu;
* ^Aniversa^ s. f., universo. Ecco un' opinione, che di M£
e seguaci ha il popolo minuto !
' Ammuinuy s. m., disordine, confusione.
^ *A cuntirranu, al suolo, minato affatto.
* Si tocca della inondazione di Roma, avvenuta negli u
giorni del decembre 1870.
l/ ÈBBUCA. 389
iddu cci curpau, Napuliuni,
passari tutti sutla ddu martellu.
La Prussia iiprau un gran cannuni,
chi quannu spara, pari Muncibellu ^;
la Francia lu pigghiau ssu truppicuni,
ch'ogni riccu è tiirnatu puvirellu.
Lu Cifaru ha tracciatu stu ribbellu •
pri livari la liggi cristiana,
e lu focu scappau di Muncibellu,
di sangu s'ha jincutu la ciumara;
la vita cci assinnau ogni puvirellu,
ognunu a fari focu si pripara;
lu 'Mperaturi persi lu cappellu,
scinniu centu scaluna di la scala.
(Borgetto),
Annotazioni e Riscontri.
La poesia, che ha scopo affatto morale, è incompleta, perchè
l'aatore, S. D^Arrigo, amareggiato da pene domestiche e fiaccato
da un lavoro continuo e sproporzionato alle forze ed alla età
8ae, non ha potuto condurla a fine e comprendervi, com' è suo
pensiero, gli ultimi avvenimenti, cioè, la morte di Vittorio Ema-
naele e di Pio Nono, la guerra d'oriente, i fieri attentati alia
* 11 cannone Krupp.
• *Traeciariy v. a., iustradare, avviare sulla traccia. *5i6-
bdlu, add., ambizioso: qui si intende di Napoleone.
390 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
vita de' varj Sovr.ìni «ì* Kuro|m, i Augelli delle inoDdazioni e
delia eruzione dell' Kt-na; codc luitc, che sono castighi di Di»
per % nostri peccati.
Salvatore D'Arrigo» alias Cardiddu (cardellino), è un povertl
villico nato in Horgotto a' 10 agosto 1819, basso, asciotts,
svelto, con due occhietti vivi e intelligenti, con una paroli
franca e vibrata. Ingegno penetrante e pieghevolissimo, il D'Ar-
rigo ha smania incessante dì apprender tutto, di conoscer tatto,
di provarsi a tutto, e in tutto riesce con abilità e franchezza
mirabili. Giardiniere, borgesCy murifabbro, minatore, carbonaio,
fornaciaio, potatore, fai legname, calzolajo, sarto. Io trovate
sempre lo stesso, sempre capace, sempre indefesso al lavoro; nel
quale, incredìbile ma vero, l'ho cotidianamente visto impiegare
16 ore, con soli due soldi dì pane e un sorso di vino, e poi an
piatto di pasta e legumi la sera. E questo a sessant' anni !
Poeta si manifestò fin da giovane; avrebbe forse atteso auche
alle lettere, e non dubito che sarebbe riuscito; ma il dover oc-
cupare tutto il di in penoso lavoro manuale per sostentare la
vita propria e della famìgliuola, non poteva certo permettergli
tanto: tuttavìa sa scarabocchiare la sua firma, meccanicamente,
perchè non conosce altre lettere che quelle componenti il nome
suo. Facile, incisivo, alquanto fiorito nel verseggiare, questi che
ho stampato non sono i migliori suoi versi, eli do come docu-
mento di storia e di idee popolari contemporanee. Posseggo di
Ini molte storie e canzone, le più sacre e morali; perch'egli,
come tutt' i poeti del popolo, è un credente sincero e fervoroso; il
che non ha tolto peraltro eh' e' componesse versi contro preti,
quand' ha visto che i loro atti eran tali che dal Vangelo «*. dalla
morale divergevano. Il D'Arrigo poeteggia la notte al buio, al
primo svegliarsi, innanzi di lasciar il letto per recarsi alla co-
tìdiana fatica: la domenica poi, o durante il campestre trava-
glio, ripete ai figli ed ai compagni le sue composizioni, che
vengono tosto imparate e diffuse.
Dì Salvatore D'Arrigo scrisse belle parole il Pitbè {Bibìiot.
l' èbbuca. 391
eit., voi. Ili, pag. 93-98): anch'io Tho più volte ricordato, e
nella Baronessa di Carini (pag. 31 e seg.) ed altrove.
Suir aurora boreale, meuzionata in questa JSpoea del D* Ar-
rigo, corsero varie altre storie, che duolmi non possedere: in
alcuni frammenti, raccolti in Balestrate, e' è questa ottava, che
▼aie la pena di far conoscere:
Lu fuocu jera pi tuttu lu cielu,
a raja, a raja ddu gran fuocu ardienti;
cu li jidita apierti a muodu fìeru
jera l:i manu di T Onnlputienti;
e picei riddi e granni s* attirrìeru,
si vitliru a 1' ultimi mumienti;
si Diu stringìa dda manu pi davieru,
tuttu lu munnu sfumava *ntr* òn nienti!
Lvm.
La morti di la Re e di la Papa.
Su' r arcani di Diu, su' àuti e granni,
arcani chi nesciunu li cumprenni;
manna la Morti a tutti lochi e banni
a bàttiri dda so spata trimenni *.
La Morti 'un vidi pìcciuli né granni,
nun li vidi li sorti e li vicenni:
statti fidili a Diu a tutti l'anni,
r ura 'un la sai di calari li tenni '.
Pirchi l'affenni tu lu Diu eternu ?
vi' ca putenti Din uni castija:
ogni chiamata so chi cadi 'ndernu,
lu piccatu cchiù sprùcchia e duminìa •.
* *Trimenni, ftdd., tremenda.
^ '^'Calavi li tenni, levar le tende, qui nel significato di partire
per V altra vita, morire.
^ * Sprùcchia^ cresce, invigorisce. * Duminìa^ domina.
LA MORTI DI LU RE E DI LU PAPA. 393
Cu' ce' era cchiù putenti a lu Cuvernu?
Vittòriu, di tanta viguria:
coi fici un gestu chiddu Diu supernu,
la Morti a quattru jorna lu cugghia.
Lu novi di jinnaru si vidia,
si vidia sta morti accussì feri \
a Roma stissa Vittòriu muria
ammenzu li Ministri e Cunsigghieri:
e spirannu, a lu Figghiu cci dicia:
— Ti lassù la curuna e li banneri.
Ora vògghiu annittari l'arma mia,
a Diu vògghiu, mentr' haju li me' liqueri. —
Di bonu re muriu Manueli;
Roma si misi lu nìuru mantu,
la Tàlia s'alluttàu li banneri,
di punta e punta liei luttu e chiantu:
missi eantali, e assèquii, e prijeri ',
e lu tàlamu riecu a àutu tantu »;
lu Sinnaeu eci jiu e li Birsagghieri,
tuttu lu Creru eu mìisiea e eantu *.
Lu tempu h searsu, 'un semu ricehi tantu ':
a Roma fannu eosi di stupir!;
* *Feri, add., fiera.
* ^Assequii, esequie.
' ^TàZamii, catafalco.
* *Creru, Clero.
* E però (sottintendi) non si potè fare cose degne, come l'oc-
sione meritava. Si vede da ciò ciie il poeta non narra che
lello che vide nel proprio Comunello.
394 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
mi cùntaau ce' e cosi di gran vantu,
un mulimentu ca si pò vidiri *.
Dia sapi *nzocchi fa, ddu Din santu,
ddu Dia chi ha* In munnu a so putiri;
un castellu, ca pari forti tantu,
'ntra un nenti hi riduci a casalini.
Si mori certu, e nun ce' è chi diri;
li Re su* puru di la earni umana;
Napuliuni di tantu putiri
finiu la vita sua a parti strana ';
Vittòriu a tanti Re liei liniri
pri fari la curuna taliana;
mentri a lu tronu so firmu si cridi,
la Morti a la 'n prèscia si lu chiama.
Li Re su' frenu di la forza umana,
*n vita la tennu a la Nazioni;
quannii veni la Morti e si li chiama,
r arma cci trema a li persuni boni,
cà d' ogni tempu ce' è la genti mala
chi sempri va circannu occasioni;
ora ce' è lu Re novu e nn' arripara,
prigamu a Diu e stamu in unioni.
durn cori, cci i)enzi a lu fini "?
miatu chiddu chi pronti si trova!
* *Mulimentu e '■^Munimeutti, monumento funebre, maas
e. si intende tanto di un catafalco, quanto d' un monument
polcralc di marmi.
* Può intendersi così di Napoleone il grande, come del Ni
LA MORTI DI LU RE E DI LU PAPA. 395
Eu Tavia finutu sti me' rimi,
li Fogghi nni purtaru trista nova ^:
la fera Morti calau cchiù crudili
ed a lu Papa s' ha pigghiatu ancora!
Abbattiu la culonna di la Fidi ',
ddu gran Papa Più Nonu ha mortu orai
Paci nim trova la cristianitati,
lu chiantn fa lavina a tutti banni,
e chiàncinu li Re e li Putintati,
chianci la Chiesa cu li nìuri panni.
Morsi hi Papa di gran santitati
ca Din cci vulia beni granni,
e chianci Roma e li Rumani grati,
sta morti fu lu curmu d' 'i malanni.
Quannu chi ce* era danni e travirsia
e Din la so manu nn' aggravava,
a lu san tu Papa si cci arricurria
e, facennu prijera, nni libbrava.
Beni lu vulia Diu e puru Maria,
tutta r umanità si cci 'ncrinava;
a pèrdilu, fu sorti trista e ria,
cu Più Nonu ognunu cci spirava.
L' nltimu tempu angustiatu stava,
'nchiusu, sirratu 'ntra ddu Vaticanu;
ma la binidizioni nni mannava
e cunsulava ogni cristianu.
* Li Fogghi, le Gazzette.
* *Ahbhttiri, V. intr., cadere, rovinare.
3M: JUEGGBNDB POPWARI SIGI144m^ a
Ddu Din etemn, isa tantu Taoiair^
ed avia datù uà putiri sopra amiuta;
chi di San Petra cchiù assai ^campava
pri gròlia di lu regnii cristiaàtk.
Niuru vinisti, ùnnici ìfrivaru.
annata sittant* óUu, mài* annata! '
portasti all'arma un vilenu araaru,
ogni Srma si senti scunsiilata.
Li granni gutti e peni V agghicaru *f
la vita cci raperu a 'na fiata;
certu la setta si nni cunsularù *,
ma gcMii 'n celu phidd' arma biata.
i ^
'J, ^
La menti mi la sentu cuntrastata.
cumpita chista storia varrà diri*;
ma la vuooi T he tantu amsuriggiaiay
sentu r assèquii e mi manca te diri.
Pinzàmucciy cmtianu> a la ,<:hijauiai4itay
ch'esèmpiu cchiii chiara vó' vidiri?
Po' manca V ara, a dda mala passata,
resta la pena e V eterna patiri.
{Montvlepré)
Annotazioni e KiscontrL
Soa lieto di poter chiudere la serie di queste leggend
una poesia, che lascia mesta ricordanza di un lutto nazi<
* *GtUla, 8. f., dolore, amarezza.
^ La setta, gli irreligiosi, i nemici del Papa.
' Vurrd, vorrei.
LA MORTI DI LU RE E DI LV PAPA. 397
infermando nel tempo ìstesso i tradizionali sentimenti mo-
'cbici e religiosi del popolo siciliano; il quale, con la legge-
za che può dare la poca conoscenza delle reali condizioni di
0, è stato dipinto da alcuno come rivoluzionario e socialista
nel midollo.
Questa istoria mi dettava una femminuccia Monteleprina, co-
composizione del suo compaesano Giovanni Troja, un povero
icciante, un vecchietto semplice e di antica pasta, poeta spon-
leo ed elegante e, non occorre dirlo, analfabeta affatto. Però,
ragonando questi con altri versi che ho del Troja, non mi
re che scaturiscano dalla vena ìstessa; e il dubbio m' è av-
lorato dalle affermazioni di amici miei di Montelepre, che
accertano non sapere il Troja autore della poesia in parola;
quale però non cessa di esserci graditissima e pregiatissima,
*chè leggiadra, sentita, importante, come tutte quelle di ori-
le schiettamente popolare.
)i storie poetiche popolari, venute in luce dopo la morte del
e del Papa, non conosco che le due stampate da A. Salanl
Firenze: Vita di Vittorio Emanuele Re di' Italia , con tutte le
ndi imprese da lui fatte per la nostra indipendenza italiana
rrata da Cesare Bartalini): — Vita di S, S, Papa Pio IK
osta in ottava rima da Luiai Grossi.
APPENDICE.
Le code, d' ogni specie e lunghezza, mi sono state sem-
pre antipatiche: e tuttavoita eccomi qui ad appiccarne
una al mio libro, al quale mi dorrebbe di doverla nie-
gare, visto che non può essa, avvegnaché coda, non cre-
scergli pregio è importanza; oltre di che viene a sup-
plirgli qualche lacuna e ad aggiungergli qualche fran-
gia, non certamente soverchia. La comportino, dunque,
anch'essi i Lettori, e trovi grazia, se non altro, polla
buona intenzione mia di offerir loro questo volume il
meno incompletamente che per me s'è potuto.
Il*
LIX.
Lu Farrineddu amàbull \
svinturati giuviui,
giuvini svinturati,
o vili, chi amati a fìmmimi,
la vita cci appczzati.
Ed io, pri mia disgrazia,
amati! 'un avia mai;
di chista bedda giuvina
io mi nni 'nnamurai.
Idda m' ha fattu cridiri
chi veru mi stimava,
eh' a mia m* avia di gèniu,
chi un' ura 'un abbintava.
Va collocata dopo la Leggenda di num. XIX.
àlomone-Marino. — Leggende pop, sic, 26
408 LEÓr.ENDE POPOLARI SIClLIilNB
L'amici a mia mi dissiru
di chista me* Signura
.chi un Parrineddu amabuli
cci avia la graa primura.
'Na sira fui risorta ^,
di strata cci passai;
la porta era suffitta*,
e chiusa la truvai.
Ddocu^ mi vinni sùspicu •:
dissi: — Chi cosa è chista ?
Bisogna d' ammticciàrimi
pri vidirmi sta vista. —
Ed io, cunsidiràtimi I
mentr* era ddà ammucciatu,
viu 'na vicchiazza nèsciri
e' un Parrineddu a latu.
Allura la spala sfòdaru
tuttu di ràbbia chinu; ^
ma nni la stissa ràbbia
pinzai eh' era Parrinu.
• *EÌ8ortUj risoluto.
* *Suffittay socchiusa, chiusa senza ferri. Una variante:
La porta *un era a sòlitu,
sìrrata la truvai,
^ Sìispicu, 6. m., sospetto.
LV PARRINEDDU AMABULI. 403
— Iddu chi curpa, misera?
La 'ngrata mi tradiu;
idda si r havi a chiànciri
tutlu lu sdegnu miu. —
Mi partu cu gran fùria,
la porta tuppuliu:
di la finestra affaccia,
si cala e mi grapiu.
Tutta muntata 'n mùtria
misi a chiacchiarìari,
cu ddi so* stissi chiàcchiari
a mia vulia 'mmallari ^
— Faci timi pri grazia,
dicìtìmi, Signura,
stu Parrineddu amabuli
chi vinni a fari a st' ura ?
Stu Parrineddu amabuli
ccà chi cci vinni a fari ?
Forsi chi vi vulistivu
di sira cunfissari?
— Chi Parrineddu amabuli ?
chi cosa mi diciti ?
Forsi chi siti stòlitu,
o puru 'un arriggiti ? —
* 'Mmallari, aggirare, imbrogliare (come avvolgere entro
balla).
iOI lbMbndb popouRt nctLtaoE
• A sti palori *mpròpiil *
tantu m'arrabbiai,
ca pri puru miràonlu
ddà stissu 'un l' ammazzaL
Gei dissi: — Catjùraissima M
a mia mi fa' la locca?— *
Idda s' arrassa sùbbitù
e 'na pistola scrocca.
— Si, ca è vera, crepati,
lu Preti l'hé trattari, "
sempri a trattaìtu sècùtù,
e mài l'hé lassarL ' ^^
Cà io cu tutti ròtìiìni,
cu tutti buffuniu:
iddi pri mia uni liibrtiiu,
ed io mancu li titi.
Lu Parrineddu amabuli
lu vògghiu beni assai;
tutti li siculara
nun su' fidili mai I
E tu la spata 'nfòdara,
prestu, nun cchiù tardari,
di oca vattinni sùbbitu
si vivu vó' ristari 1 —
* *Cajur dissima^ sozzissima, cìaltronaccia.
LU PARRINEDDU AMABULI. 405
svinturati giuvini,
amannu, chi spirati?
Li Parrineddi amabuli
suiinu r affurtunati.
Ed io v'awertu, giuvini
vinciuti di r amuri,
cchifi nun amati a fimmini,
su' tutti d* un tinuri.
(Palermo).
Annotazioni e Riscontri.
'ossiedo questa leggenda a stampa, in un foglio volante edito
Palermo al 1867; ma essa è anticay dice il popolo, il quale
recita più correttamente che non sia nella stampa e più eom-
Utmente, tanto in Palermo quanto nelP interno dell' Isola.
i *t' ; .,-,■'■ : ■ ^ . « - ; - - ì f
LX.
Tràpani uni te vma di lii 1718 \
Min Diu, dati nnfoizu a li me' canti,
fari stu disidèriu cunteutì,
si lu principia miu jirrissi avanti
senza nudda calbnia di nenti '.
Eternu Patri miu, divina amanti,
speru rajutii vostru sulamenti;
pri menzii d' 'a Rigina di li Santi
dàricci lu rinforza a la mia menti.
Veramenti cita ti pòi chiamari,
Tràpani, cita nobili e maggiari,
citati armata di terra e di mari,
chi la Vergini intatta t' è 'n fa vari;
' Va collocata dopo il num. XXXII. — Verrà, gaerra.
* ^Calnnia^ 8. f., qui, ostacolo, avversità.
TRAPANI NNI LA VERRÀ DI LU 1718. 407
si* veramenti sua e nun pò' mancari,
'un hai scantu di verri e di tirruri;
ora stu vantu ti lu pòi parlari
ca ce' è cu' t^ addifenni a tutti V uri.
Tutti r uri, cita, si' addifinnuta
di la Vergini 'ntatta immaculata
e pri lu menzu so nun si' caduta,
chi ti trovi custritta, circunnata *.
Maria lu tuttu ripara ed ajuta;
cita, di bona Matri si' guardata;
pri lu so santu amuri arridduciuta,
la divina giustizia era adirata.
Era adirata 'a divina giustizia,
cita, con tra di tia sdignata e sàzia;
tu, quantu chi si' china di malizia,
pecchi sbuccatamenti e perdi grazia.
Maria nni accummudau sta nimicizia,
prijau lu Figghiu so e nn'happi grazia:
si tu 'un avivi sta bedda amicizia,
citati, ch'era tinta la disgrazia!
disgrazia! ognunu ascu tiriti,
o ascutaturi, e comu 'un ascu tati ?
Li Re tra iddri dui facianu liti*
con tra di la Sicilia, saccia ti,
* *Cu8triUa, forzata: qui nel signif. di: stretta di assedio.
* Li Re; il re Vittorio Amedeo e il re Filippo V.
406 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
e foru tanti li sdegni siguiti,
foru riddutti mandari Tarmati;
e 'n Trapani trasln, comu sapiti,
ristrincioni di cavalli e surdati *.
Foru mannati se' mila pirsuni
di re Vittòriu, Duca di Torinu;
stavanu custrincennu un Gampiuni •*,
st' omu di verrà, vinnitta e sassinu •,
chi 'n Tràpani trasiu comu patruni,
era vinutu di longu caminu:
'rrivannu s'affirrau li bastiuni
pri stari accortu d'ogni citatinu.
Sennu in caminu dd' armata Riali ♦,
la prima fu Missina chi pigghiau,
jiu 'n Palermu leta e triunfali,
lu stinnardu di Spagna 'nnarbulau ^:
lu Munti cu Marsala foru avali*,
senza nuddu cummàttitu si dau ■^;
poi si dèsiru tutti li Casali,
Tràpani a re Vittòriu arristau.
^ ^Ristrincioni, s. f., ristrinzione, rinchiudimento.
* Sottint. il soggetto, eh' è: gii Spagnuoli. ^Ciistrincennu, strin-
gendo d'assedio. Il conte Campione, si sa, era il Comandante
dei Savojardi che si rinchiusero in Trapani.
' *Sassimt, s. m., assassinio.
* L'armata di Filippo V di Spagna.
* * ^Nnarhulari o *Annarbulari o *Annarv alari ^ inalberare.
** Avoli, uguali.
' ^Cammhltitu, s. m., combattimento. Si dau, si donò, si rese.
TRAPANI NNI LA VERRÀ DI LU 1718. 40^
— Si chiamau lu Priuri ali* àutri ali lira \
ogni Ministra e Sacerdoti ancora:
— Nui chi facemu di sta gran Signura ?
Mègghiu chi la livamu di ccà fora *,
chi di Tràpani è Matri e Protettura. —
Ognuna cunfìrmau la so palora:
— Sta cosa sarrà presta e 'un s' addimura,
chi lu Campu è partutu air ura d* ora *. —
E ora vi raccuntu a tutti quanti,
populu trapanisi ubbidienti,
chi veni la Rigina di li Santi,
chiddra eh* a tutti nni farà cun tenti:
Maria nn' astutirà li nostri chianti,
verrà, cu lu so ajutu, 'un sarà nenti:
si obbidìscinu loru navicanti,
purtari nun si fa di àutri geuti *.
Veramenti fu cosa di stupiri,
ti pregu, lingua mia, stu chiantu alleni*;
ricca di chiantu, lagrimi e suspiri,
Maria cu lu so ajutu nni manteni.
* Lu Priuvij il Priore del Convento della SS. Annunziata, ove
la famosa statua della Madonna di Trapani,
* Cioè, dal Convento, che ò fuori città, per condurla entro
testa a maggior sicurezza.
' Cioè, l'esercito spagnuolo è già in via per assediar Trapani.
* Per antica e costante tradizione, solo i marinari traspor-
lo il simulacro della Madonna di Trapani.
^ * Alleni, allenisci, acquieta.
410 LeGGENDE POPOLARI SICILIANE
Si noi 'sciu ogni persuna, e si pò diri
d* amari a Cui uni dùpplica lu beni,
e pri strati e pri via sintivu diri
chi la Matri di Diu 'n Tràpani veni.
Pinzati beni quannu la scinneru
a la beddra Maria di lu so artaru,
pirsuni granni e picciuli chianceru;
li so' amati campani V attaccaru.
Scinnuta, la cappella la chiuderu
e l'organi di dintra si scurdai»u;
chissu sulu vi dicu ed ò lu veru,
di Tràpani Maria sempr' è riparu.
L' artaru di Maria aduratu tantu
arristau senza nuddru apparamentu *,
li Mònaci ristaru in dolu e chiantu,
tutti murtifìcati a lu Cunventu.
E veni la Rigina d' ogni Sautu,
cunsidirati vui lu sintimentul
Tràpani, sulu tu porti stu vantu,
veni cu* ti manteni in sarvamentu.
'Ntra un mulimentu mìsiru a Maria *
dintra 'na càscia, supra di 'na vara;
la santa facci e lu coddu paria
di la Vergini 'ntatta e Matri cara:
* ^AjyparameìUu, s. i)\., paramento.
* '^Mulimentu, qui, corno ancora nella stanza 4* dopo qu
vale: carro trionfale.
TRAPANI NNI LA VERRÀ DI LU 1718. 411
'rrivaru tutti cu gran frattaria
cunformi la me' menti vi dichiara;
Tràpani, *un ti pigghiari fantasia *,
veni cu' t' addifenni e ti ripara.
ciumara di populu e d'aggenti!
Veni la gran Rigina di li Santi,
chiàncinu tutti cu cori contenti
avennu a Maria Vergini davanti,
omini e donni, pìcciuli e 'nnuccenti
cu li làgrimi all'occhi tutti quanti;
Tràpani, ti pò' stari allegramenti,
veni cu' t' ama e ti teni abbunnanti.
Tiraru avanti; e sennu.'ntra la via,
li Marinara vòsiru pusari,
si liei tanta gravusa Maria
chi 'n coddu cchiù 'un la pòttiru purtari.
Lu populu si misi in fantasia,
a vuci forti si misi a gridari:
— Cunfusioni, o Vergini, saria,
si nu' senza di Vui avissimu a stari I —
Jeru a 'nzajari, e lèggia la truvaru
a la Vergini 'ntatta immaculata,
e prima di lu Portu la pigghiarn,
unni fu di Maria la prima intrata *;
* Fantasia^ s. f., qui, spavento, apprensioue: e C03Ì più giù.
* Secondo la tradizione, il simulacro della Madonna di Tra-
ini venne per mare.
412 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
poi, quannu a la citati la intraru,
la Matri fu di tutti fìstiggiata
e 'n gridauDu, lu populu gridaru:
— Vinni! vinni Maria nostra avucata M —
L' hannu purtatu uni chiddru Cunventu
di Maria di lu Càrminu, vi cantu,
r hannu scinnutu di ddru mulimentu
e r hannu misu 'ntra ddru locu santu:
ogn'òrganu accurdau lu so strumentu,
addiimaru cannili 'un sàcciu quantu,
dispuneru lu santu Sagramentu '
cu Luigi e Libertu a lu so canta*.
Lu gran Santu Libertu la saluta:
— ben vinuta, Matri mìa carissima,
Vui siti di la glòria scinnuta.
Vergini 'mmaculata fìlicissima;
cliista vostra citati è attirruta,
ricurri a Vui cu fidi custantissima,
faciti chi pri verrà *un sia nuciuta
e nun lardati, Vergini santissima.
Vergini santissima, 'un tardati,
tutta a li ligghi vostri favuriti,
sunnu 'ntra un puntu di nicissitati
'n menzu di tanta verrà, fami e siti.
' Il trasporto di Maria SS. in città avvenne 1*11 luglio iTlìi.
' *Dispitneru^ esposero.
^ Luigi e Libertu: S. Luigi (di Francia) e Sant' Alberto, due
santi patroni de* Trapanesi, questi come concittadino, quegli
perchè accolto nella città (le spoglie mortali) al ritorno di Tunisi.
TRAPANI NNI LA VERRÀ DI LU 1718. 413
Vi sùpprica Libertu, in cantati,
prijati a chissu Diu chi 'n brazzu aviti;
di Tràpani Rigina vi chiamati
e vera Matri e Priilittura siti.
Vui, Matri, siti la cchiù summa sfera
chi dati luci a ogn' arma criatura,
ricca di carità. Vergini antera,
matri filici, nobili e signura;
di Tràpani vi chiamati matri vera
e vui li prutiggiti e aviti in cura;
Vui r aviti in putiri la bannera,
datila a cu' vi piaci, o gran Signura *.
— La me' santa fjura fu pur tata,
fa tant'anni 'n darre', Libertu, ascuta,
quannu lu Turcu nulliggiau Tarmata,
centra la mia cita fu risurvuta *;
poi desi funnu a 'na bona ciintrata,
a tiru di cannuna cummattuta;
vicinu cci happi la mar appirata *
oh chi dannu chi fu la so vinutal
* Date a chi piace a Voi, tra^ coutendenti Sovrani, la ban-
era della vittoria.
' Si accennéb ad uà fatto che i croaisti di Trapani segnano
tto il maggio 1563; Tarmata turchesca era capitanata dal fa-
oso Dragut. L'avvenimento miracoloso, vivo tuttora nella tra-
zione, è ricordato eziandio iu una leggenda sulla Madonna di
*apani presso il Pitrè {BihL ciL^ voi. II, nam. 945, pag. 255).
' *Appirata^ s, f., approcci amento, approdo.
414 LfiGGBNDE POrOLAHt SIGILUMK
lu fu' mittuta saprà 4i li musa,
li bastimenti su' misi a tmicera;
cumparennu la mia saata ^u^a»
di verrà 'nnarburaru la bannera.
— Chist' è Maria i (dissi lu Turcu allura),
a Iddrarògghiù pri vìncili sohieray
e cu r annata mia fra tempu un* nra
fazzu di Iddra e Tràpani Maccherà t —
La prima la galera chi sparau
gritta tirata pri lu pettu miu^ '
dritta tirata, e nenti nni sgarrane;
lu venta cu lu mari 'nsupirbiu V
Guarda, la me* putenza quant' uprau
centra ddu cani sciliratu e riu:
fra termina d' un quarta 'un si cantaa,
r armat^a a mari fannu si nni jiu *i
;Ccussi fazz* iu, figghioli, stati attentu;
verrà non cci sàrrà 'n Tràpani 'ntantu;
tiniti fidi a mia, chi vi cuntentu
mentri sarrà lu munnu e 'n' àutru tantu.
La me' cita è guardata a cumpimentu*
di me' Figghiu, di Mia e Libertu santu:
vinlssiru l' armati a centu, a centu,
v' arripara e cummògghia lu me* mantu '. —
* Nenti nni sgarrau, sbagliò di poco o nulla.
* Si mosse gran tempesta, ^yaupirhiuy gonfiò, s' adirò.
^ Per aver salvezza, faggi,si perdette di vista net lontano ma
* *JL cumpimentUj compiutamente.
^ Mancano qui due ottave, che possiedo assai guaste.
TRAPANI NNI LA VERRÀ DI LU 1718. 415
La gran Signura stesi trenta misi *
'ntra lu Cunventu so, Carmilitana,
pri guida di nu* àutri Trapanisi
multu tempu nni stesi guardiana.
Poi, desi la cita a cu' la prumisi,
a 'u 'Mperaturi, di casa suvrana:
vennu V aggenti di tanti paisi ',
scàsciu nn' appi la lingua taliana '.
La prima sittimana Sant* Andria,
lu lùnidi agghiurnannu, a dìidici uri,
cu cannuna parati ed armarla*
vinni r armata di lu 'Mperaturi ^;
'rrivaru tutti cu gran frattaria,
truvaru tutta la cita 'n favuri;
di fàrisi lu saccu si dicìa,
chistu nun vosi lu so Suprajuri.
( Trapani)
* Trenta misi. Veramente, secondo le cronaclse, la Madonna
3tte ventinove mesi in città, perchè fu riportata al Santuario suo
11 deceoìbre 1720. Una variante ha : novi misi, ma va scartata
* Cioè, gente di paesi estranei e lingua diversa: venner di-
tto i Tedeschi di Carlo VI.
' Scàsciu, smaccoi danno. Lingua taliana, ì Piemontesi.
* *Armaria, s. f., gran quantità di armi.
* Gli Austriaci, col Generale Zura lungen e col Mercy, entra-
gno in Trapani il 27 novembre, giorno in cui i Savoiardi co-
ivano la piazza: esso cade appunto nella settimana di S.Andrea.
416 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Annotazioni e Riscontri.
lutorno agli avveniiuenti ricordati in questa leggenda, cons
tu: La Sicilia sotto Vittorio Amedeo di Savoia, narrazione istor
di Isidoro La Lumu; seconda ediz. rived. e accresc. (Livorno, Vi
1877), cap. IV e V: — Cronacheita del sac. G. B. Odi>o, delle <
memoràbili avvenute in Monte San Giuliano da* 30 giugno 1
a* 21 maggio 1732^ inserita nelle " Nuove Effemeridi Sicilian
di Palermo, serie terza, voi. I (1875), pag. 230 e seg: — e
Madonna di Trapani, memorie patrio-storico-artistiche del P, F
TUHATO Mondello (Palermo, P. Montaina, 1878) cap. I e V.
LXI.
La Francia ribbella ^.
Supra la Francia la mia lingua parrà •,
sintiti chi successi supra terra,
s^iddru la mia memoria nun sgarra,
chi li Francisi fannu un serra-serra.
Cu la Sicilia vonnu fari sciarra;
ogni Sicilianu Tarmi afferra,
ogni surdatu cu so scimitarra
sunnu disimpignati a fari verrà.
Verrà ! Lu nostru Re mannau pi ajutu,
pi la Sicilia lu bannu ò jittatu,
* Va collocata dopo la Leggenda di nnm. XXXIII, alle An-
notazioni della quale mi richiamo.
• Parrà; gli Ericiai pronunziano palla, e 1 più eoltì^ parla:
qai, in grazia della rima, conservano il comune parrà.
Salomomk-Marino. — Leggende pop. sic. 27
418 LEGGENDE POPOLARI SiaLIANE
Ogni Sicilianu è risurvutu
contra di li Francisi è beni armatu.
Chist* è un castju, chi avemu, assoluta ^
pi càusa d' 'u terribili piccatu:
e mai lu nostru Re s'ha cunfunuutu
cu l'ajutu di Diu saramintatu.
Ogni surdatu, saria valintinu,
si nni jissi 'n Palermu a manu, a manu,
e si 'mbarcassi supra un sciabbicchinu '
e pi passari a Napuli, luntanu '.
Sempri facennu verrà di cuntinu
contra di li Francisi, o cristianu,
t'ajutirà Gesù verbu divinu:
e sempri viva lu nostru Suvranu!
A *u nostru Suvranu nu' purtamu amuri
chi semu sutta di li soi banneri,
tuccamu tutti trummetti e tammuri,
stàmucci attenti, boni Cavaleri:
nui a lu nostru Re purtamu amuri,
ognunu lestu di manu e di peri;
in Sicilia vinni stu rijuri ♦,
cu' si facla surdatu vulinteri.
* *A88olutu^ avv., assolutamente, decisamente.
* *Sciaòbicchi7m, piccolo sciabecco, zambecchino.
' A Napoli c'erano già i Francesi.
* *Rijuri o Riguvi, vale anche bisbiglio, voce spiacevole:
in tale senso pare adoprato qui, o nell* altro di invito, ma ai
invito che sente del comando.
LA FRANCIA RIBBELLA. 419
Vulinteri curreni a micldri, a middri,
sintennu chistu, tanti picciutteddri,
tutti cu Tarmi soi sutta T asciddri,
e a li Francisi jiricci a la peddri.
'Un fazza chi facemu comu chicìdri,
chi pi ghiri a la verrà, piivureddri,
facci nun si lassaru né capiddri
li mammi di V afiQitti surdateddri.
Li surdateddri cu un cori di mari
(spavintatu nn' arresta cu' li vidi)
'n Palermu s' hannu jutu a cunsignari
'nta lu so Riggimentu, si mi cridi.
Supra un vascellu s'hàppiru a 'mbarcari
tutti cu r armi a m.mu, a so putiri,
e la Matri di Diu IMiavi a ajutari
cu' è chi curri pi la santa Fidi.
Nui cu la santa Fidi stamu all' erta,
chi li Francisi fannu 'na minnitta \
su' di culleja cu chiddi d' 'a setta ',
la liggi torta cci pari chi è dritta.
Ognunu pi surdatu sì suggetta,
chista palora la lassù pri scritta,
ogni surdatu cu la so scupetta
va contra V Assembrea maliditta.
Maliditta Assembrea in chillu puntu!
Jeu a sentiri sta cosa mi spaventu I
* *AfinwiWa, qui, strage, macello.
* ^Culleja e *Cullega^ s. f., lega, alleanza.
fiso LEGGEN0B POPOLARI SICIUANE
Sucxesai a li Parigi, e li raccuntu,
Saciardoti coi nn* era quattrucenla :
calaru iu Squatruni e lu cunfruatu (?X
foru ammazzati tutti io un i^umenti^
mi trèmanu li carni a soccu cuntu S
chi vannu ooatra di lu Saramealu.
Stu Saramentu si cuntempla è nota
chi esti Figghiu di 'na Mairi amata,
pi chissu pallu cu ^a lingua sciota
siti un'. Ostici pura e 'mmaculata.
Pillati i Saciardoti in prima vota \
foni martirizzati cu la spata :
ogni arma chi trapassa saciardota *,
l'ajuta la gram Matri Àddulurata.
Matri Àddulurata i e dico veru
chi li Francisi tutti ariticaru *,
e tra li chiesi santi si uni jeru,
li statili d' argenta cci arrubbaru;
fimi a li tarbinàciili jungerii
unni ce' era ddru Diu di V arriparu,
pigghiani la sacra pìssini e la rraperu
e li santi Particuli abbruciaru.
Abbriiciaru ddru Diu ddri scelerali
cu la Fidi vùtata, e risulvuti :
* */S>occM, 'f' Socchi^ Zoccu, *Nzocchi, ciò che.
* *Pillati^ pigliati, presi.
' * Saciardota^ add., di sacerdote, sacerdotale.
* *Ariticari, v. intr., divenir eretico, ereticare.
LA FRANCIA RIBBELLA. 42l
Signnri! a tutti quanti alluminati,
dàtinni lumi, sapiri e.virtuti.
A chi su' ghiunti sti scuminicatil
vannu centra di Diu e la Saluti;
davanti la divina Majstati
iddri già sunnu tutti armi liirduti.
Risulvuti 'i Francisi, a middri, a middri,
(o chi pisu chi hannu 'ntra li spaddri I )
hannu ammazzatu a tanti picciriddri
e cu scupetti, cu pìirviri e baddri.
Nun fazza chi facemu comu chiddri * I
'ntra li chiesi purtaru li cavaddri;
mi trèmanu li carni e li capiddri,
li chiesi santi sirveru pri staddri.
Cavaddri senza fidi (a nomi meu),
la santa Fidi comu si pirdiu I
Nun canusciti santu giubbileu,
mancu a lu Papa quannu si partiu.
Averti, cristianu, 'un ti lu neu *,
Gesti Cristu pi nui ^n terra scinniu,
tutti st^ armali chi ti dicu jeu
si addinucchiaru, chi vittiru a Diu.
Quantu vidi stu Diu ogni circustanza I
Ma esti un Patri chinu di climenza,
la teni sempri 'n manu la balanza
e r eterna giustizia dispenza:
* Dio non voglia che nessuno di noi li imiti !
* Xèu, niego.
422 leggende: popolaiii siciliane
comu ti chiànciu, sfiirtunala Pranza!
Tavirai di Din la tua sintenza :
s' addinucchiaru ddri armali a ddra stanza
vidennu la divina Onniputenza \
'Nniputenza dirròggiu ogni palora;
Gesti Cristu è sdignatu, damu accura !
ogni cori cristianu si 'ntracora *,
vannu contra di Diu, la sua pirsuna :
chi semu junti ^ntra V ultima scola,
a fari beni ognun u si procura *:
la Francia liticau ora pri ora,
vannu contra di Diu e la gran Signura.
gran Signura, arcu triunfanti,
matri di Gesù Cristu onnipotenti,
siti acqua purissima, abbunnanti,
e Vu' siti 11) fonti scaturenti.
La Francia alliticaru, li birbanti,
arrabbiati comu li serpenti,
vannu contra di Y Angili e li Santi
e contra di li setti Saramenti *.
* E tu (sottintendi) lo perseguiti e bruci!
' *Si ^ntracora, resta ferito nel cuore, si accora.
' Siamo già al termine di tante nefandezze, non abbiamo più
che vedere od imparare; e perciò ognuno procuri a far bene,
per salvarsi dall' ira di Dio.
* Mancano cinque ottave, che ho guaste: ma non è da rim-
piangere la lacuna, perchè esse non conteneano che invocazioni
del divoto poeta a varj Santi.
LA FRANCIA RIBBELLA. 423
Dati succursu, Maria di pie tati,
<iàticci ajutu a sti cori fìruti;
5ia fatta la divina vuluntati,
dàtini lu pirdunu e la saluti :
Ti préu ancora, santa Trinitati ;
r orvi, li surdi, li Giunchi e li muti
prjamu tutti a V Armi dicullati ^
pri la grazia di V arma e la saluti.
Saluti, a ^u nostru Re, di la campagna;
e viva chiddru chi la liggi 'nsignal
viva la Lungaria e la Lamagna *,
e lu re Nisi, a nui chi n' è insigna • I
viva lu San tu Patri e la Rumagna I
viva lu 'Mperaturi, petra dignal
e ora sempri viva Re di Spagna !
e viva Re Savoja di Sardigna !
Jeu di Sardigna la furtizza ava n tu :
tutti a lu nostru Re stàmucci attentu.
V addimannu pirdunu a tutti quantu,
jeu ca mi tegnu e fazzu fìnimentu.
* Le anime dei giustiziati, volgarmente dette Armi santi di-
cullati^ hanno in Sicilia un culto speciale: vedi in proposito lo
importante opuscolo del Pitrè: f.e Anime dei corpi decollati nelle
tradizioni popolari siciliane (Firenze, 1874).
' Lungaria,^ Ungheria.
' Nisi: così. Certo il poeta avrà detto Luisi o Lisi^ esaltando
la regia vittima della rivoluzione francese , come emblema o
stendardo [insigna) del diritto divino.
424 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
Prjamu tutti a lu Spirita Santu^
Iddru nni scanza di verri e spaventa:
nn'arripara Maria cu lu so mantu,
sia laudatu lu san tu Saramentu.
Diu, siti *nguentu di tutti persuni,
Maria òsti 'na rosa senza spini;
vurria la menti di re Salamuni
pri ghiri avanti 'ntra chisti me' rimi.
Maria, chi di lu munnu è lu timuni,
Iddra nni scanza di verri e ruini.
Petru Giannetta fìci sti canzuni,
Maria rajutirà 'nsinu a lu fini.
{Monte San Giuliam)
Annotazioiii e Riscontri.
Mi mancano le notìzie intorno a Pietro Giannetta autore della
storia; né il settantacinquenne Paolo Messina, che dettavala al
mio U. A. Amico al 1873 , seppe dargliene alcuna. Si sa che
fu un bracciante, e appartenne forse alla stessa famiglia di un
Salvatore Giannetta, poeta popolare, di cui possiedo una Storia
di la culera di Trapani a In 1837.
GIUNTE.
Per quanta diligenza io abbia messa in questo lavoro,
ton ho potuto evitare qualche lieve omissione nelle
^tifiotazioni e ne' Riscontri; e però vi riparo qui, senza
2t pretensione di aver fatto opera completa affatto; pe-
^cchè, com'è noto, in istudj di simil genere sarebbe
stoltezza il credere che si possano segnare le colonne
^*Ercole, e molto meno adesso, che appena discreta parte
^ì materiali si è accumulata per l' intero edilìzio.
Al line della pag. 49 si aggiunga :
Confronta ancora con la storia di Teresina e Paolino , ossia
ÌJna Madre cht vuole costringere la sua figlia a farsi monaca
contro la sua volontà mentre la figlia era già ijromessa con Pao-
lino; indi poi Paolino si veste da Frate e per andare a trovare
f amante Teresina, che dalla passione si era ammalata. (Firenze ,
stamp. Salani, 1871, e 1878).
Alla pag. 57, al line delle Annotazioni e dei jRwcowfrt,
si aggiunga:
Maggiore relazione ha poi la Lisàbetta con la Storia d^ An-
giola crudele^ che privò di vita il Padre e la Madre per cagione
d^amore, (Firenze, tip. Salani, 1871).
A pag. 58, alla nota 2 si aggiunga:
Il mignanu è propriamente un vase a facce piane, di figura
426 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
di paralleliepìpedo rettangolo, o in pietra o ia terra cotta, cavo,
nel quale si coltivano pianticelle o fiori, e si tiene sai davan-
zale delle finestre o (e questo ò il caso ordinario) su* muric-
cioli di una terrazza, di un giardino, ecc. E forse da quest'oso
provenne il suo nomo , dal latino moenia essendosi fatto nM-
nianum, mignanu.
A pag. 64, in fine a' Riscontrij aggiungi:
Nella Comunale di Palermo ne esiste una stampa in S'ideila
fine del scc. XVII o principio del XVIII con questo titolo: 5i-
storia nuova della morte di Marietta Corteggiarla^ La quale dann
auo finto Amante fu tradita^ e poi ammazzata \ portandogli ma
tutti i denari^ gioie-, e quanto haveva; e come il Traditore fri pruo
e la morte che fece. Esempio alle Corteggiane. Data in Ittce da
Paolo Taddei Cieco Fiorentino. (In Napoli, per il Paci).
A pag. 71, nota 4, leggi:
*Càmmara morta^ e anche *Càmmara orva, dicesi quella ec
A fjag. 83, in line, si aggiunga :
e presso il Bertoni , Leggende fantastiche popolari veneziani
(num. I, pag 3 e segg.). — Confronta ancora il contrasto : La
Cummari e hi Cuvipariy nella cit. Bibl. del Pitrè (voi. II, num.
967, pag. 393 e segg.).
A pag. 90, in line, si aggiunga:
e gli Amori nel confessionale di Benevento (Corazzini, lib. II,
§ IX, mini. I, pag. 234). — Nella raccolta di canzonette edita
dal Salaui a Firenze (fase. 88) c'è una lezione della leggenda
col titolo : Fra Formicola,
In un manoscritto del 1795, eh' io posseggo, contenente -4rt«,
GIUNTE. 427
Canzonette e Poesie di vario genere, popolari le più e siciliane,
leggesi (pag. 20 e 21) un Duettu fra un Confessore e la sua
Penitente, nel quale Fra Genìparo va bel bello a riuscire al
fine istesso del Padre Formicola. In un altro Duetto (p. 89-91)
fra una Donna e un Cappuccino, quella induce in tentazione
questo e poi, quando lo vede pronto a peccare, lo sberta e lo
svillaneggia. Notisi però, che mentre il primo -DweWit è di forma
popolarissima e tutto in vernacolo, nel secondo la donna ado-
pra la lingua italiana e ci si vede V artifizio letteratesco.
A pag. 106, nota 1, aggiungi:
La parola massenti fa sospettare che sia una corruzione di
valsente, mollo più che adoprasi il più spesso quando si vuole
indicare una massa, una grande quantità di cose di alto valore
come oro, moneta, gioje ec. Il popolo spiega massenti^ per massa;
ma nondimeno non dice mai un massenti difurmentu, un massenti
d,i favi, un massenti di libra ecc.
A pag. 121, in fine, aggiungi :
Intorno al famoso noce si vegga eziandio: Pietro Piperno ,
Della superstiziosa none (sic) di Benevento, trattato istorilo (Na-
poli 1640), e G. PiTRÈ, Appunti di Botanica popolare siciliana,
pag. 11 (Firenze, 1875). Un proverbio siciliano ha: Nuci, noci',
e ci richiama alla etimologia degli antichi : Nux, a nocendo.
A pag. 134, in fine, si aggiunga:
Nel Saggio di canti popolari raccolti a Ponte! ag oscuro di G.
Ferraro, al n. XIX si ritrovano 31 versi del Leonzio,
A pag. 149, nota 1, si aggiunga:
'*Fòru, più comunemente Pirtusw, foro, apertura, via.
428 LEGGENDE WPOLkUl SICILIANE
A pag. 158, in fine, si aggiunga:
Intorno a S. Cristofaro corre in Sicilia inoltre qaesta Orazióid: |
San Criatòfulii barimi,
'b coddu partastù a la nostra Signóri,
la piirtàstiru ca 'na fidi forti,
scausbàtinni di disgrazii,
di morti sabitània,^
di mala vita e di mala morti.
Il mio caro Pitrè si ricorda poi di ana leggenda, che afera
quest' intercalare:
Giasta dici, Gristòfala santa,
eà porti a Grista ca la manna 'n mana.
Secóndo ricavo dal cap. Il del Pedemio d'oggigiorno, del Mar-
chese di VillabiahCa (yol. XIII della SibL Hxn*. e ìettsr. di Sìgì-
Ha, pag. 359), fino al 1763 nella chiesa di S. Cristofaro, pro-
pria di ana Confraternita palermitana, leggevasi la segaeote
iscrizione in barbaro latino rimato, con la qnale certamente il
bellamore che la composo volle fare! beffe di qaei semplici dd
Confrati che gliela commisero :
SanctuK Christqfalus ìstu
in manibus portat Christn,
A dextris Sanctus Joannes Battistris^
a slnisti'is Sanctua Joannes Eoangelìstris.
A tergo beata Virgo,
ad latus Sanctus* AccufactaXus,
ad pedes Sancta Praxedes.
Hoc. facere fecernnt
Magistri ferraverunt,
Santu Accutufatu (Santo Abbatacchiato) sì dice in Sicilia per
celia uu Santo ideale e ridicolo.
GIUNTE. 429
Nel continente italiano ed eziandio tra noi, ma presso la
gente colta, corre il distico maccaronico:
Cristoforus grossus portahat Cristum addosaus
et passàbat aquas sine bagnare bracas.
Dell'autore del testo siciliano della leggenda sono ora al caso
di dire che il suo nome di battesimo fu Leonardo e che fiori
nel primo trentennio del sec. XVIII. Questo rilevo da una sua
storia inedita, ora pervenutami, la quale descrive Lu Tirri-
tnotu di Tràpani nella sera del 1" settembre 1726, terremoto che
il poeta si vanta di poter descrivere col solo soccorso del na-
turale ingegno e dell' abilità sua {A via di *ncegnu di natura e
d* arti). Conchiude co' due versi:
Sti parti li finiu Nardu Carvinu,
trapanisi nativu ed urtulanu.
A pag. 220, Un. 16, si richiami la nota seguente, da
aggiungere:
* Una variante preferibile: eh di li sol fidili.
A pag. 237, in line, si aggiunga :
Nella cit. Raccòlta amplisg. di canti popolari sicil. (cap. LVI,
num. 5188 e 5189. pag. 684) si leggono due ottave, che si dicono
** parte di una storia di 88 ottave sulla rivoluzione del 1820.„
A pag. 248, Un. 3, si richiami la nota seguente :
Stefanu Schisò: altri dice: Schirò; Pino scrive il Villabiakca,
nel suo Diar, palerm,, pag. 301.
Alla pag. 260, in fine, si aggiunga:
Agatino Longk>, al num. LIV, pag. 107, de' suoi Aneddoti ai-
430 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
ciliani (Catania, 1815] si ferma a narrare del Dì Blasi, per desi-
gnarlo come un bandito generoso che fa il male ai ricchi e pò-
tenti per beneficare i poveri e deboli. E già innanzi, e coli' in-
tendimento medesimo, Vincenzo Linares nel Masnadiere siciliano
(Palermo. 1841) avea tolto appunto il T'c^^a/on^a ad argomento,
descrivendone le imprese e la fine.
A pag. 272, in fine, si aggiunga :
Da* Registri parrocchiali di Corleone si rileva, che Bernardo
Palumbo nacque a' 19 settembre 1802, indiz. VI, ed Antonino
a* 18 decembre 1808, indiz. XII. Furono ghigliottinati entrambi
in Palermo a' 10 marzo 1835 , secondo afferma un testimone
di veduta, perchè ne* Registri dello Stato Civile di Palermo non
ho potuto rinvenire segnata la loro morte, né in quelli di Cor-
leone, esistenti presso V Archivio di Stato palermitano. 1 fra-
telli Palumbo l'uggirono in Tunisi con l'aiuto di queir istcsso
Magnate palermitano che favorì, più tardi, la fuga di Paolo Cu-
cuzza e Compagni; poi. arrestati per una baruffa con uccisione di
alcuni indigeni, s'erano dati per contrabandieri: ma indi, cono-
sciuti, veuner tratti in Palermo e giustiziati.
A pag. 292-293, alle notizie gulla vita romanzesca del
Cucuzza si aggiungano queste altre, che correggono in-
sieme qualche lieve inesattezza :
Paolo Cucuzza era nato a' 4 marzo del 1811. Appassionatis-
simo per la caccia e famoso tiratore, al diciottesimo anno subì
la prima condanna, come complice in un furto, a 13 anni di
prigionia, da espiarsi nella cittadella di Messina. Da qui, dopo il
terzo anno e' scappò, e si ridusse tra stenti e pericoli alle note
contrade natie, dove cominciò a fare la vita del bandito, protet-
tore benevolo de' suoi paesani, persecutore acerrimo della Polizia.
Si imbarcò per V America a' 7 aprile 1837 e vi stette tre anni
GIUNTE. 431
facendo il commerciante con viagp^i in Ispagna ed in Francia:
ttl 1840 passò in Livorno, ove poco appresso sposava la Aloisia
ISiagini. Rimpatriato al 1848, ebbe il posto di Amministratore
wAìo Zucco. Moriva il 7 ottobre 18G9 in Montelepre.
Alla pag. 302, Un. 7, dopo le parole : {Palermo, 1839),
si aggiunga :
air altro libretto, che però non venne messo in commercio :
Jju ntwvu Codici dì lu Toccu: Arriccutu di nuovi articuli, e mu-
dificcUu secunnu li tempi. A. S. (Palermo, Tip. E. Costa, 1869),
e alle Cronache ecc. (Palermo, 1878).
Alla pag. 331, in Une, si aggiunga :
È interessante consultare eziandio : La Rivuluzioni di Paler-
mUy poema in ottava rima siciliana (Palermu, 1848), messa fuori
uii mese appena dopo scoppiata la rivoluzione , abbenchè sia
nscita dalla penna di uomo non ignaro di lettere.
Alla pag. 352, al fine del rigo 7 delle Annotazioni e dei
Riscontri, si aggiunga :
Da' Registri parrocchiali di Partinico rilevasi che V Oliver!
moriva a' 15 gennaro 1863, di 73 anni. Tra le sue poesie, che
i figli , analfabeti come il padre , conservano amorosamente a
memoria, va segnalata una, nella quale descrive ** la vita sua,
prineipiannu di prima di nàsciri sÌ7iu a lu puntu di la so morti,„
Intorno al 1874 , e poi in altri anni successivi , Vittorio Gili-
berti, uno degli editori di libretti popolari, pubblicava in Pa-
lermo: La storia di li Sarei preputenti chi pigghianu manu ^ntra
li casi, cumposta da lu zu* Ninu Giurakedda di Partinicu (in-lS^^
pag. 8) : è poesia arguta , composta innanzi al 1860 , e parmi
evidentissimo che faccia allusione al tirannico governo dei Bor-
boni e specialmente alla prepotenza de' birri del tempo.
432 LEGGENDE POPOLARI SICILIANE
A pag. 358, in fine al secondo periodetto, lin. 24, si
aggiunga :
Del 1860, anche in foglio volante, e* è a stampa una poesia
col titolo: Avvlrtimentu pri *un arruhhariy la quale porta eziandio
il nome di Pietro Quatrino: ma n' ho sott* occhio altre due, pure
deir epoca stessa e in fogli volanti, che portano il nome di Gi-
rolamo Quatrini, e sono: La nisciuta di li Signuri di lu Costei-
du^ e Lu triunfu di li morti pri la Patria, O si ammette il dab'
bio del pseudonimo, o si dee conchiudere in favore di una fa-
miglia di poeti.
Il cortese lettore voglia, in line, correggere i seguenti
quattro errori tipografici, sfuggiti a malgrado la più mi-
nuziosa attenzione:
Pag. 32, Un. 3: cà semn: .... conteggi: eà semu
„ 86, „ 21: pag. 253:. . . j . „ pag. 243
n fòru
„ che n' è V antere.
„ 149, „ 5: foru:
„ 382, „ 18-10: che n' era autore;
Alle parole, poi, delle note 1 a pag. 2, 2 a pag. 9, 1 a
pag. 11, 4 a pag. 19, 1 a pag. 41, e I a pag. 304, va messo
innanzi l'asterisco (*) perchè mancanti anch' essi a* Vo-
cabolarj siciliani.
FINE.
INDICE.
Dedicatoria Pag. v
Prefazione » vii
Indicazione bibliografica delle Raccolte di Canti
popolari e degli Studj intorno ad essi, citati in
questo volume » xxvii
Leggende :
I. Conti Buggeri » 1
II. Ln Conti di Burgettu » 4
III. La Rigina di li Fati » 8
IV. Lu Vèspiru Sicilianu » 13
V. Li dui Sbannuti di lu Voscu di Parti-
nicu » 17
VI. Catarina » 26
VII. Donna Pina » 29
Vili. La Vinnitta » 32
IX. Cicilia » 38
X. Ciccina » 43
XI. Rusina » 46
XII. Lisabetta » 50
XIII. Anna la traduta » 58
XIV. Don Fidiricu » 65
XV. Lu Marinaru di Capu Fetu » 74
XVI. Lu Mònacu alluggiatu » 84
XVII. Patri Furmìcula » 87
XVIII. Lu Monacu a la cerca » 91
434
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
XXVIII.
XXIX.
XXX.
XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
xxxvn.
XXXVIIL
XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
XLIII.
XLIV.
XLV.
XLVI.
INDICE.
La Mugghieri arrubbata. . . » pag. 95
La liedda di lu Scògghiu » 98
Lu Spuusaliziu di la Guntissa . . » 101
La Casa 'ricantata » 105
Lu Bancu di Disìsa » 111
Lu Zagariddaru » 118
La Donna di Calatafìmi )> 122
Liònziu » 126
San Gristòfalu » 135
Bàrtulu » 154
Scibilia Nobili » 160
Lu Mircanti » 170
La prisa di la Gran Surdana. . . » 180
La morti di He Garru secunnu. . » 193
La Rivuluzioni di Francia .... » 206
La vulata di Liunardu cu lu bal-
luni » 210
La Garistia di lu 1813 » 216
Jachinu Muratti » 218
La Rivuluzioni di lu 1820 » 227
Lu Tirrimotu di lu 1823 » 238
Testalonga » 245
Mommu Brunu » 2(jì
Li Palummi » 266
Li Fra Diàvuli » 273
Paulu Gucuzza » 284
Li Malantrini a lu Casteddu di Ca-
rini » 294
Pippuzzu lu valenti » 298
La Culera di lu 1887 » 303
INDICE. 4^
XLVII. Lu dùdici Jinnaru 1848 .... pag. 324
XLVIII. La Guerra di lu 1849 ........ 332
XLIX. Lu quattru Aprili 1860. ...... 335
L. La Rivuluzioni di lu 1860 » 343
LL La lìnuta di li Sbirri a lu 1860. » 354
LIL La Battàgghia di Milazzu a lu 1860 » 359
LUI. Sangu lava sangu » 363
LIV. La Guerra di lu 1866 » 368
LV. La Sicilia a lu 1866 » 372
LVL Lu Setti-e-menzu » 377
LVIL L' Èbbuca » 384
LVIIL La morti di lu Re e di lu Papa. » 392
Appendice :
LIX. Lu Parrineddu amàbuli » 401
LX. Tràpani nni la verrà di lu 1718. » 40f>
LXL La Francia ribbella » 417
Giunte » 425
FINITO DI STAMPARE
IL GIORNO XIX MARZO MDCCCLXXX
IN PALERMO.